Rita ChessaIntervista a uno dei protagonisti della scena artistica romana e internazionale che ha attraversato esperienze e linguaggi, pionere e anticipatore della caduta del muro di Berlino

Marco Fioramanti ha attraversato i decenni del Novecento della cultura, con lunghi soggiorni all’estero e ricerche sul campo in Cina, Tibet, Marocco e sullo 'sciamanesimo' in Nepal e Mongolia. La sua ricerca si muove tra diversi linguaggi e forme espressive, riferimenti archetipici e trascendenti, secondo un’idea di arte totale, che mira al recupero di segni, gesti e comportamenti ritualistici propri delle culture extra-europee. Esponente del Movimento ‘Trattista’, noto anche come ‘Primitivismo astratto’ (Roma, 1982), accompagna da sempre la sua attività pittorica con l’azione performativa, allargando il suo campo d’azione anche all’editoria come autore e/o curatore di cataloghi, libri e riviste d’arte. Nel 1985 arriva a ‘schiantare’ la sua Volkswagen contro il Muro di Berlino, anticipandone la caduta. Dal 2007 crea e dirige ‘Night Italia’, libro/rivista e periodico, costola indipendente della omonima newyorkese ‘Night’, fondata nel 1978 da Anton Perich e Andy Warhol, apice di una lunga serie di avventure editoriali a carattere documentaristico che, a partire dalla scelta dei temi e degli autori, testimonia lo specifico sguardo di Fioramanti sulla realtà e sull’uomo. Dal 2010 installa relitti di grandi dimensioni ‘site-specific’.

Marco Fioramanti, può raccontarci, innanzitutto, del movimento ‘trattista’?
“La parola ‘trattista’, oggi, avrebbe le dimensioni semantiche del ‘meme’ che l’Oxford Languages definisce come: ‘Elemento di una cultura o di un sistema di comportamento trasmesso da un individuo a un altro per imitazione’. Il movimento ‘trattista’ ha ufficialmente fatto breccia nell’universo collettivo dell’arte all’inizio degli anni ‘80 del secolo scorso. Nasce dalla presa di coscienza di alcuni artisti - tutti romani e senza formazione accademica - i quali si sono dati un linguaggio comune basato sul ‘tratto astratto’, unica voce fuori dal coro coevo del ‘transavanguardismo’ figurativo di maniera. Il codice ‘trattista’ vuole riscoprire tutto il macrocosmo espressivo dei popoli aborigeni ‘di cui la moderna tecnologia ha sancito la degradazione e l’estinzione’ (citazione dal manifesto storico - Roma, 4 gennaio 1982). Nel 1988, il gruppo si scioglie e ogni artista ha continuato la sua ricerca ‘trattista’ secondo linee personalizzate”.

Qual è il suo rapporto con la performance art?
“L’aspetto performativo dell’arte è stata la leva che ha scardinato quei brandelli di retaggio, borghese e antisociale, in cui una certa educazione avrebbe voluto che mi identificassi. Fin dalle prime azioni ‘trattiste’ nelle piazze del centro storico romano, tutte regolarmente realizzate a diretto contatto col pubblico, ho sentito il potere dello scambio emotivo tra pittore e osservatore. Da lì a creare a Berlino Ovest, un gruppo multimediale di danza, musica e pittura live, il passo è stato immediato, con tournée in Gran Bretagna e presenze ai ‘Fringe Festival’ di Edimburgo e Monaco di Baviera. Le esperienze extrasensoriali, legate ai viaggi e agli studi sullo sciamanesimo dell’area himalayana centro-orientale, hanno conferito alle mie successive azioni una sorta di aspetto rituale, più che nella forma, nella trasmissione fisica di possibili poteri magici di preveggenza attraverso lo spazio-tempo”.

Ci parli degli haiku come sintesi poetica?
“Il mio haiku diventa ‘hai-Ko’ (haicappaò, ndr): una super-forma di sintesi visiva e verbale che provoca sbandamento nel tempo sospeso della contemplazione del quotidiano. Una visione interiore generata attraverso uno shock estetico: un knock out, un Ko, per l’appunto. Si tratta di un’immagine immediata, trasmessa con una tecnica riattualizzata di arti marziali psichiche in un corto circuito verbo-visivo. Ho mantenuto rigorosamente la terzina secondo la geometria sillabica del 5-7-5, pur escludendo il concetto di kigo, che mi obbligava al richiamo della stagione. I miei ‘hai-Ko’ non nascono per produrre immagini ma, al contrario, nascono da immagini che mi stimolano la scrittura dei versi”.

