Gaetano Massimo Macrì"Cos'è, realmente, l'integrazione sociale"? Da questa domanda è partito lo studio, condotto dall'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Irpps-Cnr), che ha analizzato la relazione tra pratica sportiva e integrazione. La ricerca si è basata su un campione di circa 4 mila giovani e 120 insegnanti di 30 istituti secondari di secondo grado, dislocati in 10 città italiane differenti. Ma cos'è realmente l'integrazione sociale? "E' la possibilità, per chiunque, di inserirsi appieno nella collettività, senza incontrare ostacoli dovuti a pregiudizi rispetto ad altre persone", spiega il ricercatore dell'Irpps, Antonio Tintori, nell'illustrare i primi dati raccolti. S'intuisce che si è trattato di un lavoro impegnativo, che ha scandagliato la struttura valoriale dei ragazzi. Il quadro generale conferma alcuni punti già noti e immaginabili. E cioè, per esempio, che 6 giovani su 10 praticano sport. Un dato che sale al massimo se si è italiani, ma diviene minimo nel caso degli stranieri nati fuori dall'Italia e giunti nel nostro Paese in un secondo momento. La notizia positiva che emerge, innanzitutto, è quella secondo cui fare sport aumenta le relazioni amicali. In media, un amico su quattro viene conosciuto praticando sport. Un dettaglio importante, che avvalora la tesi di un'integrazione più rapida per chi è straniero e che, come è ovvio, dispone di uno scarso numero di amici nel nuovo Paese di arrivo. Viceversa, l'equazione '+ sport = + amici' assume un altro valore se riferita ai giovani italiani, i quali invece tendono a limitare le loro frequentazioni ai soli connazionali per cui, nel loro caso, la disciplina sportiva non favorirebbe una multietnicità delle compagnie. Secondo Tintori, uno dei dati principali da sottolineare riguarda la cosiddetta 'fiducia relazionale': "Gli allenatori, gli insegnanti tecnici e sportivi godono, da parte dei ragazzi, di una fiducia immensa, quasi prossima a quella accordata verso la propria madre. E' da qui che nasce, in un giovane, la possibilità di interiorizzare quegli aspetti che noi sappiamo essere positivi dello sport". Nessuno, del resto, metterebbe mai in discussione la positività di ogni pratica sportiva e gli studenti ne sono consapevoli. E qui veniamo all'aspetto più sorprendente della ricerca: il fatto cioè che, se da un lato i ragazzi conoscono i valori sportivi, dall'altro, come si traduce nei fatti tutto questo? "Purtroppo, non lo abbiamo rilevato", ammette il ricercatore, "lo sport può certamente aiutare nell'impegno a raggiungere i propri obiettivi, a essere più determinati, ma valori fondanti come il rispetto, delle regole e degli avversari, sono trasmessi dagli insegnanti in pochi casi. Solo 4 giovani su 10 hanno ammesso di aver recepito un concetto di rispetto. Probabilmente, questi valori non sono interiorizzati o non vengono insegnati. Per il momento, non possiamo saperne il motivo, ma come ricercatori cerchiamo di capire quale sia la tendenza, il comportamento. Possiamo ipotizzare che il problema si configuri nella didattica, altrimenti dovremmo mettere in discussione il binomio sport-buoni valori". Siccome si tratta di un binomio indiscutibile, su cui tutti siamo d'accordo, occorre analizzare più approfonditamente quanto emerso dall'indagine del Cnr. Quale sarebbe - e questa è la domanda da farsi - la struttura valoriale dei nostri ragazzi? Sempre in base ai dati raccolti, il rispetto si attesta come primo valore: lo ammette uno su cinque. Seguono, la sicurezza personale, la valorizzazione di se stessi, l'uguaglianza, i soldi e il successo. Tutto ciò in generale, ma il quadro muta se si 'incrociano' le risposte dei ragazzi che praticano o non praticano sport a livello extra-scolastico. Gli 'sportivi' mettono al primo posto la sicurezza personale, la realizzazione di se stessi, i soldi e il successo; i 'non sportivi', il rispetto per tutti, l'uguaglianza e la solidarietà. "Questi dati", sostiene Tintori, "ci dicono che lo sport non veicola, di per sé, quelli che abbiamo definito i valori post-moderni". Un altro dato che sembra andare contro i 'luoghi comuni' sullo sport riguarda l'opinione sugli stranieri. L'idea stereotipata che lo straniero, in Italia, venga qui a "toglierci il lavoro" prevale come risposta tra i ragazzi che praticano sport. "Anche in questo caso, purtroppo, dobbiamo concludere che la pratica sportiva non favorisce l'abbattimento degli stereotipi", sottolinea Tintori. Più in generale, quanto emerge potrebbe sembrare un dipinto a tinte fosche, in cui la figura del giovane italiano che pratica sport parrebbe meno intrisa di quei valori che, un tempo, davamo per scontati proprio in quanto trasmessi dallo sport stesso. In realtà, la situazione non è così 'nera': "Il fatto stesso che esista questo progetto ne è la testimonianza", spiega ancora il ricercatore in riferimento al progetto 'Fratelli di sport', presentato di recente presso il Coni. Si tratta di una campagna di sensibilizzazione svolta in collaborazione, oltre che con il Coni, anche col ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Nella giornata di presentazione alla stampa, in effetti, erano presenti i 'vertici' delle due istituzioni, Giovanni Malagò e Giuliano Poletti, oltre che personalità sportive del calibro di Emiliano Mondonico, atlete e atleti stranieri 'italianizzati', campioni delle più svariate discipline. Le criticità portate alla luce dalla ricerca, secondo Tintori "dovrebbero spingerci a pensare a come migliorare la situazione, per rendere più efficace la pratica sportiva. Gli allenatori, per esempio, godono di ottima fiducia. Allora, utilizziamola. E, soprattutto, sfruttiamo la nostra ricchezza culturale, perché è proprio la cultura a opporsi agli stereotipi, promuovendo i valori positivi. E' la variabile sociale che porta i giovani a praticare sport, oltretutto". Si è visto, infatti, che lo status culturale della famiglia è direttamente proporzionale alla pratica sportiva. In conclusione, lo sport è un 'toccasana' per lo straniero che vuole ambientarsi in Italia, assumendo così un alto valore inclusivo, mentre sembra trasmettere maggior esclusività tra i ragazzi italiani, che 'praticano' più per se stessi che per altro. Lo strumento c'è, insomma, poiché lo sport "resta un bel veicolo, ma dobbiamo ragionare meglio su come renderlo più efficace", conclude Antonio Tintori. Speriamo che il Coni, il quale già da alcuni anni ha attivato programmi di sensibilizzazione nelle scuole, prenda la 'palla al balzo' per intervenire.


Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio