In un libro, ‘Essere musulmano europeo’ (edizioni Troina - collana Città aperta) scritto nel 1993, Tariq Ramadan, docente di islamologia presso l’università di Oxford e presidente di European Muslim Network - www.euro-muslims.eu, si poneva l’accento sulla percezione degli immigrati in Europa. La sua analisi metteva a nudo la discriminazione subita da molti ‘stranieri’ di seconda generazione (cioè figli di immigrati che, essendo nati e cresciuti in un Paese, ne divengono a tutti gli effetti cittadini) anche in quegli Stati, quali Francia e Regno Unito, dove vi sono la terza, la quarta e la quinta generazione. Di anni ne sono trascorsi quasi venti e il problema della discriminazione è talmente radicato nelle coscienze di molti italiani e nelle propagande populiste diffuse dalla Lega Nord, che non possiamo non chiederci quante generazioni serviranno, qui da noi, per diventare un ‘vero’ cittadino italiano. Che la popolazione, italiana ed europea, sia orientata verso il pluralismo multietnico appare un dato evidente. Che tutto ciò porti la nostra società a confrontarsi con nuove domande, per le quali la politica e le istituzioni devono trovare nuove risposte, lo è un po’ meno. Di fatto, siamo di fronte a una rivoluzione visibile a tutti, ma del tutto ‘silenziosa’ per chi ci governa. Come definire altrimenti ciò che è emerso all’apertura del nuovo anno scolastico? Da una parte, una circolare del nostro ministro dell’Istruzione che indica un tetto massimo del 30 per cento di studenti stranieri all’interno delle classi; dall’altra, scuole in tutta Italia che dichiarano una presenza che supera il 70 per cento. Forse sarebbe ora di smetterla di vedere la questione solo dal punto di vista del “non togliamo il crocifisso dalle aule”! Anche perché la multietnicità non è solo la differenza di ‘credo’ e nemmeno la contrapposizione fra cattolicesimo e islamismo. È chiaro che trovare soluzioni all’integrazione sia un percorso difficile, che deve tenere conto anche di problematiche inaspettate, non facilmente prevedibili. E non si può neanche continuare a pensare che tutto il ‘sistema-Paese’ sia nelle mani di idioti incompetenti. Che magari, in certi casi, è anche vero, ma di certo non riguarda la quantità di gente che cerca di ‘fare la differenza’ e di svolgere al meglio il proprio ruolo istituzionale, dimostrando che il cambiamento bisogna attuarlo anche dalla ‘base’, proponendo soluzioni ‘coraggiose’, che modifichino i processi logici abituali. Ne ha dato un esempio l’Istituto professionale Sassetti Peruzzi di Firenze, che data l’alta presenza di alunni di origine cinese ha deciso di formare le classi mescolando i ragazzi oriundi del grande Paese dei mandarini, quelli cioè nati e cresciuti in Italia, con altri che non conoscevano nemmeno una parola della nostra lingua. Una sperimentazione ‘audace’ (che già l’anno scorso ha ridotto il numero degli abbandoni fra gli iscritti cinesi) nella quale l’integrazione passa da una classe che non è multietnica. E, finalmente, abbiamo avuto la dimostrazione che non sono solo le barriere culturali a dover essere abbattute nel nostro Paese.