Alessio SpeldaSono cominciate le consultazioni al Quirinale innanzi al capo dello Stato. E i primi esiti non sono stati, a quanto pare, chiarificatori dell'intricata situazione venutasi a creare dopo il voto dello scorso 4 marzo 2018. Per cercare di districare la matassa abbiamo dunque chiesto 'lumi' all'onorevole Bobo Craxi, importante esponente socialista, già sottosegretario di Stato agli Affari Esteri ai tempi del Governo 'Prodi bis'.

Onorevole Craxi, non ritiene alquanto strano che alcuni Partiti, per giorni e giorni, si siano affannati a dire di aver vinto le elezioni del 4 marzo scorso, mentre invece qui sembra proprio che non abbia vinto nessuno?
"Chi ha guadagnato voti e chi li ha persi é sufficientemente chiaro. Che questo consenso sia sufficiente per dare vita a un Governo convincente, ho i miei dubbi. Ora sono tutti pronti a sedersi 'a tavola': non hanno nemmeno incominciato che già si son portati via le posate. Prevedo delusioni, perché incastrare promesse elettorali e condotte pratiche sarà del tutto impossibile. Galleggeranno, finché sarà consentito".

Lei pensa che dovremo tornare alle urne, oppure che siamo di fronte a una legislatura breve?
"Se si consolida la prassi che ogni 'testa' parlamentare rappresenti un Partito, non si può escludere una longevità della legislatura per interesse. Il punto é che questa stabilità coincida con gli interessi generali del Paese. Con qualche buca stradale si può convivere, ma con l'estensione dell'esercizio provvisorio e una mediocre ordinaria amministrazione si finisce nel baratro. Un Governo lo tenteranno, pensando all'incapacità di recupero del centro-sinistra. Ma penso anche che commetteranno esattamente il medesimo errore del Pd dopo il 40,8%: le 'onde' elettorali cambiano a seconda delle fasi interne e internazionali. Prevedo una sconfitta di Trump nelle elezioni del 'mid-term' e l'inizio della discesa della sua parabola. La Lega guarda a Putin, ma il presidente russo, dopo il recente plebiscito a suo favore, muterà atteggiamento internazionale e diventerà meno aggressivo e interferente".

Secondo lei, quale opzione dovrebbe essere valutata per formare un Governo che possa, per lo meno, metter mano a una legge elettorale più chiara? Un esecutivo a guida Di Maio con l'appoggio esterno del Pd? Un accordo Lega-5 stelle? Un governo delle astensioni?
"La formula idonea per un governo di 'decantazione' dovrebbe esser quella ispirata dal tratto presidenziale e istituzionale: sono portato a pensare che verrà scelta una via di mezzo, perché i 'dioscuri' della protesta italica non possono uscirne dimezzati. Il massimo, per loro, sarà quello di essere determinanti per la nascita di un esecutivo, del quale non porteranno per intero le responsabilità, mantenendo quindi la maggioranza del 'pacchetto' dell'azionariato elettorale. Si limiteranno a tagliare pensioni ai parlamentari e a incarcerare, o affogare, qualche africano. Faranno il giro del mondo e dell'Europa per sostenere che così non si può più andare avanti. E a Palazzo Chigi ci sarà qualche San Sebastiano di turno. Poi, qualcuno fischierà la fine della ricreazione".

E i socialisti? Cosa dovrebbero fare, giunti a questo punto?
"Innanzitutto, riflettere prima di tornare all'azione. La nostra non potrà che essere una posizione di opposizione, casomai avanzasse il mostruoso governo cinquestelle-Lega; né credo plausibile un sostegno esterno a un Governo dei cinquestelle, o retto sulla maggioranza 'salviniana'. Bisogna riflettere e riorganizzarsi. Ciascuno di noi si é domandato, dopo il 4 marzo: "E' possibile che noi socialisti italiani siamo rimasti pochi e soli"? Io penso che non sia così. Quindi, dobbiamo dare una controprova di questa realtà. Noi avevamo animato una riflessione per correggere gli errori del centro-sinistra, non per incoraggiare le destre o il populismo. Per questo, alla luce dei risultati, dobbiamo avviare, se possibile in modo congiunto, una serena e severa autocritica. Mi sento disponibile senza chiedere responsabilità di alcun tipo, ma ho il dovere politico e morale di contribuire a rilanciare le buone cause del socialismo italiano. D'altronde, in parlamento ci sono un certo numero di socialisti eletti altrove, spaesati: se avremo una forza convincente potremmo attrarli a noi nei mesi che verranno, ma bisogna essere determinati. Fissiamo temi e obiettivi: questione democratica e questione sociale devono essere al centro di un'iniziativa socialista moderna. L'obiettivo è la rivincita delle europee, se non ci sarà voto politico anticipato. La lista dovrebbe rappresentare nel logo non un generico riferimento all'adesione al Pse, ma l'acronimo che lo rappresenta al parlamento, ovvero 'socialisti e democratici'. Ciò darebbe una chiara ed esplicita direzione di marcia alla sinistra, che pensiamo di rappresentare. Quindi, non una trattativa per essere ospitati in liste altrui, ma una esplicita nuova iniziativa politica di tutta la sinistra. Diversamente, é ambizioso, ma coerente, cercare le alleanze nella famiglia del socialismo europeo e mediterraneo per rilanciare la nostra. Un nuovo soggetto politico non può far generici riferimenti a fiori, piante, aggettivi qualificativi o verbi di moto. La politica del duemila si deve riappropriare delle radici culturali e democratiche che la devono ispirare, delle politiche che ne orientino gli obiettivi. La sinistra democratica, avendo abdicato ai propri compiti o avendoli falliti, deve ricominciare dai suoi 'fondamentali'. Ma senza troppe auto-flagellazioni, poiché governare la complessità é un compito assai difficile".

