Vittorio LussanaI termini ‘clericalismo’ e ‘laicismo’ possiedono una storia relativamente recente. Essi si affermarono in una determinata area geografica, quella franco-belga, come puri ‘calchi linguistici’, diffondendosi poi con grande fortuna nell’area italo-spagnola, con sorti alterne in quella tedesca, con scarso successo in quella anglo-sassone. In ogni caso, i due vocaboli non sono figli della medesima fase storica. Innanzitutto, la parola ‘clericalismo’ entrò nell’uso comune della dialettica culturale abbinata al suo contrario, cioè ‘anticlericale’, nella Francia della seconda metà del XIX secolo. Più o meno nello stesso periodo iniziarono a diffondersi anche i termini ‘laico’, ‘laicità’ e ‘laicizzazione’. Tuttavia, ancora in quel periodo, della parola ‘laicismo’ non vi era traccia. Ora, dato che la storia delle parole riflette la Storia stessa, poiché è quest’ultima che la produce, tali annotazioni offrono un primo spunto di riflessione: la maggior parte dei temi e delle analisi, ma anche delle discussioni, discendenti dalle parole ‘clericalismo’ e ‘laicismo’ sono tipiche delle aree geografiche a predominanza culturale cattolica. Il che rappresenta un’indicazione non da poco. Dunque, il processo storico su cui dovremmo ‘puntare’ la nostra ‘lente di ingrandimento’ diviene quello del passaggio dei due lemmi da un versante semantico puramente endo-ecclesiastico, o quanto meno riferito ad una realtà socio-politico-religiosa specificamente cristiana, a quello in cui cominciò a prevalere un ‘distacco’, una lacerazione, una vera e propria contrapposizione tra due visioni del mondo. Questo processo è quello comunemente definito dagli storici ‘secolarizzazione’. Lo scarto cronologico tra l’uso moderno e peggiorativo del termine ‘clericalismo’ rispetto al successivo ‘laicismo’, lascia notare come, per lungo tempo, abbia prevalso una contrapposizione tra clericalismo e laicità e, solo in seguito, si sia affermata la dicotomia clericalismo/laicismo.
Da tali presupposti, discendono le seguenti interpretazioni:
a) tra laicità e laicismo potrebbe esistere un sostanziale rapporto di sinonimia o, comunque, di stretta correlazione, poiché ambedue i termini indicano le medesime caratteristiche dottrinarie riferite a due diverse dimensioni: quella politico-statuale e quella più astrattamente ideologica;
b) il laicismo rappresenta la strutturazione e la sistematizzazione teorica della laicità, per cui esso comprende, all’interno del proprio corpo dottrinario, i contenuti della laicità stessa;
c) nel corso della Storia, si è evoluto un certo distacco tra laicismo e laicità nella stessa misura in cui è venuta a ridursi la sfera di influenza politico-ideologica del clericalismo.
Sicché, mentre in origine la laicità si vedeva ‘compressa’ nel laicismo, più tardi, attraverso un percorso che generalmente definisco di ‘decontaminazione formale’, o comunque di effettiva ‘depurazione teorica’, i due concetti hanno finito con l’assumere una reciproca autonomia, andando ad indicare cose diverse. Come ho avuto modo di sottolineare più volte, personalmente condivido quest’ultima interpretazione. Rimane tuttavia inevitabile notare come, in un simile intreccio di questioni, le difficoltà maggiori siano rappresentate dal dovere intellettuale di fornire un’esatta definizione del ‘laicismo’, il quale, essendo un termine ed un concetto nato storicamente in un secondo momento, dà luogo a innumerevoli contestazioni senza che nessuno riesca a trarne un inquadramento culturale soddisfacente. Infatti, per quanto concerne il clericalismo, la definizione concettuale classica è quella della pretesa illegittima, da parte della Chiesa istituzionale, di intervenire, condizionare ed incidere negli ambiti dell’organizzazione sociale e politica dello Stato attraverso il clero o gli organismi ‘laici’ dipendenti dal clero. Ma il margine di dissenso intorno alla definizione dei limiti di legittimità di tali interventi e condizionamenti è talmente ampio da svuotare di significato qualunque tentativo di ordinare con precisione gli ambiti e i ‘confini’ di reciproca influenza tra laicismo e clericalismo: in sostanza, è impossibile tracciare una ‘precisa frontiera’ tra i due campi. A questo punto, diviene perciò interessante notare come, ai nostri giorni, neppure i cattolici più fedeli accettino pacificamente la definizione di ‘clericali’, la qual cosa, invece, accadeva regolarmente alla fine del XIX secolo, fase in cui tutti i settori del ‘movimentismo cattolico’ tendevano addirittura a rovesciare in senso positivo tale ‘denominazione’ rivolta loro. Ciò è avvenuto in quanto, all’origine del termine clericalismo, vi era un aggettivo, la parola ‘clericale’, che di solito si affiancava – e tutt’oggi si affianca - ai sostantivi ‘stampa’, ‘movimento’, ‘partito’, ‘educazione’ e ‘scuola’. Quasi mai il termine viene usato per designare lo Stato, per il quale vigono, invece, gli aggettivi: ‘ierocratico’, ‘confessionale’, ‘teocratico’. Queste banali osservazioni offrono significativi indizi su come i clericali siano da tempo percepiti, nella mentalità dei cittadini, come una ‘parte’, una mera componente della società, che aspira ad incidere, in quanto ‘partito’, sulla struttura politica e sull’organizzazione dello Stato la quale, tuttavia, non può affatto identificarsi con esso. La nascita dell’aggettivo clericale fu insomma il sintomo della trasformazione rivoluzionaria dei rapporti tra Stato e Chiesa ed il segno dell’affermazione definitiva dello Stato laico. Quest’ultimo ammette i clericali al proprio interno secondo principi giuridico-costituzionali, ma li considera come una forza potenzialmente eversiva, in quanto portatori di un modello alternativo di Stato: quello, appunto, confessionale. Tornando, invece, alla definizione ‘laicismo’, basterebbe scorrere alcune importanti opere della nostra cultura nazionale, ma anche di quella internazionale, per provare un senso di vero e proprio smarrimento. Ad esempio, ‘gettando un occhio’ in alcuni vecchi dizionari potremmo trovarci di fronte a qualche sorpresa: consultando il famoso Dizionario della lingua francese - il Littré - nella sua edizione del 1863 si scopre che, alla voce ‘laicisme’, viene designata una dottrina inglese del XVI secolo che riconosceva ai laici il diritto di governare la Chiesa. Ciò vuol dire che anche la parola ‘laicismo’ ha conosciuto un proprio iniziale significato endo-ecclesiale che poi, però, si è estinto. Un’edizione più recente del Littré, quella risalente ai primi anni ’70 del XX secolo, offre del laicismo due definizioni: quella che ho appena segnalata e quella che descrive “l’insieme e i caratteri dei laici”, senza fornire ulteriori spiegazioni. Assai poco viene rilevato anche dal ‘Dizionario dell’Accademia di Francia’, secondo il quale il laicismo sarebbe “la dottrina che tende a dare alle istituzioni un carattere non religioso”. Per poter proseguire questo genere di approfondimento dobbiamo perciò ricorrere ai testi enciclopedici, come il ‘Grand Larousse’ e il ‘Dictionnaire apologétique de la foi catholique’, i quali, in effetti, definiscono ampiamente il termine in questione identificandolo, però, con la parola ‘laicità’. Solo in epoche più recenti è nata l’esigenza di determinare un ambito semantico specifico per il laicismo. Ma tale preoccupazione è risultata più pronunciata in campo cattolico che non nelle distinte famiglie della grande cultura laica occidentale, come dimostrato dalla stessa ‘Enciclopedia Catholicisme’, in cui appare un’ampia voce denominata: laicisme, laicité, laicisation. Andiamo ora a controllare cosa si incontra, invece, in alcuni testi enciclopedici italiani: nel corso delle nostre storiche ‘polemiche di cortile’, si riscontrano diversità talmente sostanziali di interpretazione del laicismo, tra i testi di ispirazione cattolica e i lavori dalla forte impronta culturale laica, che si finisce, anche qui, col comprendere molto poco della questione, poiché nelle stesse opere ‘non cattoliche’ non vi è un’opinione comune intorno al laicismo. In ogni caso, esaminando