Michela ZanarellaIl 'selfie' è considerato un termine che ormai rientra nella quotidianità di ognuno di noi. Fa parte delle nostre vite in modo evidente. Tra l'altro, se analizziamo il significato del termine inglese, ci rendiamo conto che non è altro che il classico autoritratto fotografico eseguito attraverso un dispositivo digitale, come lo smartphone o il tablet, adattato a una dimensione social. Per essere al passo con i tempi, infatti, basta postare un 'selfie' sui social network come Facebook e Twitter, per poi condividerlo con gli amici e i follower: una tendenza che non appartiene solo ai giovani, ma a tutte le generazioni. E' proprio con la nascita delle prime piattaforme in internet, come Facebook e Instagram, che si è visto l'avanzare di questo fenomeno, divenuto alquanto popolare. Tanto per dare un riferimento temporale, possiamo dire che la moda del 'selfie' è esplosa a tutti gli effetti nel 2013, tanto che proprio in quell'anno è stato inserito nell'Oxford English Dictionary come termine di uso quotidiano e, nel 2014, anche in Italia il vocabolario 'Zingarelli' lo ha riconosciuto come vocabolo di uso comune nella lingua italiana. Se facciamo un passo indietro nel tempo, i primissimi autoritratti risalgono addirittura ai primi del novecento. Ne esiste testimonianza già dai tempi della giovane granduchessa russa Anastasia Nikolaevna che, allora tredicenne, si posizionò con un amico davanti allo specchio con la sua Kodak e scattò, accompagnando poi la fotografia con una lettera, per raccontare l'emozione di quel gesto. Si aggiunge, nel 1920, uno scatto di cinque Lords realizzata dai fotografi della società Byron, digitalizzata dal museo della città di New York. E' interessante capire cosa porti le persone di ogni età a fotografarsi in luoghi e situazioni particolari. E quali siano le esigenze che spingono gli individui a mettersi in mostra nelle loro azioni quotidiane: c'è chi si fotografa al bar con gli amici; chi in posizioni sexy e provocanti; chi in ufficio o al lavoro. Insomma, dalle persone comuni alle star, tutti danno sfogo a questa sorta di manìa. Che valore diamo alla nostra immagine? E come mai siamo così interessati a mostrarci agli altri e a sapere che cosa pensano di noi? Apparire nel mondo dei social è così determinante? Sembra vi sia l'esigenza di farsi vedere da più persone, per sentirsi in qualche modo considerati e accettati in quanto parte di un tutto. Ma è davvero così importante? Dare risalto al proprio ego con una serie di 'selfies', può diventare un modo per stare al centro dell'attenzione, ma anche per trovare quell'identità che ancora stiamo cercando. Anche il Papa, ogni tanto, si concede qualche 'selfie' e si presta a essere immortalato davanti all'obiettivo, mostrandosi agli occhi della gente in gesti quotidiani. Il 'selfie', in qualche modo, caratterizza e sottolinea le personalità degli individui, ne mette in luce le vicende umane fatte di bisogni, desideri, speranze, in cui i limiti e le fragilità vengono tralasciate da quel bisogno quasi ossessivo di mostrarsi. Dietro a questi scatti si nascondono non solo narcisismi, ma anche atteggiamenti infantili: la voglia di mascherarsi per rientrare in una realtà che consente di essere diversi. Molti utilizzano il 'selfie' per raccontare un momento importante, o particolare, della propria vita; altri per divertire se stessi e il prossimo; altri ancora per pura vanità. Esistono degli studi veri e propri su questa pratica, che scandagliano il fenomeno virale. La ricerca ha portato a risultati interessanti per comprendere, innanzitutto, le motivazioni che spingono gli individui a farsi un 'selfie': le differenze tra uomini e donne in questa pratica, oltre a un'indagine psicologica su chi compie tale atto o le caratteristiche delle distinte personalità. Ne è emerso che una percentuale del 39% si fa