Arianna De SimoneLogiche culturali & logiche di profitto: proficua alleanza o pericolosa intesa? Negli ultimi giorni, quest'annosa questione 'made in Italy' è nuovamente esplosa, coinvolgendo due mondi ritenuti da molti inconciliabili, separati, distanti e incomunicabili: quello degli 'influencer' e quello dei musei. A livello accademico mai davvero dibattuta e digerita, tale querelle questa volta ha visto come protagonisti Chiara Ferragni e le Gallerie degli Uffizi da un lato, lo storico dell'arte Tomaso Montanari dall'altro. Ma la polemica ruota sempre attorno agli stessi interrogativi: è giusto che luoghi e istituzioni culturali adottino strategie comunicative e di marketing di solito impiegate da aziende produttrici di beni di consumo che durano solamente una stagione, quando va bene? Fare ciò, significa svilire e declassare la cultura a bene di consumo, oppure promuoverla e valorizzarla anche sul piano economico? Ma andiamo con ordine e vediamo cosa è accaduto. Lo scorso 18 luglio, la celebre influencer ha 'portato' i suoi 20,5 milioni di seguaci agli Uffizi, postando su Instagram nove fotografie amatoriali scattate sul set fotografico allestito in una delle sale e durante la visita al museo  (avvenuta immediatamente dopo e a porte chiuse). 'Selfie' e non pubblicati senza gli "hashtag della trasparenza" (#adv o #ad, dalla parola advertising, ndr), simbolo che il contenuto visualizzato è frutto di un accordo commerciale/pubblicitario tra influencer/creator/blogger e un brand. Perciò, nessuna sponsorizzazione, ma soltanto il tag @uffizigalleries e una didascalia piuttosto generica, informativa di un imminente e 'speciale' progetto realizzato in collaborazione con Vogue Hong Kong e la First Initiative Foundation, associazione culturale no-profit della stessa città: "Last night was one for the books. Shot the most special project at @uffizigalleries with @voguehongkong and @fif.hk. Also guys now It's the best time to visit museums and @uffizigalleries is one of the most special in the world". Lo stesso giorno, la pagina Instagram delle Gallerie degli Uffizi ha pubblicato una delle foto scattate dalla Ferragni, precisamente quella in cui sorride davanti alla 'Venere' di Sandro Botticelli, corredandola con una provocatoria descrizione tutta giocata sull'accostamento tra la 'blondie', "divinità contemporanea nell'era dei social" e Simonetta Vespucci, musa ispiratrice del pittore: "Ieri e oggi... I canoni estetici cambiano nel corso dei secoli. L'ideale femminile della donna con i capelli biondi e la pelle diafana è un tipico ideale in voga nel Rinascimento. Magistralmente espresso alla fine del 400 da #SandroBotticelli nella 'Nascita di #Venere' attraverso il volto probabilmente identificato con quello della bellissima Simonetta Vespucci, sua contemporanea. Una nobildonna di origine genovese, amata da Giuliano de' Medici, fratello minore di Lorenzo il Magnifico e idolatrata dal Botticelli, tanto da diventarne Musa ispiratrice. Ai giorni nostri, l'italiana Chiara Ferragni, nata a Cremona, incarna un mito per milioni di follower, una sorta di "divinità contemporanea nell'era dei social". Tale azzardato messaggio non è passato inosservato. Anzi, centrando probabilmente le intenzioni del museo a monte del post, ha generato moltissime reactions - positive e non. Tra quelle negative, veemente e immediata è stata la reazione del grande storico dell'arte, Tomaso Montanari, che di getto, in giornata, ha pubblicato su 'Il Fatto Quotidiano' un articolo decisamente polemico, dal titolo: 'La Venere Chiara riduce Botticelli a tormentone social'. In esso, scagliandosi contro gli Uffizi ("sia chiaro: il problema non è Chiara Ferragni: il problema sono gli Uffizi"), il critico d'arte si chiedeva se fosse "giusto, sensato e saggio, che la Galleria degli