Rita ChessaLa fragilità come condizione umana. L’imperfezione drammatica della vita e il riscatto nella carne che si corrompe. Occhi e corpi, bianco e nero, spazi abbandonati metafora del non luogo. Tutto questo e molto di più è la ricerca di Leonardo Principe, fotografo bolognese, che attraverso il suo progetto, ‘Under My Skin’, ci catapulta dentro storie di dolore e poesia, restituendoci un’indagine intima e più profonda delle patologie psichiatriche, troppo spesso oggetto di discriminazione.

Leonardo Principe, perché ha scelto la fotografia come canale di espressione?
“Penso che sia stata la fotografia a scegliere me. Forse, l’ho ereditata da mio padre, che non ho conosciuto e ho saputo da poco essere un fotografo. Mi piace vedere quello che provano gli altri e confrontarlo con la mia voce interiore”.

Siamo rimasti molto colpiti dal suo progetto ‘Under my skin’, dove affronta con crudezza e poesia alcune tematiche importanti: com’è stato tradurre in immagine la condizione della malattia mentale?
“Il progetto ‘Under my skin’ lo considero un po’ come un figlio. Nasce da una mia sofferenza personale terribile, in seguito alla perdita di un caro amico che non ha retto alla pressione del giudizio. Questo progetto nasce proprio per dare voce a quelle persone che, spesso, vengono emarginate: pochi sono a conoscenza di ciò che accade nel loro privato e nella loro quotidianità. Le mie immagini sono crude e intime, ma il mio scopo è quello di scuotere le menti e far sì che le persone possano riflettere”.

Ci parla del ‘Progettozittocancro’?
“Nel mese di novembre 2023, mi trovavo a Roma, per ritirare il premio ‘Modigliani’ per una mia opera fotografica. Nello stesso contesto, veniva premiata anche un’associazione che si chiama ‘Zitto cancro’, che ha sede nella capitale. È stato un colpo di fulmine: mentre la presidentessa dell’associazione mi spiegava come è nata e il lavoro che svolgono per sostenere chi è colpito da questa terribile malattia, la mia mente ha cominciato subito a macinare idee, con l’intento di fare qualcosa per loro. E dopo notti insonni è nato il ‘Progetto zitto cancro’, con immagini molto forti, a volte anche violente, ma con l’intento di trasmettere un messaggio di positività estrema”.

Può raccontarci uno degli aneddoti più significativi che ha vissuto come fotografo?
“L’aneddoto più significativo, per me, è capitato qualche anno fa. Lavoravo con un’agenzia per una famosa rivista di viaggi. Mi veniva chiesto, ovviamente, di immortalare gli aspetti migliori dei luoghi che stavo visitando, ma io non riuscivo a non guardarmi intorno e a non vedere cosa l’uomo, in realtà, sta causando alla Terra e ai suoi abitanti. Trovandomi in Colombia, in mezzo alla povertà estrema in cui vive quel popolo sfruttato, ho capito che non potevo continuare a lavorare col ‘nemico’: ho lasciato e rinunciato a tutto, per mettermi a fare ricerca su ciò in cui credo veramente, anche se ero consapevole che mi sarebbe aspettato qualcosa di molto difficile e scomodo”.

Quale sarà il suo prossimo appuntamento pubblico?
“Si svolgerà a Roma, in primavera, con l’esposizione di ‘Under my skin’. Durante l’evento, ci sarà una conferenza dove un team di psicologi, medici del settore e il pubblico potranno interagire. L’intento è sempre quello di sensibilizzare a confrontarsi con il doloroso ‘pozzo’ della malattia mentale: non possiamo sempre voltare lo sguardo da un’altra parte”.





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