Rita ChessaLa guerra non è affatto un male necessario, ma come afferma Ungaretti: “L'atto più bestiale dell'uomo sull'uomo”. Eppure, nel 2023, si sono verificati il 12% di conflitti in più rispetto al 2022; il ‘Global Peace Index’ ha registrato un peggioramento del livello medio di pace per il nono anno consecutivo; e secondo il ‘Washington Post’, nel 2024 molte delle crisi potrebbero ulteriormente aggravarsi. Oltre ai più noti conflitti Ucraina-Russia e Israele-Gaza, secondo il sito guerrenelmondo.it, aggiornato al 5 febbraio 2024, attualmente gli Stati coinvolti in conflitti bellici sono 70 e 893 le milizie-guerrigliere o i gruppi terroristi-separatisti-anarchici. Tensioni costanti sono presenti in Kosovo e in Serbia, nonostante un’iniziale svolta positiva con la conclusione della ‘guerra delle targhe’. In Siria, persiste la guerra civile, mentre nello Yemen e in Iraq continua la contrapposizione ai militanti islamici (pensiamo, per esempio, all’esercito curdo impegnato da anni in prima linea in questa lotta). Anche Cecenia e Daghestan si oppongono ai militanti islamici, mentre l’esercito dell’Azerbaijan è sempre in allerta e operativo contro quello armeno e quello di Artsakh (anche se quest’ultimo ha cessato di esistere, formalmente, dal 1 gennaio 2024, ndr). In Africa, sono 31 gli Stati impegnati in conflitti bellici. E tra i teatri di crisi più preoccupanti c’è quello del Sudan, un Paese che ha già dimostratto di essere capace di atrocità e che ha causato la più grave crisi di sfollati del mondo nella guerra tra il governo e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) e i gruppi ribelli nel Darfur. A luglio 2023, il Niger è stato protagonista di un colpo di Stato con la presa del palazzo di Niamey e il rapimento del presidente, Mohamed Bazoum, con tutta la famiglia. Scontri etnici sono all’ordine del giorno in Burkina Faso e la guerra civile in Libia si è ormai cronicizzata. L’Egitto ha minacciato di sospendere il trattato di pace con Tel Aviv, nel caso in cui le truppe di Israele dovessero invadere Rafah. E in Somalia prosegue la lotta contro i gruppi islamici ‘al-Shabaab’. Nella Repubblica centrafricana spesso avvengono sanguinosi scontri a fuoco tra musulmani e cristiani. E persistono le guerre tra gruppi ribelli in Mozambico e nella Repubblica democratica del Congo. Infine, sempre in Africa, dal 2012 la Francia e l’esercito maliano stanno combattendo i gruppi islamici radicali, che hanno occupato il nord del Mali. Passando all’Asia, sono 16 gli Stati coinvolti in conflitti armati: in Afghanistan, i Talebani hanno ripreso il controllo del Paese dal 2021, opprimendo la popolazione. Nelle Filippine e in Pakistan sono in contrapposizione tra loro diversi gruppi di militanti islamici. E i nervi sono tesi anche in Myanmair, ex Birmania, dove si combatte in tutte le regioni. E, dalla scorsa settimana, la giunta militare al potere ha deciso di imporre la leva obbligatoria. In questa parte del mondo colpiscono le parole dello storico Niall Ferguson, che prevede, per i prossimi anni, una Cina nel caos: “Temo una terza guerra mondiale, se gli Stati Uniti dovessero confrontarsi su Taiwan contro la Cina. Washington sta svuotando gli arsenali per aiutare l’Ucraina e non resisterebbe una settimana contro Pechino. Joe Biden non può permettersi di agire”. Frequenti, inoltre, le provocazioni da parte della Corea del Nord contro la Corea del Sud (l’ultimo a gennaio scorso, con colpi di artiglieria verso l'isola di Yeonpyeong, ndr). Nelle Americhe, la Colombia cerca di fermare alcuni gruppi di ribelli interni; il Messico continua la lotta al narcotraffico; e la situazione peruviana è solo apparentemente sotto controllo. Questa è una panoramica parziale, che restituisce l’immagine di un brulicare degli orrori bellici come il vero 'cancro' della Terra. Ricordiamo le parole di Neville Chamberlain, il quale affermòm in un discorso a Kettering, nel 1938: “In guerra, qualunque parte possa vantarsi di aver vinto, non ci sono vincitori: tutti sono perdenti”.





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