“La risposta per contrastare la crisi economica non può essere più di tipo nazionale: le regole che la Merkel sta imponendo all’Europa sono sovranazionali, assolutamente europee (la sorveglianza delle banche e sui bilanci, che devono essere coerenti con una norma europea sulle rendicontazioni nazionali). Io sono stato membro della Convenzione europea: quello che noi cercavamo di fare allora, in modo democratico e avanzato - dando all’Europa un processo molto importante - oggi viene fatto in ‘frenata’. Per giustificare i soldi che si danno per il salvataggio della Grecia o del fondo ‘salva-Stati’, si chiede agli Stati membri di conformarsi a regole molto rigide. Quindi, o facciamo corrispondere a tutto ciò un salto democratico, o ci sarà una ribellione ‘antieuropa’ - quello che viene chiamato ‘populismo’ - molto accesa. Da questo punto di vista, se non inseriamo l’elemento socialista, questa costruzione continuerà ad avere molte difficoltà. Se questa tematica va ripresa a livello europeo, ecco allora che occorre inserire l’elemento del socialismo europeo”. Con queste parole,
Valdo Spini (ex presidente della commissione Difesa della Camera fino al 2001, più volte deputato prima con il Psi e in seguito con i Ds, ex ministro dell’Ambiente e oggi presidente della commissione Affari istituzionali del Consiglio comunale di Firenze) interviene nel dibattito di questi ultimi mesi sull’Europa e sull’attuale crisi economica globale. Abbiamo dunque colto l’occasione per approfondire insieme a lui alcuni aspetti del cosiddetto ‘socialismo europeo’.
Valdo Spini, innanzitutto ha ancora senso, oggi, riconoscersi nel socialismo italiano?“Io credo che abbiamo proprio bisogno di un grande Partito socialista italiano collocato nel socialismo europeo: faceva specie vedere, nell’ultimo Congresso del Pse, come l’unico membro effettivo, il Psi, non abbia potuto votare perché ‘moroso’, che il Pd, a sua volta, non potesse partecipare a pieno titolo perché invitato solo come ‘osservatore’ e che Vendola non fosse neanche presente. Io penso che la sinistra italiana si possa riprendere solo se si colloca in un contesto europeo e che questo contesto non possa che essere quello del socialismo europeo. Io concepisco la mia personale candidatura alle primarie proprio in questo ‘quadro’: affermare tale necessità in modo unitario rispetto alle varie forze che si misurano”.
Pensare che l’Europa sia stata un errore è una stupidaggine?“Diciamo che è stato un errore fare un’Europa ‘a metà’ e che costituire un’unione monetaria senza poi armonizzare le politiche economiche e fiscali ha generato la situazione attuale. Di qui se ne esce in due modi: o in avanti, creando veramente l’Europa; o all’indietro, con la disintegrazione della stessa. E io credo sia proprio giunta l’ora di battersi per la prima di queste due ipotesi”.
Se potesse ipoteticamente fare tre passi indietro, cosa cambierebbe nel processo europeo?“Se ci avessero approvato la Costituzione che avevamo elaborato nella Convenzione europea, probabilmente alcuni guai di oggi non si sarebbero verificati”.
Ma in quella Costituzione erano comprese anche quelle normative che avrebbero tutelato il mondo del lavoro in modo europeo?“Certamente. È una vecchia questione: c’è un’Europa dei mercati e del libero scambio e ce n’é anche un’altra che sa far progredire i suoi cittadini. Noi siamo per la seconda”.
Forse, quest’idea di Europa non è stata spiegata abbastanza bene ai cittadini?“Forse. Ma, forse, sono mancate anche le leadership. Tutti ricordano il ‘peso’ dei rapporti Kohl-Mitterand, o quello fra Schmidt e Giscard d’Estaing: ecco, negli ultimi decenni sono mancate delle leadership veramente autorevoli. Naturalmente, queste non si creano a tavolino, bensì nel fuoco della battaglia politica. Speriamo che emergano in futuro”.
I nostri nipoti si sentiranno europei per diritto di nascita?“Già oggi, i ragazzi che svolgono l’Erasmus si sentono molto europei, poiché questo genere di ‘istituti’ hanno avuto molto successo. Da questo punto di vista, i giovani sono molto avanti. Però, essi vorrebbero anche vedere soluzioni europee che producano dei risultati: il piano Jacques Delors lo poteva fare. Attualmente, abbiamo qualcosa che si incentra sui giovani e, proprio di recente, ho proposto che nella delineazione della ‘Tobin tax’ si scavi un ‘varco’ preciso per l’abolizione del cuneo fiscale, in modo da favorire l’occupazione giovanile”.
Ma quando riusciremo ad avere in Italia un buon inglese per tutti, dato che la lingua continua a rappresentare una delle questioni che divide gli europei?“In effetti, questo è un handicap dell’Europa: è impopolare parlarne, perché tutti difendono come un punto d’onore il fatto che nel Parlamento europeo si parlino più di 20 lingue. Temo, invece, che l’assenza di una lingua comune non agevoli lo spostamento della mano d’opera e non aiuti la comunicazione. Quindi, questo tema della lingua unificante prima o poi dovrà esser preso ‘di petto’. E' una questione impopolare, naturalmente, ma necessaria”.