Uffizi metta tutta la sua arte e la sua Storia al servizio della Ferragni". E proseguiva: "Una prima risposta può darsi sul piano brutalmente monetario. E si riassume, a sua volta, in una domanda: quanto ha pagato la Ferragni agli Uffizi (museo dello Stato, mantenuto con i soldi dei contribuenti) per utilizzarli come sfondo del suo 'shooting', cioè del servizio fotografico che andrà su 'Vogue' e che l'ha vista usare il museo in splendida, privilegiatissima solitudine? È evidente che, trattandosi di un'iniziativa commerciale a scopo di lucro, funzionale a una straordinaria macchina da soldi (la Ferragni, intendo...), il prezzo dev'esser stato almeno a cinque zeri. Credo che i musei di Stato dovrebbero sempre rendere pubblica questa informazione: per farci almeno sapere quale prezzo ha il privilegio dell'uso esclusivo dei nostri beni comuni. Così, ognuno potrà almeno decidere se abbiamo venduto cara la pelle, o no". Dopo aver puntualizzato che "è la Ferragni a sfruttare gli Uffizi e non il contrario", che "Botticelli [non] ha bisogno della Ferragni per essere conosciuto nel mondo" e che "nonostante tutto (e forse per fortuna) è ancora la Ferragni ad arrampicarsi su Michelangelo, Raffaello e Caravaggio e non viceversa", lo storico dell'arte ha giudicato l'uso degli spazi degli Uffizi da parte dell'influencer non compatibile con il loro carattere 'storico-artistico' e, perciò, in contraddizione con il Codice dei Beni Culturali, anche se "sta al direttore, al direttore generale e al ministro di turno", ha sottolineato Montanari, "tradurre questa norma in pratica: e, al momento, ognuno fa come gli pare...". Il noto - e bravissimo, aggiungiamo noi... - storico dell'arte, ha inoltre criticato il testo pubblicato dagli Uffizi come "culturalmente miserabile e indegno di una istituzione culturale pubblica. E non certo perché dissacri alcunché (Botticelli, il Rinascimento o la Vespucci), ma perché pratica un uso fuorviante e distruttivo del passato, che viene ridotto a controfigura del presente". Poi, la stoccata finale: "Gli Uffizi che cavalcano la fama social della Ferragni non portano la cultura alla massa (come dicono di voler fare), ma fanno esattamente il contrario, banalizzando anche Botticelli in un tormentone da social. Molti adolescenti sarebbero corsi agli Uffizi per vedere la Ferragni, ma neanche uno andrà a visitare gli Uffizi perché c'è stata la Ferragni. Così, gli Uffizi diventano esattamente quello che hanno scelto di essere: lo sfondo (momentaneo) di una influencer". Altrettanto pronto e incisivo l'intervento di Fedez, che in alcune Instagram stories ha difeso la moglie invitando i detrattori ad aspettare almeno di conoscere il progetto, prima di indignarsi, ricordando che "shooting fotografici per la moda in luoghi d'arte sono già stati fatti: non è la prima volta che si fanno", nonché il video Apeshit girato da Beyoncé e Jay-z al Louvre (cliccare QUI), o quello più recente di Mahmood al Museo Egizio di Torino. Interessanti, infine, le riflessioni conclusive del rapper: "Mia moglie non è andata lì a promuovere gli Uffizi, è tutta un'altra 'roba'. Io vengo da studi alle spalle di Storia dell'arte, ho vinto a 16 anni una borsa di studio in Fondazione Pomodoro per fare archivistica e la guida a una mostra di Kounellis e mi è spiaciuto, pochi anni dopo, vederla chiudere. Credo, parere mio, che se ci fossero state delle persone non all'altezza che avessero supportato la promozione di quel luogo, forse oggi avremmo ancora Fondazione Pomodoro. Ovviamente, gli Uffizi non hanno bisogno di questo, ma magari ci sono altri luoghi che hanno bisogno di questo tipo di promozione. Per me, quindi, mischiare il sacro al profano ci sta". Questo il 'cuore' delle polemiche, l'oggetto vero della querelle. Il problema, infatti, non è il progetto a