l’Enciclopedia cattolica e l’Enciclopedia filosofica del Centro studi filosofici di Gallarate, alla voce ‘laicismo’ viene data una definizione sostanzialmente negativa: per la prima, infatti, esso rappresenterebbe “una mentalità di opposizione sistematica ad ogni influsso sugli uomini da parte di una gerarchia religiosa e, particolarmente, della Chiesa cattolica”, un genere di ribellione che trova le proprie radici nella Riforma protestante e nella Rivoluzione francese. Per la seconda, invece, il laicismo sarebbe addirittura una dottrina “che fa leva soprattutto su impressioni, sentimenti, risentimenti e stati d’animo”, a cui vengono riconosciuti costanti elementi di levatura culturale e filosofica, ma solamente “come opposizione alla presenza operante della società soprannaturale sulla vita pubblica”. Con tali definizioni, collima anche quella data dall’Enciclopedia tedesca ‘Die Religion in Geschichte und Gegenwart’, la quale, riportando il termine ‘laizismus’, lo considera un “prodotto dell’illuminismo rivolto contro la Chiesa ed il cristianesimo in nome dell’autonomia della morale”. Come può ben comprendere, si tratta di definizioni che si commentano da sole… Passando ora sul fronte culturale laico, appare necessario affrontare tre testi autorevoli: il ‘Dizionario di politica’ pubblicato dall’Enciclopedia italiana nel 1940, il ‘Dizionario di politica’ di Bobbio e Matteucci e il ‘Dizionario enciclopedico’ della Treccani. Nel primo, alla voce ‘laicismo’, redatta dallo storico Walter Maturi, si legge: “Il termine anticlericalismo è meramente negativo e polemico, mentre la parola ‘laicismo’ mantiene, della società civile, visioni costruttive. Il laicismo contiene in sé una concezione del mondo e della vita che emancipa lo spirito umano, esplicitamente o implicitamente, dalle religioni positive, nonché una accezione dei diritti dello Stato e dei cittadini di fronte alle Chiese per mezzo della quale la concezione filosofica tende praticamente a realizzarsi nella vita politica, negli istituti statali e nel costume morale”. Maturi, nel proseguire il proprio ragionamento, tocca anche due temi cruciali: quello del rapporto tra laicismo filosofico ed in quanto concezione politica, due dimensioni che l’Autore giudica inscindibili riscontrando come, nel linguaggio comune, “il laicismo serva ad indicare la realizzazione concreta degli ideali laici”. Da ciò si deduce come il laicismo non derivi da una matrice culturale illuminista, come pensano i cattolici, bensì “dai movimenti politici del XIX secolo”, cioè dalla Rivoluzione francese. Riconosciuta altresì al laicismo un’unitarietà di ispirazione ideale, successivamente il Maturi introduce una distinzione un po’ complessa tra quello che egli definisce “l’aspetto statale” del laicismo, individuato nel ‘concordatorismo napoleonico’, nella morale laica francese e nella dottrina spiritualista di Hegel - il quale avrebbe teorizzato “il senso più profondo dello Stato laico moderno” - e l’aspetto liberale del laicismo stesso, il quale concepisce lo Stato essenzialmente “come un organismo giuridico che ha la missione di rispettare tutte le fedi senza professarne alcuna”, aspetto che discende, a sua volta, dal pensiero liberale francese della Restaurazione, dalla scuola ‘cavouriana’ e dalle antiche ‘sette non conformiste’ britanniche. Nel più recente ‘Dizionario di politica’ di Bobbio e Matteucci, Valerio Zanone fornisce del termine laicismo una versione più empirica: “Dal punto di vista culturale, il laicismo non è un’ideologia, piuttosto una ‘metodologia’ per niente affatto sinonimo di irreligiosità ed incompatibile con l’ideologia o con l’irreligione di Stato”. Di analogo parere è la Treccani, secondo la quale “il laicismo serve ad indicare un atteggiamento che vuole garantire l’autonomia culturale e politica degli individui e dei gruppi contro ogni tentativo di imporre, attraverso il potere statale, concezioni filosofiche, religiose e politiche proprie di gruppi particolari: esso indica opposizione allo Stato confessionale, ma, più