Che cosa è
buono per noi? E come possiamo
scoprirlo? Nel contesto
yogico, abbiamo un sistema di pensiero che può essere applicato per esplorare queste due domande. Partendo dalla
filosofia Samkhya - uno dei sei rami filosofici indiani che hanno influenzato gli
Yoga Sutra di Patañjali - la teoria dei
Guṇa definisce tre attributi alla
natura di tutte le cose viventi e non viventi:
1) rajas: dinamismo, ansia, egocentrismo, egoismo e individualità;
2) sattva: purezza, armonia, bontà, leggerezza ed equilibrio;
3) tamas: ottusità, caos, inerzia, ignoranza, oscurità e squilibrio. Quindi, trovare ciò che è buono per noi significa imparare a coltivare l'elemento
'sattvico' nella vita attraverso ogni singolo pensiero, azione e scelta; comprendere le nostre tendenze ed essere in grado di riconoscerle portandole alla
coscienza. Ciò non deve portarci su un sentiero di
eccessiva autocritica, ma tutto il contrario: dobbiamo, invece, abituarci a praticare
l'auto-osservazione, per costruire la consapevolezza di noi stessi in modo che ogni
'guṇa' agisca come una
guida, indicandoci dove siamo e quale potrebbe essere la direzione da seguire per trovare
l'equilibrio. Nei capitoli
14, 17 e
18 della
Bhagavad Gita, il
'Canto di Dio', è presente una
scrittura di
700 versi che fa parte dell'epopea conosciuta come
Mahabharata. In sostanza,
Krishna ci spiega i
'guṇa', dandoci degli spunti pratici per applicarli nella nostra vita quotidiana.
Il cibo che si sceglie di mangiare (17.8-10)
Nel modo della
bontà, le persone preferiscono cibi che promuovono la durata della vita e aumentano la virtù, la forza, la salute, la felicità e la soddisfazione. Tali cibi sono
succulenti, nutrienti e, naturalmente,
gustosi (sattva). I cibi troppo
amari, troppo acidi, salati o molto caldi, pungenti, secchi e pieni di peperoncini, sono cari alle persone nel modo della
passione. Questi cibi producono
dolore, afflizione e
malattia (rajas). Sono stantii, indesiderati dagli altri e non sono adatti come
offerta (tamas).
Le offerte che fate agli altri (17.20-22)La
carità data a una
persona degna semplicemente perché è giusto darla, senza pensare a qualcosa in
cambio, al momento giusto e nel luogo giusto, è dichiarata essere nel
modo della bontà (sattva). Ma la
carità data con
riluttanza, con la speranza di un
ritorno o in attesa di una ricompensa, è detta essere nel
modo della passione (rajas). E quella
carità che viene fatta nel luogo e nel momento
sbagliato a
persone indegne, senza mostrare rispetto o con disprezzo, è considerata della natura della
nescienza (tamas).
Le azioni che decidete di compiere (18.23-25)
Le
azioni che sono in accordo con le
scritture, libere da attaccamento e avversione e compiute senza desiderio di ricompense, sono nel
modo della bontà (sattva). Al contrario,
l'azione che è spinta da un
desiderio egoistico, compiuta con orgoglio e piena di stress, è nella natura della
passione (rajas). Infine,
l'azione dichiarata nel modo
dell'ignoranza, iniziata per
illusione, senza pensare alle proprie capacità o ignorandone le
conseguenze, le perdite e i danni per gli altri
(tamas).
Il modo di comportarsi (18.26-28)
Si dice che l'esecutore è nel modo della bontà quando è libero dall'egoismo e dall'attaccamento, dotato di entusiasmo, determinazione ed equilibrato nel successo e nel fallimento (sattva). Viceversa, l'esecutore è considerato nel modo della passione quando brama i frutti del lavoro, è avido, violento, impuro e mosso da gioia e dolore (rajas). Infine, l'esecutore nel modo dell'ignoranza è colui che è indisciplinato, volgare, ingannevole, pigro, avvilito e procrastinatore (tamas). E così via. La lettura di questo bellissimo testo antico potrebbe darci qualche suggerimento in più, in modo da capire come allineare la propria esistenza e prosperare con una vita equilibrata. Aggiungendo inoltre, una maggiore comprensione al perché gli yama e i niyama sono così importanti per il nostro benessere quotidiano.