Antonio Di Giovanni

Lo scorso 14 aprile 2008 è caduta inesorabilmente la sinistra ‘antagonista’ italiana: il Paese reale ha infatti cancellato dalle istituzioni governative comunisti, verdi, ‘rifondaroli’ e pacifisti. Si potrebbe dire: una bella lezione dalla gente comune. Ma il fenomeno è molto più complesso, anche se poi l’Italia è un Paese fatto a modo suo, in cui tutto si mescola e si ribalta. Certo è che la gente comune, diversamente da alcuni giornalisti e da alcuni politici, ha cominciato a capire che la cosiddetta sinistra antagonista cominciava ad infischiarsene delle famiglie e degli operai, per lasciar spazio, ad esempio, alla sinistra di Luxuria, che chiedeva farmaci gratis per chi cambia sesso mentre milioni di anziani non ce la fanno nemmeno a comprarsi un’aspirina, o quelli della corte salottiera di attori e cantanti che si dicono comunisti, fanno la predica contro il centrodestra, insieme alla squadra di comici antiberlusconiani, per poi andare con la Maserati o la barca da 4 milioni di euro a votare il loro esponente politico di sinistra. E’ davvero arrivato il momento di fare autocritica, ricominciando da zero: se il popolo italiano è ormai giunto a ritenere che le forze di sinistra siano le principali rappresentanti dei ceti cosiddetti ‘agiati’ e che siano le destre, invece, quelle che difendono gli interessi dei più poveri, significa che la tradizione culturale della sinistra italiana ha perduto ogni sorta di fascino anche sulle nuove generazioni, smarrendo in un colpo solo, insieme ai suoi difetti storici, anche i propri pregi. Una sinistra politica contigua a quella giornalistica ed al mondo affaristico delle banche e delle assicurazioni, con gli interessi delle cooperative rosse, e così lontana dai lavoratori delle fabbriche, dalle problematiche sociali e assistenziali, dal precariato e da un riequilibrio dei redditi, insomma da quelle radici che, in sintesi, sono l’emblema stesso della sinistra. La famosa “funzione liberale della classe operaia”, ovvero l’attitudine della lotta di classe a rendere più aperta e creativa una società sempre in punto di soccombere sotto la cappa dell’economia globale, è stata sostituita da un’attrazione per le convenienze momentanee, fatale tendenza che ha portato alla luce le più recenti malattie di forze politiche altamente ideologizzate. Così come il sindacato, che rischia la stessa fine in quanto corresponsabile principale dell’impaludamento di un Paese che lavora. Infatti, con il suo atteggiamento, la Triplice ha burocratizzato il lavoro difendendo la contrattazione collettiva al solo fine di salvaguardare il proprio potere corporativo ed il suo nuovo ruolo imprenditoriale. Qualche tempo fa, fece ridere lo slogan di Berlusconi: “Un presidente operaio”. Oggi, invece, qualcuno piange nel tentativo di decifrarlo, mentre le piccole e medie imprese, i piccoli artigiani e gli stessi operai fanno i conti con sportelli bancari dal ‘braccino corto’ e dalle fauci insaziabili. Certo, dispiace un po’ che personaggi politici come Rizzo e Diliberto riducano le responsabilità di questa ecatombe al mero effetto della mancanza dell’effige della falce e martello sul simbolo del partito: sembrerebbe, da parte loro, una sorta di doppiezza di chi è costretto a professare, da una parte, una visione totalmente strumentale della sinistra, dall’altra una nuovo tentativo di ricerca della propria identità cercando una mano provvidenziale nella Storia di un partito fedele alla dottrina marxista. In ogni caso, la politica dei compromessi di questa sinistra ‘radical chic’, attraversata da ambizioni e personalismi, altresì poco attenta a quelle lotte quotidiane dei lavoratori tese a conquistare nuovi diritti sociali, non ha pagato in termini di consensi, laddove, invece, le radici della sinistra trovavano, un tempo, il serbatoio di voti più capiente. Spero, a questo punto, che la lezione sia servita. Ma soprattutto, spero che si smetta di porre al centro dei problemi dell’Italia il ‘berlusconismo’ e il ‘veltronismo’, pensando finalmente a far decollare questo benedetto Paese attraverso riforme ed efficaci misure di rilancio dell’economia e del lavoro.


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