Maria Elena GottarelliIl 23 agosto scorso è ricorso il 12esimo anniversario dalla nascita dell'hashtag. Era, infatti, il 23 agosto 2007 quando Chris Messina, un avvocato di San Francisco, propose via Twitter di riunire tutti i contenuti riconducibili a uno stesso tema sotto il simbolo #. "Cosa ne pensate di usare questo simbolo (#) per indicare dei gruppi"? Questa la domanda che egli propose. Fu l'inizio di una delle più importanti rivoluzioni digitali della nostra epoca. Il primo a rendersi conto della potenzialità di questa idea è stata Nate Ritter, che nell'ottobre dello stesso anno si servì del 'cancelletto' per raccontare lo spaventoso incendio che stava devastando la città di San Diego, in quello che può essere definito il primo 'live tweeting' della Storia. In tutto il mondo, chiunque ha portuto seguire quello che stava accadendo nella città californiana semplicemente digitando #sandiegofire. Nel 2009, Twitter ha dunque introdotto il collegamento ipertestuale sugli hashtag. Il gioco era fatto: da simbolo periferico della tastiera di cellulari e ordinatori, il cancelletto si trasformò definitivamente in uno strumento di comunicazione universale, capace di raggruppare contenuti diversi sotto un'unica macrocategoria. Gli utenti, oggi, se ne servono sempre più, perché è rapido, semplice, efficace e perché permette a qualsiasi idea di circolare più velocemente, ovunque nel mondo. Di più, a livello psicologico l'hashtag ha l'effetto di suggellare discorsi. Un semplice: "Non voglio più mangiare le cipolle" diventa: "Non voglio più mangiare le cipolle: #bastacipolle". Tutta un'altra cosa, no?

Virale
Benvenuti, insomma, nell'epoca della globalizzazione 2.0, dove un'idea nata a Mosca può diventare virale nel giro di poche ore a Madrid e a Tokyo. Retweet dopo retweet, condivisione dopo condivisione, l'hashtag è un serpente virtuale con la testa sul Monte Bianco, la coda sull'Himalaya e le sue spire sui Balcani. Genera tendenze (o epidemie virtuali) fungendo anche da potente strumento di denuncia e di inchiesta giornalistica. Fra gli hashtag più celebri degli ultimi anni non si può non ricordare #MeToo, il controverso movimento femminista contro le violenze nei confronti delle donne nato nell'ottobre del 2017 in seguito alle rivelazioni sul caso Harvey Weinstein. Pesantemente criticata da alcune frange della destra, ma anche da noti intellettuali e liberi pensatori, la campagna ha comunque avuto il merito di sollevare l'attenzione su una grave problematica della nostra epoca, permettendo a molte donne vittime di violenze fisiche o psicologiche di trasformare i loro sentimenti di vergogna, isolamento e umiliazione in senso di appartenenza a un movimento di punta. Ma l'hashtag è anche un potente strumento politico: un vero e proprio invito a nozze soprattutto per i leader populisti. In Italia, Matteo Salvini ne ha abusato per le sue campagne: dal #VinciSalvini delle ultime elezioni europee al celeberrimo #PortiChiusi, passando per #IoNonMollo di mussoliniana memoria. Nelle scorse settimane, l'attenzione internazionale è stata indirizzata sugli incendi che stanno devastando la foresta amazzonica grazie all'hashtag #PrayforAmazonia che, alla stregua dei #FridaysForFuture, ha contribuito alla mobilitazione di migliaia di giovani in tutto il mondo nella comune lotta per la salvaguardia dell'ambiente. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi quasi all'infinito, ma il risultato non cambia. Il simbolo "#" contraddistingue sempre di più la nostra epoca, le sue contraddizioni e le sue lotte. Nel 2013, Zygmunt Bauman sosteneva che la vita si divide nettamente fra online e offline e che i social network sono un luogo di fragilizzazione e di disimpegno. "I social media spesso sono una via di fuga dai problemi del nostro mondo off line, una dimensione in cui ci rifugiamo per non affrontare le difficoltà della nostra vita reale", ha sostenuto in occasione di una conferenza stampa alla Camera di Commercio di Milano. Gli hashtag sopra menzionati (ma ce ne sono molti altri) sembrerebbero sconfessare la tesi del noto sociologo polacco. Negli ultimi anni, i social network si sono innegabilmente trasformati da semplice luogo di svago a strumento principale di informazione e di lotta politica, soprattutto fra i giovani e giovanissimi. Persino gli scioperi ormai nascono sui social e si riversano nelle piazze. Per chi non fosse ancora convinto, ricordiamo che il movimento dei 'Gilet Gialli' in Francia è nato da un gruppo su Facebook e ha fatto vacillare per diversi mesi il governo di Macron, al grido comune di #MacronDemission. Insomma, l'hashtag sta dando all'impegno sociale una nuova dimensione, dai tratti inediti e controversi. Ma questa è già un'altra storia.


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