generalmente, allo Stato etico”. Va anche citato, per completezza di informazione, l’indicazione del ‘Dizionario della lingua italiana’ del Battaglia, in cui la gamma di accezioni dei termini ‘laicismo’, ‘laicità’ e ‘laico’ viene resa con un certo scrupolo filologico. Nello specifico, viene certificato un significato del laicismo in quanto “rivendicazione della dignità intrinseca ed eminente dell’uomo, della completa autonomia dei valori temporali e profani rispetto a quelli religiosi, sia nella dimensione filosofica, sia in quella politico-ideologica”. Una definizione un po’ generica, che rende il laicismo sinonimo di laicità e di aconfessionalismo. Tuttavia, il medesimo testo, a proposito della parola ‘laico’ dà la seguente definizione: “Che si riferisce alle correnti politiche dei secoli XIX e XX ispirate alle concezioni del laicismo”. La qual cosa, tradotto politicamente, include, all’interno del filone laicista, le correnti liberal-radicali e democratico-repubblicane in senso stretto, che si contrappongono a quelle conservatrici e cattoliche, da un lato, e a quelle socialiste dall’altro, ma, in senso più ampio, anche le correnti socialiste stesse in specifica contrapposizione a quelle cattoliche. Ricapitolando la questione, a questo punto della ricerca abbiamo trovato ben quattro concezioni del laicismo che, più o meno, corrispondono ad altrettante tradizioni culturali:
1) quella cattolica, secondo cui esso sarebbe una mentalità che opera non solo in senso anti-religioso, ma soprattutto in senso anti-cattolico e anti-cristiano;
2) quella ideologica, in cui il laicismo rappresenta una visione del mondo fondamentalmente unitaria anche se, al suo interno, si distinguono comunque una componente statalista ed una liberale;
3) quella empirica, per cui il laicismo si identifica sostanzialmente con il metodo della tolleranza e con il ‘separatismo’ del liberalismo classico;
4) quella radical-democratica, secondo la quale il laicismo è componente essenziale del progressismo borghese che si oppone al conservatorismo in generale (dunque, non solo a quello cattolico) inglobante, al proprio interno, anche le correnti politiche socialiste.
Ciascuna di queste accezioni possiede una propria plausibilità ed una propria storia d’origine. Ma tale problema, alla fine, venne magistralmente risolto proprio da uno studioso cattolico, Don Luigi Sturzo, il quale riuscì a mettere a punto un’interpretazione diversa, rispetto a quelle tradizionali, della laicità. Don Sturzo, infatti, nonostante fosse un religioso, ammise di ritrovarsi, nello studio di tali discipline, su di un ‘crinale’ che era, al contempo, sia di carattere storico, sia di stretta matrice politico-ideologica. Nell’opera ‘Chiesa e Stato’ del 1937, egli analizzò profondamente la questione: da un lato, egli individuò nello Stato totalitario la netta conseguenza delle concezioni etiche già presenti nello Stato laico del XIX secolo; dall’altro, ponendo in luce la grande ‘differenza qualitativa’ tra Stato laico e Stato totalitario, dovette ammettere che il secondo perdeva quei valori cristiani che, invece, rimanevano innestati nel primo. “Lo Stato laico”, ha scritto Don Sturzo, “sviluppa un notevole elemento etico impregnato di valori cristiani. E’ vero che i presupposti teorici e le finalità di tale etica sono in prevalenza naturalistici, ma i principi del rispetto della personalità umana, della libertà individuale, dell’eguaglianza legale, della giustizia e dei rapporti privati senza distinzioni di classe, dell’abolizione della schiavitù e delle servitù legali, sono impregnati di cristianesimo. E’ un errore di molti il non riconoscerlo per difendere a fondo quella posizione alla quale era, allora, legata la Chiesa. Ma questi ed altri elementi cristiani sono penetrati nello Stato laico sotto caratteri naturalistici, i quali sono, invece, assolutamente negati dallo Stato totalitario…”.


Articolo tratto dalla rivista di informazione e cultura 'Diario 21'
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