Francesca BuffoIn un libro, ‘Essere musulmano europeo’ (edizioni Troina - collana Città aperta) scritto nel 1993, Tariq Ramadan, docente di islamologia presso l’università di Oxford e presidente di European Muslim Network - www.euro-muslims.eu, si poneva l’accento sulla percezione degli immigrati in Europa. La sua analisi metteva a nudo la discriminazione subita da molti ‘stranieri’ di seconda generazione (cioè figli di immigrati che, essendo nati e cresciuti in un Paese, ne divengono a tutti gli effetti cittadini) anche in quegli Stati, quali Francia e Regno Unito, dove vi sono la terza, la quarta e la quinta generazione. Di anni ne sono trascorsi quasi venti e il problema della discriminazione è talmente radicato nelle coscienze di molti italiani e nelle propagande populiste diffuse dalla Lega Nord, che non possiamo non chiederci quante generazioni serviranno, qui da noi, per diventare un ‘vero’ cittadino italiano. Che la popolazione, italiana ed europea, sia orientata verso il pluralismo multietnico appare un dato evidente. Che tutto ciò porti la nostra società a confrontarsi con nuove domande, per le quali la politica e le istituzioni devono trovare nuove risposte, lo è un po’ meno. Di fatto, siamo di fronte a una rivoluzione visibile a tutti, ma del tutto ‘silenziosa’ per chi ci governa. Come definire altrimenti ciò che è emerso all’apertura del nuovo anno scolastico? Da una parte, una circolare del nostro ministro dell’Istruzione che indica un tetto massimo del 30 per cento di studenti stranieri all’interno delle classi; dall’altra, scuole in tutta Italia che dichiarano una presenza che supera il 70 per cento. Forse sarebbe ora di smetterla di vedere la questione solo dal punto di vista del “non togliamo il crocifisso dalle aule”! Anche perché la multietnicità non è solo la differenza di ‘credo’ e nemmeno la contrapposizione fra cattolicesimo e islamismo. È chiaro che trovare soluzioni all’integrazione sia un percorso difficile, che deve tenere conto anche di problematiche inaspettate, non facilmente prevedibili. E non si può neanche continuare a pensare  che tutto il ‘sistema-Paese’ sia nelle mani di idioti incompetenti. Che magari, in certi casi, è anche vero, ma di certo non riguarda la quantità di gente che cerca di ‘fare la differenza’ e di svolgere al meglio il proprio ruolo istituzionale, dimostrando che il cambiamento bisogna attuarlo anche dalla ‘base’, proponendo soluzioni ‘coraggiose’, che modifichino i processi logici abituali. Ne ha dato un esempio l’Istituto professionale Sassetti Peruzzi di Firenze, che data l’alta presenza di alunni di origine cinese ha deciso di formare le classi mescolando i ragazzi oriundi del grande Paese dei mandarini, quelli cioè nati e cresciuti in Italia, con altri che non conoscevano nemmeno una parola della nostra lingua. Una sperimentazione ‘audace’ (che già l’anno scorso ha ridotto il numero degli abbandoni fra gli iscritti cinesi) nella quale l’integrazione passa da una classe che non è multietnica. E, finalmente, abbiamo avuto la dimostrazione che non sono solo le barriere culturali a dover essere abbattute nel nostro Paese.



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alvise bojago - padova- italia - Mail - domenica 19 settembre 2010 8.21
Gent. sig.ra F. Buffo
Mi è capitato di leggere il suo ben scritto articolo su “Laici” e mi permetto fare una modesta chiosa al suo ragionamento.

Nella Costituzione americana, come in quelle di molti paesi che le si ispirano, tra cui anche il nostro, esiste il principio di libertà religiosa. Credo però andrebbe precisato.
Nel suo pezzo c’è , a mio avviso, una domanda, che lei evita di porsi : la religione islamica è compatibile con quella cristiana ? E la cosa può essere indifferente nelle aule scolastiche ?
Pur avendo la comune radice abramitica e molte altre similitudini, di cui troppi si accontentano, nel Corano non si parla mai del gesto di Adamo di cogliere e mangiare la fatidica mela. Si cita l’allontanamento di Adamo dal Paradiso, ma mai si espongono le ragioni del fatto. A prima vista, e per un laico europeo, sembra un aspetto minore e insignificante, ma in realtà è decisivo e basilare. Per tutto il mondo ebraico-cristiano (oserei dire “occidentale”) questo evento è il principale e più radicale atto di sfida dell’uomo a Dio e alla sua legge: è la fonte del peccato originale.
Anche il mondo greco aveva una mito simile. Adamo assomiglia straordinariamente a Prometeo. Ambedue vengono scoperti, condannati e puniti per aver sfidato, a modo loro, l’Onnipotente. Essi sono la dimostrazione che il modello del rapporto con il divino, che noi occidentali abbiamo ereditato da più fonti, riconosce all’uomo una libertà individuale insopprimibile. L’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio (per il Corano non è dato sapere se lo siamo, ed è anche per questo che le Sue immagini sono severamente vietate) deve poter liberamente scegliere il bene o il male, assumendosene la responsabilità.
Il concetto di responsabilità personale che deriva da quella colpa, e che darà poi seguito all’attesa della Venuta e motivo al Cristo di nascere tra noi e per noi, come pure all’Alleanza che Dio stabilisce con l’uomo, sono fatti e concetti di origine biblica, assolutamente non condivisi dal Libro dell’islam. Sono enormi bestemmie. Se io o Lei le professassimo al Cairo, a Teheran o a Karachi verremmo messi a morte immediatamente.
Ci condannerebbero perché, per un credente musulmano, la parola islam significa sottomissione a Dio. E la sottomissione islamica non è compatibile con la responsabilità cristiana.
Il Dio giudaico-cristiano vuole essere “scelto” dall’uomo per amore; quello islamico esige solo la sua sottomissione. Il primo ci propone e sostiene un’Alleanza con l’uomo, (ha presente l’Arca dell’Alleanza?) elevandolo ad uno status che non ha eguali sulla terra; quello islamico si accontenta del rispetto dei ben noti cinque precetti, quasi che l’uomo fosse un servo.

Le due società e relative culture che nei secoli si sono costruite su questi presupposti di fede, non hanno molto in comune.
Il tema del rapporto tra l’uomo e Dio, che le due religioni propongono, non potremo evitarlo a lungo, perché qualunque cittadino di cultura occidentale dovrà prima o poi scegliere se sostenere o meno la cultura ( non necessariamente la religione e la Fede) da cui comunque proviene. Per un europeo – praticante o ateo – non potrà essere che quella cristiana, perché ne condivide di fatto la concezione dell’uomo e l’idea della “responsabilità” .
Quella islamica, al momento, ne ha un’altra, la cui coltivazione o riconoscimento mi sembra un atto di relativismo culturale suicida. Oltre che politico, ovviamente.
Mi auguro averle dato qualche spunto di riflessione, qualora in futuro volesse scrivere su questo tema. Del resto ai giornalisti occidentali toccherà, prima di altri, fare quella scelta di cui sopra.
Distinti saluti
Alvise Bojago - Padova


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