Daniela Binello

Da gennaio, i consensi a favore di Hamas hanno superato quelli per Fatah. Un sondaggio del palestinese ‘Jerusalem Media Communication Centre’ (Jmcc) riporta, infatti, che in caso di nuove elezioni a Gaza e in Cisgiordania il 28,6% voterebbe per Hamas (nell’aprile del 2008 era il 19,3%) e il 27,9% per Al - Fatah (contro il 34% di un anno fa). La crescita del consenso per Hamas riflette un aumento di popolarità per questo movimento islamico integralista anche in Cisgiordania (salito dal 12,8% al 26,5%), il che rende più plausibili le voci di una migrazione da Fatah ad Hamas di alcuni dei suoi ranghi presenti oggi nell’Olp. Per quanto riguarda i leader, i dati parlano del 21,1% a favore di Ismail Haniyeh (leader di Hamas a Gaza) e solo del 13,4% per il presidente dell’Anp Abu Mazen (Olp e Al - Fatah). Il sondaggio è stato effettuato su un campione di 1.198 palestinesi di Gaza e della Cisgiordania (l’errore sul campione è calcolato nel 3%). Potendo ritenere attendibili questi numeri, non meraviglia una voce trapelata nelle ultime settimane relativa all’imminente liberazione di Marwan Barghuti, il leader di Al - Fatah che sconta l’ergastolo nelle prigioni israeliane con la condanna di aver ispirato l’omicidio di cinque israeliani. La liberazione di Barghuti è un’opzione verosimile, perché fa da cerniera a due forti interessi. Barghuti è considerato da molti palestinesi il successore naturale di Arafat, cioè l’uomo che siederà al tavolo della pace. Rimetterlo in circolazione rappresenterebbe, da un lato, il tentativo di rafforzare (o rimpiazzare) il presidente dell’Anp, Abu Mazen, il cui mandato presidenziale è scaduto in gennaio (era stato eletto il 9 gennaio del 2005), contrastando la crescita di Hamas con un rilancio (questa volta assai carismatico) di Al - Fatah. Dall’altro lato, è funzionale all’interesse israeliano di sbarrare la strada ad Hamas nella sua marcia verso la conquista del governo palestinese e verso una riabilitazione internazionale. Quando si parla di Barghuti non bisogna confonderlo, naturalmente, con un altro Barghuti, ma Abdallah, per il quale non ci sono trattative in vista dato che si tratta di un membro delle Brigate Ezzedin Al Qassam (braccio armato di Hamas). Più interessante, invece, l’attivismo di un terzo Barghuti, Mustafa, parente stretto di Marwan Barghuti e segretario generale del Palestinian National Initiative (Pni), il quale sembra, però, un personaggio più efficace sotto l’aspetto dell’autorevolezza morale (è un fautore del dialogo pacifista fra Israele e Palestina) che non come prossimo premier (o presidente). L’ascesa di Hamas è parsa evidente anche quando, nello scorso febbraio, Khaled Meshaal, il leader carismatico di Hamas in esilio a Damasco, ha affermato che “il popolo palestinese, sia all’interno, sia nella diaspora, necessita di una nuova struttura” riferendosi senza alcun dubbio all’Olp e ai palestinesi che vivono nei Territori e nella Cisgiordania. Immediata la protesta di Abu Mazen e del segretario dell’Olp Tayeb Abdelrahim, che ha bollato Hamas come “forza fascista al servizio di agende regionali stabilite da altri”. Cioè, al servizio di Iran e Siria, più alcuni sceicchi fiancheggiatori delle petrolcrazie. La situazione si approssima alla resa dei conti in vista delle prossime elezioni palestinesi, che non potranno essere promulgate oltre la fine di quest’anno. La modifica della Basic Law (legge elettorale) voluta dal presidente Abu Mazen ha infatti accorpato le elezioni presidenziali a quelle legislative, rendendo possibile posticiparle a fine 2009. Nel frattempo, Abu Mazen vorrebbe consolidare al più presto un governo di unità nazionale, un escamotage che sembra visto di buon occhio anche dai leader integralisti di Hamas, soprattutto da quando è arrivata la notizia di una montagna di soldi stanziati per ricostruire Gaza dalla comunità internazionale il 2 marzo a Sharm el - Sheikh: oltre 4 miliardi di dollari. A ben pensarci, sull’esito della Conferenza sul Mar Rosso affiorano i ricordi e, con essi, le cosiddette ceneri di Annapolis. Annapolis è il nome della base militare navale americana del Maryland dove, nel novembre 2007, si tenne un vertice per rilanciare la ‘Roadmap’ per il Medio Oriente. Fu l’ultimo atto della dottrina Bush in politica estera. Ad Annapolis, è la Storia che parla: non si stabilì nessuna scadenza per i negoziati, nessun impegno per il congelamento delle colonie ebraiche in Cisgiordania e nessun accordo sullo status futuro di Gerusalemme. Abu Mazen, come di consueto, non volle nemmeno riconoscere Israele come Stato ebraico. Viene da dire: come a Sharm - polis.


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bojago alvise - italy - Mail - domenica 15 marzo 2009 13.49
Non mi meraviglia troppo la scelta degli elettori a favore di Hamas.
Arafat fu idolatrato quando , inconcludente, tornò in patria dopo i tentativi di accordo fatti a Camp David, al termine della presidenza Clinton.
Barak aveva rifiutato l'idea di concedere il diritto al ritorno per i discendenti dei palestinesi che dal 1948 erano scappati.
Per costoro non vale lo scambio di terra-pace.
La terra islamica non è trattabile. (Anche Bin Laden ragiona così, quando ricorda che la Spagna fu musulmana).
Se i laici europei non entrano in questo universo mentale non saranno mai in grado di elaborare progetti e soluzioni per quell'area.
Sadat , che accettò qul principio, fu ucciso proprio dai Fratelli Musulmani egiziani, lo stesso gruppo da cui nacque Hamas.

Fare dunque ulteriori pressioni su Israele per altre concessioni, non porterà Hamas a trattare o a accontentarsi.

La scelta di giocare la carta Bargouti mi pare buona, ma non è garantito unsito finale favorevole. Hamas potrebbe assassinarlo come fece con Sadat.

Forse in Europa , volendo guardare solo alla distruzione e ai lutti di Gaza, non hanno ben capito chi sia Hamas.
Bye
Giulio - Milano - Mail - giovedi 12 marzo 2009 13.31
Sono molto pessimista sulla pace in medio oriente. Soprattutto se continuerà questa tendenza al radicalismo nel mondo arabo.Credo che solamente il dialogo possa invertire certe tendenze. Purtroppo, però, dieci anni di Bush alla presidenza degli Usa hanno prodotto solamente una situazione di disillusione, se non peggio, negli animi di mezzo mondo.
Francesco Mangascià - Assisi Italia - Mail Web Site - mercoledi 11 marzo 2009 18.1
Con la liberazione di Barghouti,Netanyahu, metterebbe a dura prova la sua vittoria. Israele magari potrebbe essere sarebbe aiutata a fare un operazione che portasse ala liberazione di Shalit, per far mantenere consenso al Lukud, ma poi? nasceerbbe un governo col Kadima e Liebrmann out? E a che prò, per far contenti gli intellettuali? il Kadima alla prima occasione farebbe cadere il governo;forse 'qualcuno' potrebbe garantire il buon esito per un annientamento di tutte le centrali nucleari iraniene ma ciò come averrebbe anticipatamente o posticipatamente? La strada x la Pace a ancora assai lunga, poiché gli ostacoli, SPECIE QUELLI IRANIANI, non sono facili da rimuovere.


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