Carmen PostaL’ambito filosofico e dei testi sacri è una parte importante nella pratica dello yoga. Per questo motivo, conoscere i manuali di riferimento è di grande aiuto per chi vuole esplorare e comprendere questa disciplina in profondità. Tra queste letture immancabili, vi è una pietra miliare: gli ‘Yoga Sutra’ di Patanjali (edito in Italia da Rizzoli, collana Bur). Un’opera breve, profonda. Semplice da leggere, ma complessa da afferrare nella sua essenza. Non dimentichiamo, che è pur sempre un testo antico, scritto in lingua sanscrita. Nel corso dei circa 2 mila 500 anni dalla sua stesura, sono state fatte così tante interpretazioni che un buon approccio è quello di affidarsi a un insegnante, per poi leggerne diverse, lasciandosi trasportare anche dalle proprie riflessioni intuitive. Solo in questo modo ci si può fare un’idea dei vari significati attribuiti a ogni aforisma e del loro vero significato per ognuno di noi. Perché il punto focale degli aforismi è la loro messa in pratica. Quindi, è importante che si riesca ad afferrare i concetti, in modo da poterli applicare nella semplice quotidianità. Se si vuole approfondire questo argomento, uno dei migliori testi in italiano è indubbiamente: ‘Gli aforismi yoga di Patanjali: alla ricerca di Dio’ di Swami Prabhavananda e Christopher Isherwood (Edizioni Mediterranee). Patanjali, a differenza di ciò che spesso erroneamente si dice, non è il "padre dello yoga", ma un’importante figura di riferimento. Nei suoi aforismi ha codificato un’introduzione allo yoga organizzata e ben strutturata. Ed è così importante, perché in essa indica una possibile via da seguire, passo dopo passo, per rendere la pratica dello yoga completa. Con ogni 'sutra' – aforisma – Patanjali traccia un cammino ben specifico, noto come: ‘Gli otto passi dello yoga’. Spesso anche denominato ‘Raja’ o ‘Ashtanga Yoga – Ashta’, che in sanscrito significa otto e ‘anga’: passi. Ovviamente, esso comprende otto elementi. Da segnalare però, onde evitare confusioni, che lo stile moderno di yoga, per l’appunto ‘Ashtanga’, creato dal guru indiano K. Pattabhi Jois, è una pratica differente. Le otto ‘anga’ di Patanjali sono: 1) Yama (autocontrollo); 2) Niyama (osservanze); 3) Asana (posizioni); 4) Pranayama (espansione della forza vitale); 5) Pratyahara (abbandono dei sensi); 6) Dharana (concentrazione); 7) Dhyana (meditazione); 8) Samadhi (connessione con il sé superiore). Alcuni dicono che l’idea è quella di seguire una linearità, susseguendo ognuno degli elementi che vengono proposti. Ma spesso questo non accade. E come abbiamo visto nell’articolo ‘I motivi della pratica dello yoga' (cliccare QUI), molti iniziano dal terzo step: quello delle asana. Questo accade anche perché, ognuno di noi, è un mondo a sé. Ciò che risveglia la volontà d’intraprendere un percorso interiore varia da persona a persona, così come gli strumenti e le condizioni che si hanno a disposizione, plasmando un cammino unico per ogni persona. Quindi, l’aspetto fondamentale non risiede in uno sviluppo rettilineo di questi passi. Piuttosto, è importante non perdere di vista che la pratica vera e propria avviene solo nell’espressione completa di questi otto elementi. E come unicamente, nella loro totalità, possiamo ricevere i benefici e vivere la trasformazione che risveglia la pratica dello yoga.





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