Vittorio LussanaA poche settimane dal varo definitivo delle nuove linee ferroviarie ad alta velocità, il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Altero Matteoli, ci illustra, in questa intervista, i principali impegni infrastrutturali previsti dal piano delle ‘Grandi Opere’ del Governo Berlusconi, una serie di interventi fondamentali al fine di modernizzare definitivamente l’Italia e riportarla al livello dei principali Paesi dell’Unione europea. Possibilmente, senza sconvolgere il nostro patrimonio paesaggistico.

Ministro Matteoli, può illustrarci a grandi linee il programma di opere previste dal Governo per i prossimi anni? In che modo saranno in grado di migliorare i nostri rapporti, soprattutto economici, con l’Europa?
“Appena insediato al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ho chiesto ai miei collaboratori di approntare un piano triennale di opere strategiche, privilegiando quelle ‘cantierabili’ e quelle che servono al ‘sistema – Paese’ per sviluppare e favorire la sua economia. Abbiamo quindi presentato il piano, poi approvato dal Parlamento, che prevede la realizzazione di interventi in tutto il territorio per 44 miliardi. Il Cipe, nella seduta del 6 marzo 2009, ha approvato la prima ‘tranche’ di investimenti per 17,8 miliardi di euro”.

Sino al 1975 l’Italia era considerato il Paese con la rete autostradale più sviluppata dell’intero ‘Vecchio continente’ dopo la Germania. Oggi, non è più così: da cosa è dipeso un crollo così evidente degli investimenti infrastrutturali negli ultimi 30 anni?
“E’ proprio vero: dopo quell’anno si è verificato un stop protrattosi per lunghi decenni. Ora paghiamo in modo pesante scelte politiche poco lungimiranti, per utilizzare un eufemismo. Sono prevalse logiche insensate, tutto l’opposto di quanto accadeva nella vicina Francia e in altri Paesi europei. Non possiamo ora, però, piangere sul ‘latte versato’, ma invertire la rotta, come stiamo facendo”.

Nell’Unione europea si è puntato a rafforzare moltissimo anche la rete ferroviaria. Invece, l’Italia si ritrova ancora con interi tratti non elettrificati e a binario unico, con tempistiche di percorrenza, in particolar modo in Calabria e Basilicata, spaventosamente lunghe: è mai possibile non si possa adeguare il nostro Paese al resto d’Europa anche in questo settore?
“E’ uno dei ritardi più vistosi del nostro sistema infrastrutturale. Un passo importante lo abbiamo fatto con l’alta velocità, che entro la metà di dicembre coprirà le tratte Torino – Milano – Bologna - Firenze – Roma – Napoli e Salerno. E’ un grande segno di modernità, ma lo sforzo deve proseguire per portare l’alta velocità fino al Sud e per affrontare anche l’arretratezza delle linee regionali. Su questo fronte, un ruolo importante devono giocarlo le Regioni, compartecipando alle spese dei servizi locali. Qualche Regione lo fa, altre no. Occorre rivedere questa situazione, per un miglioramento sia del servizio cosiddetto universale, sia di quello regionale”.

Alcune piccole e medie imprese italiane, in questo momento sono impegnate nella costruzione di porti turistici e di svariate altre importanti infrastrutture in Paesi entrati da poco tempo nell’Unione europea: ciò può servire, eventualmente, a generare una nuova ‘schiera’ di aziende in grado di partecipare più attivamente alla modernizzazione definitiva anche del nostro Paese?
“Può servire senz’altro. Ma mi auguro che le nostre imprese abbiano la possibilità di investire nella portualità turistica italiana, che è molto arretrata rispetto alle potenzialità offerte dal nostro territorio e dalle nostre coste. Si tratta di un settore che potrebbe dare un contributo rilevante allo sviluppo dell’economia”.

Voglio raccontarle un fatto personale: nel 1987 mi recai per la prima volta in Spagna e, per ‘coprire’ in automobile il tratto tra Bilbao e Santander, mi ci vollero molte ore di guida. Già l’anno successivo, tuttavia, mi capitò di trovare pienamente praticabile e utilizzabile una nuovissima autostrada, che è riuscita a collegare tutta la regione settentrionale della penisola iberica con il resto dell’Europa, dai porti della Galizia e di Gijon sino all’area del Benelux: come mai qui da noi queste cose non succedono mai?
“La lentezza nella realizzazione delle opere pubbliche è una delle caratteristiche più penalizzanti dell’Italia, di cui dobbiamo liberarci. Da maggio 2008 a oggi abbiamo lavorato con molto impegno anche su tale versante. E i risultati, almeno sul piano delle norme, li abbiamo già ottenuti: mi riferisco alla riforma del codice degli appalti e ad altre varie normative che mirano a semplificare le procedure e a velocizzare la ‘cantierabilità’ delle opere pubbliche. Ora vediamo quali saranno i risultati pratici, restando sempre pronti per altre modifiche nel segno di un’ulteriore  semplificazione, che non vuol dire, attenzione, meno controlli: si possono fare i controlli velocizzando la realizzazione delle infrastrutture”.