La rivista ‘Night Italia’: qual è stata la sua genesi e quale sarà il suo futuro?
“Si tratta di un libro/rivista di resistenza umana: nasce dal rapporto fraterno con Anton Perich, artista croato naturalizzato newyorkese, grandissimo fotografo e video-maker alla ‘Factory’ warholiana. ‘Night Art Mag’ nasce da Perich nel 1978. Noi ci conoscemmo nel 1988, durante un mio viaggio a New York. Da allora, ho sempre avuto spazio nella sua rivista cartacea. Nel 2007, ho organizzato una ‘vacanza-seminario’ nella sua villa in Croazia, portando una decina di studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Roma di via Ripetta. Lì è nata l’idea di creare un contraltare europeo di ‘Night’, mantenendo il suo ‘mood’ glamour/underground. E nacque ‘Night Italia’. Il numero 15 è attualmente in tipografia con due interviste: la prima di Robert Henry Rubin a Marianne Faithfull; l’altra di Michael Pergolani a Massimo Bassoli, intorno al suo profondo legame con Frank Zappa”.

Com’è andata la mostra ‘Mio caro Icaro’?
“È stato un evento molto partecipato. Evidentemente, il fatto di indossare le ali, seppur di marmo, ha sempre il suo fascino. La mostra, organizzata da Francesca Perti, nasce da due miei ‘hai-Ko’: ‘Ali di cera/mio caro Icaro./Vuoto fertile/ Ali di marmo/adorato Icaro./ Liber’arbitrio’. In sostanza, Icaro decide per l’azzardo. Si avvicina al sole per far sciogliere lentamente le sue ali di cera e scendere verso un abisso prestabilito: l’acqua mediterranea come elemento primario e originario di civiltà. Ecco, allora, che si ricompone l'unità del cosmo secondo una nuova riseparazione degli Oceani e l'esigenza di una nuova Arca. Un bel catalogo, insomma, con le foto di Paola Spinelli, che ha documentato gli interventi di musica-live grazie alla chitarra di Francis Kuipers, fedele chitarrista di Gregory Corso e all’azione poetica di Mara Cortazar”.

Ci narra di Berlino e della pioneristica azione con la Volkswagen?
“West-Berlin, primi anni ‘80: quelli della libertà. Di espressione, ma non solo. Una città laboratorio, dove tutto era possibile, sperimentabile e, in qualche modo, in anticipo sul mondo. Locali aperti h24 e i punk. Lo ‘Schwarzes Café’ col pappagallo dipinto sulla vetrina. Le Comuni, le feste e le mostre. Gli artisti nelle ex-fabbriche. E poi il Muro: si dipingeva di tutto e su tutto, come la Volkswagen su cui intervenni nel 1983 e che avrebbe avuto, in seguito, la funzione ben più importante di “abbattere il Muro”, poiché i Vopos - la polizia della Germania dell’est - aprirono proprio in quel punto, nel profondo Kreuzberg, dov’era simulato il mio urto frontale: uno dei primi varchi per l’Ovest”.

Ricordiamo l’opera ‘CR 42 Falco’, il relitto di Marco Fioramanti?
“E’ il relitto di un caccia da ricognizione, degli albori della II guerra mondiale. Viene proposto all’Aventino per la prima esposizione della Rassegna ‘Open Box’. Cerchi di botte, canne di bambù e il rivestimento di bende dal colore del sangue rappreso compongono l’opera, carica di emotività. Il pilota è stato protagonista di una passione travolgente con una ragazza appartenente alla fazione nemica, ma la beffa del destino ha impedito a questo amore di realizzarsi”.

Quali saranno i tuoi prossimi appuntamenti?
“Il 17 febbraio s’inaugura, a Soriano nel Cimino (Vt) nella location di Palazzo Chigi-Albani per la durata di un mese, una collettiva dal titolo ‘Viaggio nell’inconsueto’ (ovvero, Del bizzarro in arte) a cura di Francesca Perti. Un’ala del Palazzo crollata, tuttora fatiscente, ritrova vigore ed espressione attraverso un’esplosione di luce: un lampadario, acceso con sedici lampade disposte in doppia corona circolare e appoggiate su una torretta di mattoni del Settecento trasportati in situ, ricompone l’unità originaria. Forma architettonica, natura d’intorno e genius loci ritrovano la loro unità alchemica attraverso il numero aureo, come immediatezza di una percezione di equilibrio interiore”.



Credits: locandina della mostra “Viaggio nell’inconsueto” (ovvero, 'Del bizzarro in arte') a cura di Francesca Perti, Kyrahm e Marco Fioramanti
Intervista a Marco Fioramanti a cura di Kyrahm, pseudonimo di Rita Chessa - video Julia Pietrangeli

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