Ilaria CordìDal 2 gennaio 2011, al supermercato non abbiamo trovato le classiche buste di plastica e, per ‘imbustare’ la nostra spesa, abbiamo dovuto utilizzare le nuove shopper ecologiche biodegradabili. Dal primo giorno dell’anno, infatti, sono stati banditi tutti quei sacchetti che non rispondono alla norma ‘tecnica’ comunitaria EN 13432, dal titolo: “Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione”, in cui si definiscono le nuove caratteristiche che un imballaggio deve possedere per essere ritenuto “compostabile”: questo deve essere biodegradabile e disintegrabile, per risultare idoneo. Moltissimi centri commerciali, impreparati all’avvento della nuova legge, hanno ancora scorte di buste di plastica che dovranno consumare velocemente e gratuitamente. “Le buste biodegradabili vengono brevettate da un’azienda di Novara e vengono prodotte in 200 mila tonnellate a Terni”, ha spiegato in un’intervista rilasciata alla giornalista Francesca Milano, del quotidiano ‘il Sole 24ore’, il dirigente di ricerca sulla chimica e le tecnologie dei polimeri di Pozzuoli, dottor Mario Malinconico “e consentono il riutilizzo per più volte reggendo a temperature fino ai 50 gradi e alla pioggia”. La prima città ad aver aderito al cambio di shopper è stata Torino, a fine settembre scorso, dove, per evitare l’utilizzo dei contenitori di plastica, colui che viene sorpreso utilizzando la shopper ‘vecchio tipo’ dovrà pagare un’ammenda di 250 euro. Ma già dal 2009 il sacchetto di plastica era stato abolito nella Val di Fiemme, dove il motto per convincere la popolazione a convertirsi al ‘bio’ recitava: “Oh! Lo shopping intelligente fa bene all’ambiente”. Non soddisfatti della novità, molti consumatori si sono provvisti di vecchie buste al fine di riutilizzarle, tanto che a Caiazzo, in provincia di Caserta, i cittadini da più giorni stanno protestando per un ritorno alle vecchie ‘sporte’. Il perché è semplice: le nuove shopper vengono realizzate con l’amido, dunque non hanno un gradevole odore e all’occhio appaiono come non capaci di sopportare grandissimi pesi, rompendosi facilmente e creando danni alla spesa del cittadino, insoddisfatto e irrequieto. Posiamo dire, tuttavia, che le nuove ‘shopping bags’ sono più ‘bio’ delle loro antenate: dobbiamo infatti ricordare che 250 milioni di sacchetti di plastica comportano l’emissione di circa 18 mila tonnellate di CO2 e prima di essere completamente smaltite ci vorranno quasi quattro secoli: un tempo impressionante, in confronto al loro brevissimo utilizzo, ovvero, in media, 20 minuti a consumatore. Ma attenzione: a prodotto che compri, busta di plastica che trovi. Abbiamo detto addio, infatti, alla vecchia sporta credendo di aver ‘aiutato’ l’ambiente, ma accettiamo le nuove buste di plastica per confezionare gli alimenti, soprattutto quelle destinate all’insalata denominata “di quarta gamma”. La verdura viene coltivata in serra, lavata, asciugata e infilata in buste che vengono trasportate per tutta Italia nei vari supermercati. Questa è la novità: gli italiani, stanchi di preparare l’insalata pulendola foglia per foglia (come facevano una volta le mamme), comprano quelle già pronte, che devono essere solo condite. È ormai diventato un vero e proprio business: nuovi cibi che ormai riempiono le nostre tavole perché l’italiano medio è stanco di mettersi a cucinare, vuole più tempo libero per svagarsi dopo una giornata di lavoro ed è disposto anche a spendere sette euro per una busta di insalata che pesa 200 grammi. Secondo un’indagine effettuata da ‘Le Iene’ nel 2009 e riportata dal giornale “Economia e Finanza”, quest’insalata ‘innovativa’ fa male al nostro corpo. Le buste in cui vengono riposte queste foglie sono infatti piene di batteri, che proliferano a causa del liquido che fuoriesce dall’insalata pretagliata e pretrattata. E tale proliferazione risulta più alta di quella che si trova sulla verdura dell’ortofrutticolo ancora non lavata. In ogni caso, soddisfatto per aver contribuito alla pulizia dell’ambiente accettando le nuove shopper, il consumatore non si rende conto di inquinare ancor di più comprando questi ‘innovativi’ alimenti pronti e, credendo di aver risparmiato alcuni centesimi sulla busta biodegradabile, non si rende conto di aver speso 3-4 euro in più per quell’insalata imballata in una bustina di plastica che crea soltanto un danno alla nostra salute.


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