La costruzione del ponte sullo Stretto di Messina è così importante al fine di collegare la Sicilia al resto d’Europa? Non era meglio concentrare le risorse sulla modernizzazione di alcuni porti e di alcuni ‘scali’ ferroviari e industriali?
“Il Ponte sullo Stretto è, per il Governo, un’opera prioritaria. Crediamo che il manufatto farà da ‘volano’ per la realizzazione delle altre opere indispensabili alla Sicilia e alla Calabria. Per fare il Ponte servono sei anni di lavoro e circa 40 mila addetti troveranno occupazione. Se si realizzasse solo il Ponte sarebbe come edificare una ‘cattedrale nel deserto’. La sua realizzazione imporrà, invece, di fare altre opere, rendendo moderna e ancor più accattivante una delle zone più belle del mondo”.

Il noto ‘corridoio 5’ unirà l’Europa occidentale con quella orientale passando per la pianura Padana, mentre il ponte sullo Stretto creerà un corridoio tirrenico in grado di collegare l’Europa sino a Trapani. E per il cosiddetto corridoio adriatico? Cosa è previsto, al fine di rafforzarlo?
“Con la rivisitazione delle reti ‘TEN’ europee, puntiamo a inserirvi anche il ‘corridoio 8’: Napoli – Bari – Varna. Abbiamo già previsto la realizzazione della nuova tratta ferroviaria ad alta velocità Napoli - Bari, mentre altre opere sono previste per implementare il corridoio adriatico quali, ad esempio, il segmento della ‘Romea’ lungo l’asse Civitavecchia – Orte – Cesena - Mestre, l’interazione tra l’asse autostradale, la città di Ancona e il suo porto, interventi tecnologici lungo la ferrovia adriatica, nonché l’adeguamento degli impianti intermodali di Termoli. In tal modo, il corridoio adriatico diventerà una vera e propria ‘bretella’ di collegamento tra i corridoi 5 e 8 dell’Ue”.

Paesi come la Libia, l’Algeria e la Tunisia considerano l’Italia il principale ‘ponte’ naturale per il trasporto delle merci a fini di esportazione nel resto d’Europa: lei non crede che la nostra futura ristrutturazione stradale, portuale e ferroviaria sia necessaria soprattutto al fine di rilanciare la storica vocazione italiana verso il Mediterraneo?
“La rivisitazione delle cosiddette reti ‘TEN’, che il Governo italiano ha sollecitato all’Europa - e poi accettata dalla Commissione - mira anche a questo: l’Italia ha le sue migliori potenzialità proprio nel Mediterraneo e dobbiamo sfruttarle al meglio. In Africa ci vanno i cinesi e noi non possiamo stare a guardare, né l’Italia può fare solo da ‘piattaforma di passaggio’ per il resto dell’Europa. Abbiamo instaurato numerosi contatti con diversi Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dall’Egitto, alla Libia, alla Turchia, con i quali contiamo di stringere sempre più numerosi accordi bilaterali di cooperazione nel settore delle infrastrutture stradali, ferroviarie e portuali. Molti di questi accordi li abbiamo già sottoscritti e saranno operativi a breve”.

Sarà possibile realizzare tutto ciò che il Governo ha in programma in questo settore senza devastare il Paese con eccessi di cementificazione, ovvero rispettando sempre i diversi contesti paesaggistici?  
“Sono stato per quattro volte ministro dell’Ambiente e conosco queste problematiche. Ho sempre pensato che l’uomo abbia ormai sviluppato capacità tecniche e tecnologiche per realizzare delle infrastrutture senza ferire più di quanto è indispensabile la natura. Lo credo ancora e, in questo senso, cerco di operare. La politica dei “no” a prescindere ci ha condotto ai ritardi che ora paghiamo. Non possiamo ripetere gli errori del passato”.


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