Alessandro LozziCon ciclica regolarità torna alla ribalta la diatriba sul fenomeno della prostituzione.
In contrapposizione alla consueta quanto modesta proposta di riaprire le 'case', chiuse nel 1958 in applicazione della legge Merlin, questa volta alcuni intelligentoni hanno ritenuto di alzare il livello del dibattito proponendo addirittura la reclusione fino a sei mesi o alternativamente la multa da lire un milione a lire 3 milioni per coloro che si avvalgono delle prestazioni sessuali di prostitute.
Chi si aspetta da noi una replica laicamente argomentata a questa proposta demenziale rimarrà deluso. Quelli che nel terzo millennio non hanno imparato niente dalla storia e propugnano ancora lo Stato etico non meritano né risposte né ironia ma solo l’oblio. Che cuociano pure nel loro brodo primordiale.
Tuttavia la prostituzione dilaga nelle strade in modo ormai insostenibile e lo sfruttamento “schiavistico” delle immigrate di colore è un problema che deve essere affrontato senza rinvii.
Le posizioni in campo sono rappresentate da chi appunto propone semplicemente di riaprire le case di tolleranza e chi come Alessandra Mussolini, pur con molte contraddizioni che proponiamo di correggere, intende regolamentare l’esercizio della prostituzione in modo diverso.
A coloro che propongono "sic et simpliciter" la riapertura delle case chiuse bisogna dire chiaramente che il problema non può essere posto in termini così inattuali ed inadeguati. La semplice riapertura in realtà altro non sarebbe che dare cittadinanza alla più squallida forma di schiavitù.
E' bene ricordare che le prostitute erano trattate come schiave dalle tenutarie: venivano portate in berlina una volta alla settimana per prendere aria e far pubblicità al locale e non avevano alcun diritto, nemmeno quello di potersi affacciare ad una finestra per vedere la luce del sole.
E’ proprio da quelle finestre, mai aperte per nascondere la vergogna, che nasce appunto la definizione di “case chiuse”. A tutti coloro che si commuovono e si eccitano vedendo bei film ambientati in splendidi casini, tra velluti, giarrettiere e champagne autarchico di un bel tempo che fu, ed a tutti coloro che hanno frequentato quei dolci posti di peccato e sospirano bisognerà pur spiegare che stanno confondendo la nostalgia per la gioventù passata con il moderno senso civico.
Senza volersi dilungare oltre, la questione a mio parere non può ancora una volta risolversi senza far ricorso ai principi di responsabilità e di libertà.
Le cose stanno, anzi dovrebbero stare semplicemente così: ogni cittadino maggiorenne di un Paese libero e' l'autentico guardiano della propria salute fisica, mentale e spirituale: ciò è ovvio e giusto perchè ciascuno è la persona maggiormente interessata al proprio benessere.
La prostituzione è male, ma la libertà non coincide nè con il bene nè con il male ma appunto con la possibilità di poter scegliere anche tra il bene ed il male, e ciò sempre, anche se talvolta la scelta non è completamente libera ma costretta dalla necessità e dal bisogno.
Sul piano individuale non dovrebbe quindi esistere dubbio che ciascuno (donna o uomo) possa entrare (ma anche vivaddio uscire) da una pratica di vita che è umanamente, ancor prima che eticamente, mortificante. In questo senso il disegno di legge Mussolini è da ritenersi encomiabile perché prevede una serie di interventi concreti finalizzati sia alla prevenzione che al reinserimento della prostituta. Così come particolarmente condivisibile appare il divieto dell’esercizio della prostituzione in luoghi pubblici cui corrisponde la possibilità di svolgere l’attività in dimore private con non più di altre due esercenti. Altrettanto positivo è il giudizio sull’esclusione del reato di favoreggiamento per la mutua assistenza fra i soggetti che esercitano la professione.
Sarebbe stato sufficiente fermarsi qui, invece il disegno di legge contiene anche altre norme che non possiamo condividere. Le contestiamo puntigliosamente, ma con spirito costruttivo, confidando di essere ascoltati.
Cominiciamo con l’inquadramento dell’esercizio della prostituzione tra le attività di cui agli articoli 2083 e 2202 del codice civile e la conseguente obbligazione tributaria. Ma come onorevole Mussolini, secondo Lei lo Stato che promuove il reinserimento delle prostitute nella vita civile può al contempo disciplinare la materia come se si trattasse di una normale attività commerciale? Come si può prevedere e reprimere il reato di sfruttamento della prostituzione ed al contempo esigere una sorta di “pizzo fiscale”?
Andiamo avanti, come si giustifica la tenuta da parte delle autorità di pubblica sicurezza di una sorta di "albo delle esercenti" se non come una schedatura che può recare nocumento alle diverse prospettive di vita futura una volta che si voglia uscire dal giro? Tra l’altro se si qualifica la prostituzione come impresa commerciale l’ente preposto a questo compito non può che essere la Camera di Commercio.
Altro punto dolente, gli accertamenti sanitari. Questo è un aspetto delicatissimo da approfondire e meditare meglio. E’ troppo semplicistico prevederne l’obbligatorietà. Bisogna spiegare come sia tutelabile la salute delle "esercenti" e dei clienti nel rispetto del sacrosanto principio che nessuna prestazione sanitaria può essere resa obbligatoria senza il consenso dell'interessato.
Ultima osservazione, cosa vuol dire che: “chiunque dà in locazione un immobile a soggetti che esercitano la prostituzione” commette il reato di sfruttamento? Immagino si tratti di un lapsus calami. Se così non fosse si arriverebbe alla assurda conclusione che possono fare le prostitute solo coloro che sono proprietarie di un immobile.
Due ulteriori parole vanno spese, per connessione oggettiva, in risposta ai propugnatori dei quartieri a luci rosse. Folklore a parte, non è forse evidente che l’accentrarsi di fenomeni di devianza crea solo ghetti di emarginati? L’Italia è depositaria di tali e tante attrazioni artistiche e turistiche che non si sente davvero il bisogno di aggiungere questa nefandezza agli itinerari degli stranieri. L’alternativa ai quartieri a luci rosse ma anche alle case chiuse c’è già. I moralisti non se ne sono accorti, ma ci ha pensato il mercato. Basta accendere il computer e collegarsi ad internet, i motori di ricerca sono pieni di siti di ogni Paese del mondo che contengono i “depliant dell’offerta” cioè foto e numeri telefonici di giovani signore che sono disponibili sia per visite a domicilio che ad aprire la loro casa per ospitare generosi clienti. Le soluzioni migliori sono sempre le più semplici e le più vicine. Ma chi glielo spiega adesso ai vari Don Benzi che esiste il computer?
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