cui Chiara Ferragni sta lavorando, peraltro ancora avvolto nel mistero. La questione è la 'contaminazione' tra universi che, secondo alcuni, dovrebbero restare separati e quasi, snobisticamente, contrapposti: il web 2.0 e il museo, la visibilità mediatica e la cultura, la massa e l'élite. Tale dibattito coinvolge più livelli. Non vi è dubbio, che nella polemica in questione siano confluiti più 'risvolti': verso la professione dell'influencer, da molti considerata una 'non-professione' dai facili e immeritati guadagni; verso una gestione dei Beni culturali orientata al profitto visto come elemento necessario alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio storico-artistico e non per forza in conflitto con la 'mission' delle istituzioni culturali; infine, verso i social, da alcune generazioni ancora guardati con sospetto e diffidenza. Così si spiegano le reazioni stizzite di molti. E così si motiva la posizione, assolutamente favorevole, adottata dal direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt, che a Fanpage.it, in data 20 luglio, ha rilasciato le seguenti dichiarazioni: "Non solo siamo schizzati alle stelle sui nostri canali social, ma per giunta, quest'ultimo fine settimana, abbiamo registrato fino al 27% di giovani, sotto ai 25 anni, in più al museo. Questa grande 'spinta' ci consentirà di far rientrare alcune persone che ora sono in cassa integrazione. Abbiamo avuto anche una solida risposta positiva, ma ci sono stati anche più di duemila commenti critici. Noi speravamo di aprire un dibattito, accostando il mito della Venere di Botticelli a quello mediatico di Chiara Ferragni. Volevamo provocare una discussione: che cosa è rimasto uguale e cosa è, invece, diverso? Quello che non ci aspettavamo sono questi commenti a sfondo classista, scritti contro una donna imprenditrice che viene accusata per i propri soldi. Ma è totalmente assurdo". Insomma, è stata solo una strategia culturale e di mercato. E ancora, in un'intervista a Repubblica: "Le 'stories' di Chiara Ferragni sugli Uffizi hanno avuto 550 mila apprezzamenti in poche ore, per lo più da persone che per la prima volta stabilivano una relazione emozionale col nostro patrimonio. E sotto il nostro post, nell'arco di 24 ore abbiamo avuto 2 mila critiche, ma anche 30 mila like: se fosse una partita di calcio, sarebbe finita con un 15 a 1". Dello stesso tenore, la risposta del sindaco di Firenze, Dario Nardella, su Twitter: "C'è gente che riesce a criticare Chiara Ferragni anche se visita un museo. Ma stiamo scherzando? Per noi, sarà sempre benvenuta. E anzi, in un momento così difficile, ben venga chiunque voglia supportare la nostra cultura e condividere con il resto del mondo i tesori di Firenze"! Nel mese di marzo, attraverso la propria popolarità e un uso intelligente dei social, la Ferragni è riuscita - in tempi record - a raccogliere oltre 4 milioni di euro per la terapia intensiva del San Raffaele di Milano. Se anche i musei e i luoghi di cultura si avvalessero della sua forza comunicativa e del suo seguito? Qualsiasi turista, del resto, ama immortalare i luoghi visitati con un selfie o una fotografia: cosa cambia se lo fa una influencer? E che male c'è, se "attraverso la sua capacità di influenzare i comportamenti e le scelte di un determinato gruppo di utenti" questi riuscisse a sensibilizzare i propri followers a venire al museo? Trattasi di una problematica estremamente complessa, figlia dei nostri tempi e di una società indubbiamente incentrata sull'immagine e sull'apparenza. Un problema, quello dei pubblici, delle strategie per attrarli e farli sentire accolti nelle istituzioni culturali, sul quale varrebbe davvero la pena riflettere senza rigide prese di posizione, né snobistiche chiusure.


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