Sabrina Martinelli

In tanti parlano di etica laica e tutti, o quasi,concordano come il problema fondamentale sia la sua fondazione. Già, comepotrebbe un'etica laica avere fondamenta salde se paragonata a quellareligiosa, in cui ogni risposta poggia niente meno che sull'essere perantonomasia, su quel Dio che tappa la bocca a ogni domanda o sentore (e ce nesono, oh se ce ne sono) di contraddizione? Del resto, anche Dostoevskij dicevache se Dio non c'è, allora tutto è permesso. Non sono d'accordo. Prima ditutto, perché non c'è alcun bisogno di paragoni. In secondo luogo, l'eticareligiosa non è affatto così salda come sembra. Si basa, infatti, su di unassunto indimostrabile: l'esistenza di Dio. Ora, non dico che tutti debbanoessere atei come me, ma se pure accettiamo semplicemente questa evidenza (la nondimostrabilità dell'esistenza di dio), ecco che l'etica cattolica sipolverizza. L'errore dei non credenti e degli agnostici di sempre è quello dicercare di dimostrare di essere nel giusto nel credere nella non esistenza diDio. No: sono le religioni che, per esser prese in considerazione in materia dietica, dovrebbero dimostrarne l'esistenza e, finora, non ci sono riuscite. Interzo luogo, ciò che dice Dostoevskij, scrittore che per altri versi apprezzo,è una sciocchezza: può andar bene per chi abbia orizzonti ristretti e viva uneterno complesso d'Edipo o un complesso fallico, per chi, insomma, abbia lavocazione del gregge bisognoso di un punto di riferimento che, con il suosguardo, attribuisca senso. Se Dio non c'è tutto è permesso? Ovviamente no.Perché no? Semplicemente perché noi viventi non lo vogliamo. E noi viventisiamo tutto ciò che conta: radicando in noi stessi l'etica le diamo basi benpiù salde che radicandole in un qualsiasi Dio, perché noi siamo, senza alcunombra di dubbio. Radicare l'etica in noi non vuol dire, però, basarla sulnostro sentire: per vivere non ci è di alcuna utilità un'etica relativistica.Il sentire è fluttuante e individuale. E il mio vicino potrebbe"sentire" in antitesi con me: ecco allora lo scontro. L'unica basecerta di un'etica è, a mio avviso, ancorarla a ciò che tutti gli esseri viventihanno incontrovertibilmente in comune: la vita individuale e ildesiderio/necessità di mantenerla. Una vita non intesa come qualcosa di sacro einviolabile in quanto tale, non una vita che venga prima dell'individuo (comedicono i cattolici relativamente alla polemica sull'embrione), ma una vita cheacquisisca senso solo in quanto espressione unica e irripetibile diquell'individuo, animale o umano che sia. Dunque, un'etica il cui fine sia lamassima espressione della vita di ognuno, la sua realizzazione e felicità.Questo il punto da cui partire per stabilire diritti e doveri. Un'etica che siimplementi su di una rete di rapporti tra individui e, per questo, tenendoconto della sua finalità, il suo modus operandi può essere uno soltanto: lasolidarietà tra i viventi. La solidarietà, parola abusata e snaturata, è,invece, empatia e rispetto, desiderio della felicità e dignità altrui anche persalvaguardare la propria, aiuto reciproco che garantisce l'altro e noi stessi.E, naturalmente, comporta il superamento dell'odiosa visione, avallata dallereligioni, per cui noi saremmo i padroni del pianeta con il diritto di"utilizzare" la vita di altri individui come noi. L'uomo non è l'esserepiù evoluto (e anche se lo fosse non cambierebbe nulla): è semplicementediversamente evoluto. La mia vita non vale più di quella del mio cane, né piùdi quella di un maiale. Noi ci siamo co-evoluti con le altre specie,influenzandoci a vicenda con molte di esse, poi la nostra evoluzione ha presoun'altra strada, è comparso il linguaggio, ma le capacità cognitive non sononostra prerogativa, in maniera maggiore o minore, sono presenti a macchia anchetra gli altri animali non umani. Ma, anche se ciò non fosse (ma è), nessunopotrebbe negare la capacità di sentire che condividiamo con gli altrianimali.  Dunque, è da qui chedobbiamo partire se alle generazioni future vogliamo lasciare un mondo da cui,in ogni momento, non si levino assordanti urla di dolore, umane e non.






