Elisabetta ChiarelliDal 29 gennaio scorso è stato trasmesso su Rai 3, fino al 15 marzo, ogni sera verso le venti e trenta, un interessante programma televisivo ormai giunto alla sua terza edizione: 'Caro Marziano', diretto dal giornalista e regista, Pier Francesco Diliberto, in arte Pif. Davvero notevole la cifra di originalità di questo prodotto televisivo, capace di coniugare la divulgazione culturale attraverso il formato del documentario con la finalità d’intrattenimento, espressa in particolare dall’ironia e dal disincanto del suo autore. 'Caro Marziano' è l’esempio di come si possa “fare cultura” in modo semplice, leggero, ma al contempo non banale, senza smarrire, bensì valorizzando, quella dimensione di impegno sociale che attraverso questo esperimento televisivo si intendeva perseguire. Il giornalismo d’inchiesta non deve, quindi, necessariamente ammantarsi di un’aura di 'snobismo' e ridondanza espositiva. Attraverso l’attenta osservazione della realtà nelle sue molteplici e variopinte sfaccettature, 'Caro Marziano' ha saputo compiere un’approfondita indagine antropologica, fornendo al telespettatore attento strumenti inediti per spiegare le profonde dinamiche sottese agli eventi e alla complessità sociale in cui viviamo. La scelta degli argomenti da trattare, di puntata in puntata, è sembrata casuale, ma non lo era: semplicemente rispondeva a un preciso filone narrativo che il regista voleva dispiegare, comunicando un messaggio ben preciso. Ossia, che la realtà va letta come un libro, senza giudicare, ma osservandone le connotazioni con uno sguardo asettico e curioso. Una mente colta è una mente generosa, aperta, attenta ai dettagli, pronta ad apprezzare la semplicità delle cose, senza però sminuirne il valore, cogliendone l’intrinseca autenticità. Perché in fondo, per riscoprire il senso della meraviglia rispetto alla vita, non serve rincorrere chissà quale prodigio, ma è sufficiente guardarsi intorno, sottraendosi, anche solo per pochi istanti, alla convulsa frenesia a cui i ritmi nevrotici della società contemporanea ci costringono. Non è quindi cosi difficile riscoprire l’umano nelle pieghe del quotidiano: basterebbe fermarsi a osservare, a gustare e ad ascoltare, rendendosi conto di quanta creatività, vitalità e genialità ci  renda unici.  'Caro Marziano' ci ha insegnato, in definitiva, che un antidoto contro l’omologazione esiste ed è seguire se stessi, le proprie inclinazioni, i propri talenti, per quanto stravaganti o poco remunerativi possano essere. Soprattutto, ci insegna a non dare per scontato nessun aspetto della realtà che ci circonda, dai ritmi apparentemente ripetitivi di una panetteria nella periferia di Palermo, al silenzioso svolgersi della vita dei pesci in un acquario. Perché, si sa: l’essenziale è invisibile agli occhi. E forse, essere un 'marziano' significa, oggi, esattamente questo: rifuggire l’apparenza e la fatuità dei tempi odierni, per riconnettersi alla propria essenza più profonda.





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