il 'selfie' per divertirsi e far divertire gli altri, ma non tanto per mostrarsi, bensì per raccontare agli altri dove sono, con chi sono e cosa si sta facendo. Dal punto di vista dell'utilizzo sono le donne a scattare più 'selfies' e lo fanno per dichiarare come si sentono o far capire come sono: un uso più consapevole e intimista rispetto agli uomini. Per entrare nelle caratteristiche di chi usa i 'selfies' dal lato della personalità risulta che chi lo fa si dimostra estroverso, con doti e capacità sociali, che lasciano intuire un buon autocontrollo. Sta di fatto che il 'selfie' è diventato argomento di dibattito continuo, di confronto tra gli esperti di psicologia e del settore della comunicazione digitale, ma non solo: ha stimolato anche le arti, con la realizzazione di spettacoli teatrali, canzoni, opere pittoriche. Ha portato alla sperimentazione e alla fusione di argomenti anche lontani e contrapposti. Se vogliamo citare uno spettacolo teatrale, ne è un esempio 'Il selfie e l'anima', diretto da Mirella Bispuri, un vero e proprio dramma esistenziale dove le coscienze acquistano significato solo nell'atto digitale del "raccontare un momento della propria vita". Diviso in quattro episodi, il testo tratteggia una modernità in cui il 'selfie' mette in luce la varietà emotive e caratteriale di alcuni personaggi che vivono negli appartamenti di uno stesso condominio. La condivisione del sé ha inoltre prodotto eventi che prevedono il 'selfie' come motivo dominante dell'iniziativa. Basti pensare agli 'happening' di danza, arte e poesia a base di 'selfie'. Nel mondo della musica, anche la grande Mina è stata contagiata dal fenomeno, tanto che il suo album in studio numero 72 s'intitola proprio: 'Selfie'. Ogni traccia propone ritratti di donna in prima persona, forniti dagli autori delle canzoni incluse nel disco. Dalla Francia alla Danimarca, le mostre d'arte dei ritrattisti dello smartphone non mancano. E proprio a Parigi, nel Centre Georges Pompidou, dal 22 al 25 ottobre 2015 si sono incontrati i nuovi 'Rembrandt del selfie'. Sempre a Parigi, nel 1903, il principe Leòn Radzwil si autofotografava insieme alla sua compagna e a Marcel Proust. Se indietreggiamo nel tempo, viene poco naturale ripensare agli antichi, che avevano l'ambizione e il desiderio di tramandare la propria immagine ai posteri: una sorta di necessità a essere immortali. Il culto greco ne è una dimostrazione concreta. Ma esiste un legame nei secoli che ci permette di capire come, in fondo, le persone non siano cambiate molto nei loro atteggiamenti. L'attitudine a rendere eterno un momento, un'azione della giornata, un'emozione attraverso i mezzi multimediali è ormai attività consueta, considerata normale. La Storia ci mostra un interesse umano e mondiale verso l'immagine individuale, l'autoritratto e l'autoscatto. Non bisogna inoltre sottovalutare come tale moda, che ha conquistato i continenti, possa trasformarsi in ossessione, comportando dei rischi per se stessi e gli altri. Si può incorrere in situazioni spiacevoli, dove le critiche di chi osserva e commenta possono provocare un danno, non solo all'immagine, ma anche alla dignità personale. Inoltre, esiste il rischio del 'ricatto', che non è da sottovalutare. Diventare dipendenti da questa tendenza è possibile, poiché ci si può addirittura 'ammalare'. Lo testimonia la vicenda di un ragazzo inglese, Danny Browman, che ha rischiato il suicidio talmente era divenuto succube del 'selfie'. Per fare in modo che esso non diventi una patologia e un rischio per la salute, è necessario capire bene l'uso che se ne vuole fare, perché rischiare di cadere in un vortice senza uscita è facile. Divertirsi e fotografarsi con consapevolezza è giusto: basta non esagerare. Quindi, 'selfie' con moderazione e non a ogni costo.


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