Nencini dovrebbe dimettersi, secondo lei?
"Ognuno reagisce alle sconfitte con la propria sensibilità. Se i compagni hanno deciso di respingere le sue dimissioni e rimandare il chiarimento al futuro Congresso, rispetto questa scelta. Nella seconda Repubblica, ci sono stati molti simboli della prima usati come feticci personali o per scopi elettorali: spero non sia questo il caso. Io, lo ribadisco, sono per contribuire a lavorare per obiettivi comuni, con mio disinteresse personale. Quello che dovevo dire, l'ho detto assieme ad Área socialista prima di questa prevedibile disfatta. Ora, non é il momento delle polemiche: chi vuole collaborare metta in pratica quello che dice. E si renda parimenti disponibile il Psi al prossimo Congresso, che mi auguro sia convocato entro la fine dell'anno".

Qualche domanda di politica estera: la vicenda dell'ex presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont, come si risolverà, secondo lei?
"Tergiverseranno per evitare una crisi fra Spagna e Germania. Certo è, che con questo arresto si é giunti al culmine del duello con la Catalogna. Se verrà avviata l'estradizione, questa non contemplerà i reati più gravi, ma a questo punto diviene plausibile che possa essere rimesso in libertà in Spagna. Ciò avverrà quando si sarà risolta la crisi politica. E penso che il varo del nuovo governo potrebbe favorire questa soluzione".

I capi d'accusa del mandato di cattura europeo spiccato nei confronti del leader indipendentista catalano sembrano piuttosto 'pesanti': non crede si tratti di accuse troppo gravi verso un ex presidente  che, in fondo, si è comportato secondo logiche pacifiste, benché protestatarie?
"La questione é certamente controversa. Vi furono delle forzature statutarie nel mese di settembre, per convocare il referendum. La conseguente dichiarazione unilaterale di indipendenza ne fu il logico esito. Non c'è stata una protesta, ma un tentativo di disconnessione territoriale e lo Stato spagnolo ha reagito in modo violento e sproporzionato a un'azione che metteva in pericolo l'unità nazionale. Entrambi i contendenti sanno benissimo che di questo si tratta. Ed entrambi dovrebbero sapere che, in un Paese dell'Unione europea e nel 2018 dovrebbero essere altri i metodi per risolvere le controversie politiche e istituzionali, a meno di voler insistere con questa guerra civile, per ora e per fortuna senza vittime, combattuta a bassa intensità".

Non crede che questa vicenda del suo arresto in Germania stia risvegliando un certo grado di simpatia in favore di Puigdemont da parte dell'opinione pubblica, non solo catalana?
"Il caso suscita interesse e solidarietà, perché Puigdemont appare un uomo mite e non un ribelle scriteriato. In generale, non si intende per quale ragione si è arrivati a questo punto dello scontro. Con questa mossa, l'internazionalizzazione del conflitto é compiuta, ma la sua soluzione non potrà che essere inter-catalana e fra la Catalogna e la Spagna".

Cosa pensa dei recenti fatti di Bardonecchia? Si è trattato di un gruppo di poliziotti esaltati che si sono comportati in maniera maldestra, oppure c'è dell'altro, secondo lei?
"Sono propenso a pensare alla prima ipotesi. Tuttavia, é evidente che il clima sull'immigrazione sia divenuto esasperato: c'è una rincorsa a chi é più rigoroso nell'applicazione dei Trattati internazionali e a chi é più spietato nei confronti di questa povera gente. Uno spettacolo indegno per delle grandi democrazie liberali, che fissano nella libertà e nella solidarietà i propri principi fondamentali. Si celebrano i fasti della globalizzazione attraverso la libera circolazione delle merci e si pretende che gli esseri umani stiano nelle loro gabbie della disperazione: é una filosofia che non potrà durare a lungo".

Ma le regole tra Italia e Francia sono abbastanza chiare, in tema di immigrazione, sin dagli anni '90: come spiega un comportamento del genere?
"La presidenza francese si é imposta perché ha fatto argine alla destra di Le Pen, assumendone però tutte le tematiche in materia immigratoria. Lo Stato di emergenza, in ragione dei frequenti attacchi terroristici, ispira e consente queste violazioni del diritto e persino delle frontiere. Escludo che si sia voluto aiutare l'imminente ascesa del governo delle 5 stelle e della Lega. Sono puri colpi di prepotenza stilistica, verso i quali dovremo presto incominciare ad abituarci. L'Europa é un insieme di regole che i Paesi membri sovente sono lieti di non rispettare. Almeno, danno prova dell'esistenza della loro sovranità, ormai perduta".


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