Membro del Direttivo nazionale di 'Libertà ed Eguaglianza'
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Antonio Di Giovanni - Roma - Mail - giovedi 15 luglio 2010 11.12
L'etica sig.ra Martinelli può anche essere definita come la ricerca di più criteri che consentano all'essere umano di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri. L’etica pretende inoltre una base razionale, quindi non emotiva, dell'atteggiamento assunto, non riducibile a slanci solidaristici o amorevoli di tipo irrazionale. In questo senso essa pone una cornice di riferimento, dei canoni e dei confini entro cui la libertà umana si può estendere ed esprimere. Mi sembra che il nostro Stato abbia dato delle regole di convivenza civile abbastanza esplicite. Semmai alla chiesa, possiamo imputare l’ingerenza spesso palese all’interno delle regole laiche, ma non la costrizione alla credenza. Ognuno ha la sua etica o regolamento che dir si voglia, e può tranquillamente analizzare i propri fallimenti sull’attuale società, senza scomodare il mondo animale con assurdi parallelismi. Il fatto che dio esista o non esista è puramente una questione di fede e pertanto rientra nell’intimità più profonda dell’individuo. Le cito una storia del filosofo taoista Osho, che raccontava di un allievo che rivolgendosi al suo maestro religioso, chiedeva dopo aver visto rosicchiare il libro del corano ad un topolino, come mai il corano non si fosse saputo difendere dall’animaletto e, che non sapeva più a quel punto a chi credere…il maestro gli rispose riguardo al suo dubbio sul potere del corano…dicendogli “se cio che hai visto ti crea dei dubbi, allora credi al topolino” .
Fabrizio - Roma, Italia - Mail - mercoledi 14 luglio 2010 14.33
Il suo articolo mi ricorda un editoriale di Barbara Spinelli apparso alcuni anni fa (scusate, non so essere più preciso) su La Stampa e che più o meno (cito a memoria) si intitolava così: Necessità di un'etica laica che sappia dire no. In quegli anni i laici erano un po' in sofferenza di fronte alle posizioni "forti" espresse dal pontificato di Woitila in campo etico e la Spinelli cercava di argomentare come anche un'etica laica, senza fondamenti religiosi, potesse esprimere richieste precise e vincolanti per gli individui e strutturare saldamente il mondo morale. Ebbene, non vi nascondo che un'etica di questo tipo, sganciata da fondamenti assoluti, mi sembra niente di più che un galateo. Vi confesso che credo in Dio a intermittenza; non so se questo mi pone nel campo dei credenti o degli agnostici. Però mi sembra comunque evidente che l'etica o è un "Tu devi" o non è. Non si può ridurre a un Tu dovresti..., o a un sia pur ragionevole "sarebbe meglio per te e per tutti se tu...". Senza il vincolo assoluto (la "religio") la morale diventa un manuale di buone maniere a tavola, fatto apposta perchè di tanto in tanto compaia un Oscard Wilde (lo cito perchè lo apprezzo tantissimo) che lo vìoli per lo scandalo o il divertimento di tutti i commensali. Insomma... tanto per fare un esempio tratto dall'attualità, lo scandalo dei preti pedofili è uno scandalo che grida contro Dio e contro gli uomini (consentitemi questo linguaggio obsoleto) o è un comportamento interpersonale gravemente trasgressivo oggi, che però magari tra 15 o 30 anni il galateo sociale potrebbe tollerare, consentire e ,forse (non mi stupisco più di nulla) promuovere (indubbiamente, solo a certe condizioni che nel galateo sarebbero ben elencate e argomentate)? Infine, una cortesia: vi prego di cogliere il lato problematico del mio intervento. Non voglio e non posso sostenere soluzioni. So che un'etica laica funziona meglio come regolatore della vita associata, ma ciò non toglie che un'etica assoluta, o almeno l'idea di un'etica assoluta, sia necessaria per dire, socraticamente, "che cos'è" l'etica.
Francesca - Roma - Mail - martedi 13 luglio 2010 18.29
Se l'esistenza di Dio fosse scientificamente dimostrabile non sarebbe più Dio, ma sarebbe un'entità assimilabile ad un qualsiasi fenomeno fisico. In questioni di fede non servono formule matematiche ma emozioni, sensazioni, esperienze ascetiche ... che poi ci sia chi le chiami fede e chi le chiami fenomeni psicologici, poco importa, sono comunque esperienze vissute dall'individuo che ha il diritto di definirle come crede.
Pensare che l'individuo da solo possa discernere cosa sia permesso o non permesso nell'ottica di un'etica laica credo che sia ancora più utopistico che pensare di poter dimostrare l'esistenza di Dio, basti considerare gli abusi aberranti commessi sui minori da chi si proclama "servo di Dio"!! ... se sono gli stessi esponenti del clero a non rispettare l'etica religiosa, figuriamo come un individuo lasciato solo a sè stesso possa trovare dentro di sè l'etica laica che lo guidi verso il rispetto dell'altro.
In fine l'uomo è un animale sociale e in quanto tale vive ed esperisce la sua socialità, non capisco perchè lei definisca questo "vocazione di gregge"!
Con questo commento ho voluto dimostrarle le mie perplessità su quanto da lei affermato, spero ne nasca un confronto costruttivo. Grazie


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