Vittorio LussanaL'Italia è un Paese fatto alla rovescia. Sin dai tempi del Risorgimento, essa avrebbe dovuto riunificarsi in base al genio e alla creatività dei meridionali, unite alle capacità organizzative dei piemontesi. Le cose andarono esattamente al contrario. E ancora oggi, questa nostra caratteristica spiega molto bene tante incongruenze e contraddizioni. Ma a prescindere da ciò, bisogna indubbiamente ammettere che, sotto il profilo della creatività e dell'astuzia, noi italiani non siamo mai stati secondi a nessuno. Ma esiste un limite alla fantasia? Siamo certi che essa non possa trasformarsi, spesso e volentieri, da qualità a bizzarrìa, insomma in un difetto? Innanzitutto, sarebbe buona cosa che la nostra capacità inventiva fosse accompagnata anche da una mentalità maggiormente organizzativa, cioè da un ingegno 'tecnico' che funga da base strutturale della nostra creatività. In secondo luogo, tra i distinti modi di essere creativi dovremmo comprendere maggiormente anche le varie tipologie di mutualismo, in quanto portatrici di criteri e di valori che, nella 'piattezza' dello sviluppo tecnologico - o 'tecnocratico' - in atto, diventano nuovi modi di colorare dialetticamente la realtà che ci circonda. In buona sostanza, la pura originalità è un falso mito. Anche le forme architettoniche barocche del XVII secolo non furono altro che lo sviluppo di elementi di realismo neoclassico, sulle quali si innestarono una serie di irregolarità che raggiunsero, in molti casi, l'eccesso opposto: quello di una creatività artistica angosciante, che finiva col porre, in termini strettamente filosofici, una domanda basilare sull'effettiva esistenza di un senso nella nostra vita. Tutto ciò dovrebbe, teoricamente, averci insegnato che anche la fantasia e la creatività hanno i loro limiti, poiché esse, allorquando superano il confine dell'ammissibile, provocano il sorgere di nuove esigenze empiriche, pratiche, materialistiche. In buona sostanza, fantasia e creatività giungono, a un certo punto, a generare il loro opposto. Ovvero, l'esigenza di un ritorno alla solidità, alle fondamenta della nostra identità più profonda, autentica, reale. Per dirla con Vico, tale processo comprova, ancora una volta, come ogni opera dell'uomo, anche la più complessa, giunga sempre di fronte ad alcuni momenti di svolta, i quali ripropongono il tema della semplicità, di un'estetica più naturale e, al contempo, più vicina a quei princìpi originari in grado di aprire un nuovo ciclo della Storia. Insomma, fantasia e creatività possono arrivare a dar vita a veri e propri 'Leviatani', i quali finiscono col rappresentare la crisi stessa della complessità e della distorsione, mutualistica o meno essa sia. Perché c'è sempre un ritorno alle origini, in tutte le cose. Guai se così non fosse, poiché ciò significherebbe attardarsi attorno a concetti e a idealità statiche, fisse, immutabili. Significherebbe escludere ogni principio di elasticità, che invece svolge un ruolo 'meta-empirico' ben preciso nell'intero universo. Anche la materia viene posta al vaglio del tempo e dell'esperienza: è questo il vero principio scientifico della fantasia, della creatività, dell'arte in quanto momento di 'pura soggettività'. E all'interno di un simile percorso, non è affatto vero che il disegno dell'uomo sia poi così oscuro e misterioso: la nostra esistenza viene posta al vaglio dello 'spirito', che è ciò che connota veramente il nostro percorso storico-evolutivo. Il ciclico ritorno alle origini è la vera forza che 'media' la fantasia umana e la sua energia creativa, ponendo il singolo individuo di fronte a se stesso e alla sua autenticità. Detto in termini teologici: innanzi alla sua 'veracità'. In un simile disegno, persino l'esistenza di Dio può trovare una nuova collocazione. Persino la fede e i misteri a essa legati possono svolgere una loro funzione. Questa è, dunque, la vera forza della creatività e dell'intelligenza umana: riportarci regolarmente verso quelle forme di sobrietà, di essenzialità, di semplicità, che sono la dimostrazione stessa di come il nostro cammino nella Storia non sia affatto un esilio. E che la nostra stessa esistenza sia assai meno dolorosa e angosciante di quanto noi stessi, in certi momenti della vita, più o meno convintamente, riteniamo o crediamo.

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(editoriale tratto dalla rivista mensile 'Periodico italiano magazine' n. 48 - maggio/giugno 2019)

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