Vittorio CraxiNon è passato neanche un mese e mezzo dall’assemblea di Sinistra e Libertà di Bagnoli, quella nella quale con enfasi fuori posto Nencini e Di Lello annunciarono “piena e convinta adesione al progetto politico di Sinistra e Libertà”. Com’è, come non è, alla luce degli avvenimenti che seguirono quell’evento, che solennemente preannunciava un percorso politico chiaro e definito - la presentazione di liste comuni di S&L alle regionali, preambolo di un più ampio e duraturo patto d’azione che sarebbe culminato nella celebrazione di un congresso da tenersi dopo le regionali - il progetto é franato, finito, fallito nel peggiore dei modi. Ed ora si vuol fare finta di niente. L’Assemblea nazionale del Ps aveva ratificato fin da luglio quella linea politica senza indugi, respingendo la richiesta di un congresso nazionale che sancisse il cambio di linea politica stabilito a Montecatini. I dissenzienti avevano preso la strada dell’abbandono del Partito e manifestato una netta contrarietà a questo vero e proprio suicidio politico. Nencini ha cercato di scoraggiare ulteriori divisioni e l’utilizzo della originale denominazione socialista cambiando il nome del partito (irritualmente, perché decisioni di questo tipo si assumono nelle assemblee nazionali aventi poteri congressuali, come recita lo statuto) ritenendo, anche per lui, insidiosa un’eventuale concorrenza elettorale, pur avendo scelto la presentazione sic et simpliciter con Sinistra e Libertà. Galeotta fu la sua scelta politica in Toscana, in cui ha stretto un serrato patto con il Pd locale che difficilmente sarebbe stato proponibile ad un’assemblea di Sinistra e Libertà ai fini di una presentazione alle elezioni che prevedesse deroghe ed eccezioni. La crisi pugliese, l’abbandono dei Verdi, la divisione socialista, i rapporti interni a Sinistra e Libertà e fra i socialisti che con convinzione avevano aderito al progetto e fra quelli che con scetticismo avevano, senza condizionare, lasciato fare il ‘manovratore’, sono state concause di questo clamoroso fallimento politico e di questo altrettanto clamoroso cambio di spalla del ‘fucile nenciniano’. Ora sta cercando di adottare  una strategia che fa venire il  mal di mare: dopo aver cercato d recuperare, snobbato dal congresso, un rapporto con Pannella, ha confermato fedeltà all’alleato Bersani, ricercando terreni di convergenza anche con Casini. Insomma, la parola d’ordine è far dimentica ‘re Vendola’ e non far dimenticare i socialisti e soprattutto chi li guida. Ha lanciato, con ‘no chalance’ “la linea dell’autonomia socialista” attribuendo a Sinistra e Libertà e al suo gruppo dirigente, Vendola in testa, la responsabilità del fallimento. Ma quale sarebbero le colpe di Vendola? Sin dall’inizio non solo era chiara la strategia, ma era anche ovvio, legittimo e logico l’obiettivo di fondo di un’alleanza politica che andava trasformandosi in un tentativo, politicamente anche nobile, di creare un’alternativa nella sinistra al Pd. Non contro di esso, ma diverso da esso, cercando di inserirsi nelle contraddizioni del grande Partito promuovendo una posizione più laica, più sociale, più progressista, cercando di sviluppare coerentemente una linea autonoma di fuoriuscita dalla gabbia dogmatica comunista ed approdando verso le dominanti correnti europee della nuova sinistra. Questo avrebbe dovuto modificare l’impostazione politica e ideologica dei sopravvissuti socialisti, sviluppando anch’essi coerentemente una revisione che promuovesse una convergenza nuova, ma non inedita, delle correnti riformiste più moderne con i filoni adogmatici dei reduci dell’esperienza rifondativa del comunismo italiano: troppo per un’organizzazione piccola, che ha fondato il suo carattere di resistenza socialista innanzitutto sulle enclaves elettorali tenutesi in piedi dopo la bufera della fine della prima Repubblica. E troppo anche per un gruppo dirigente reduce da comuni esperienze che non ha fondato su una prospettiva ideologica, bensì su un legittimo spirito di sopravvivenza identitaria, il proprio collante ed il proprio idem sentire. L’alleanza con massimalisti, tardo - giustizialisti e settori orgogliosi di una sinistra d’antan non poteva avere alcuna possibilità di sopravvivenza. E, quel che peggio, rischiava di non rendere alcun beneficio elettorale per i socialisti della diaspora. Questi i fatti, la parziale ma realistica versione delle cose che si sono verificate nel giro di pochi mesi. Lo scoglio elettorale dev’essere superato, ma il danno provocato da questo passo falso ha determinato condizioni ancora più precarie di resistenza sulla provata comunità socialista. E’ necessaria una radicale catarsi ed una prova di coraggio politico, sapendo essere capaci anche di analisi politiche dal respiro lungo e non solo di trattative dall’utile immediato che non puntano ad una capacità di perseguire, per l’avvenire, un obiettivo più ambizioso. Se non si apre una discussione politica fra i socialisti, si prepara un nuovo terreno per ulteriori divisioni. Io, per parte mia, non chiedo né il conto, né pretendo il privilegio di aver denunciato per tempo questo stato di cose e gli errori che puntualmente si sono riprodotti. Però vedo troppa disinvoltura nel ritenere di poter rappresentare i socialisti, in Italia, cambiando opinioni, schieramenti e prospettive come se nulla fosse. Torno a ripetere che una sede politica allargata sarebbe il luogo ideale per evitare ulteriori fratture e divisioni. Diversamente, ciascuno cercherà di far valere le proprie ragioni e il proprio peso nella società italiana.




(articolo tratto dal blog www.socialist.it)
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