Enrico CisnettoCome la gloriosa Settimana Enigmistica, anche Società Aperta vanta molti tentativi di imitazione. Bene, si dirà, più sono quelli che puntano a rinnovare il sistema politico che non funziona, maggiori sono le chances di riuscirci. Dunque Società Aperta, movimento d’opinione così libero da non prevedere neppure l’iscrizione formale (basta e avanza l’adesione sostanziale), non è certo gelosa che altri parlino di declino sociale ed economico, di bipolarismo all’italiana che non funziona, di federalismo da buttare alle ortiche, di ricambio generazionale, di Stati Uniti d’Europa. Anzi, a tutti coloro che fanno i nostri stessi ragionamenti diciamo: uniamo le forze, anche stando distinti. Ma nel marasma di questa convulsa fase politica, c’è anche chi predica quasi bene ma razzola molto male.
Prendiamo la cosiddetta “Casa dei Laici”. E’ un tormentone quello di molti ex (Psi, Pri, Pli) che vorrebbero ricostituire un fronte laico da contrapporre a quello (vero o presunto) dei cattolici. Ora, premesso che il sottoscritto rivendica la sua militanza nelle file del Pri di Ugo La Malfa, e dunque la sua formazione culturale e politica laica, confortata anche nelle scelte di carattere personale, a me questa storia non va giù. Non perché non senta l’orgoglio dell’essere laico, né perché non capisca il desiderio, più che legittimo, di vedere restituita la dignità e la rappresentanza di un mondo cui la furia giustizialista di dodici anni fa ha negato l’esistenza. Ma perché penso che questi tentativi non siano né fattibili né utili. Fattibili, perché l’aver partecipato a qualche riunione di “reduci” mi ha fatto toccare con mano come sia rimasto intatto quello sciagurato frazionismo che ha sempre attraversato le diverse anime del mondo laico.
E per chi vuole fare politica, e non semplicemente testimonianza (per quella sono più adatti i circoli culturali e i centro-studi), guai a battere strade impraticabili. Ma per giunta la “Ca(o)sa Laica” in questa fase è anche controproducente. Intanto perché quello stesso giustizialismo ha spazzato via anche la Dc, con uguali metodi. Né vale il discorso che i cattolici hanno saputo, seppur in più spezzoni, sopravvivere: è solo un merito. Ma soprattutto, il fatto è che oggi il Paese vive una situazione drammatica, e il primo impegno di tutti - laici e cattolici - dovrebbe essere quello di “spegnere l’incendio”.
Società Aperta parte dall’assunto che il declino è insieme effetto e causa della crisi politico-istituzionale, e che entrambi vanno combattuti indicando al Paese la necessità di emanciparsi da “questo” bipolarismo. Il quale produce disastri, altro che distinguo tra il Berlusconi buono e quello cattivo, o, dall’altra parte, tra il centro-sinistra o il sinistra-centro. La politica è scelta, indicazione di priorità. E oggi, la priorità è chiudere al più presto l’esperienza della (cosiddetta) Seconda Repubblica e traghettare il Paese alla Terza Repubblica. Cioè regole del gioco diverse per tentare di invertire la china del declino strutturale, prima che diventi irreversibile decadenza. Per far questo, è fin troppo evidente che occorre un arco di forze, sociali e politiche, di ambienti culturali, di grandi interessi organizzati, il più vasto possibile.
Chi non capisce questo, o nega l’assunto - la casa brucia - o gioca al “piccolo politico”, ambizione che Società Aperta non ha. Per questo Società Aperta, fin dalla sua creazione, ha considerato due presupposti come fondamentali. Primo: laici e cattolici devono stare assieme, superando vecchi steccati e anacronistici tabù. Naturalmente, per farlo occorre che entrambe le “famiglie” siano consapevoli dell’importanza di quella coesione, e sappiano in egual misura rinunciare a qualcosa. Questo non vuol dire eliminare le differenze, bensì significa sapere che quelle differenze sono meno importanti delle emergenze del Paese, e che comunque nell’affrontare certi temi e problemi ciascuno sarà libero di agire secondo coscienza. Secondo: la credibilità di chi critica la Seconda e vuole la Terza Repubblica passa attraverso la sua capacità di chiamarsi fuori da entrambi gli attuali poli. Certo, è diverso per chi sta sul palcoscenico politico e per chi sta in platea. Ai primi si chiede non l’abiura, ma un lavoro “in direzione di”, mentre ai secondi è d’obbligo chiedere di costruire “cose” e “case” fuori dai poli. Ma a tutti deve essere chiaro che non esiste la riformabilità dei poli così come sono concepiti - proprio perché è il sistema politico, originato da quello elettorale, che non funziona - e che per “scomporre e ricomporre” alleanze e partiti occorre che qualcuno rompa il gioco.
E’ alla luce di tutto questo che mi permetto di far osservare agli amici de ‘L’opinione’ che l’iniziativa di cui si sono fatti promotori rischia di non portare un contributo alla soluzione dei problemi del Paese. A meno che non si creda che farlo significhi affermare, come ha fatto Bobo Craxi, nel mentre difendeva la politica economica di Tremonti, che “l’idea di fondo non è come sconfiggere il bipolarismo, ma come allearsi dinanzi al neocentrismo cattolico che sta avanzando”.
Caro Diaconale, caro Biondi, costruire una “Casa Laica e Riformista” del e nel centrodestra è opera tardiva (il treno del 1994 è passato e non torna), probabilmente velleitaria, ma soprattutto rischia di dividere le forze di coloro che avendo compreso il fallimento politico del centro-destra e del centro-sinistra, si attrezzano per costruire un diverso sistema, che valorizzando davvero il sacrosanto principio dell’alternanza e non scambiando la stabilità (peraltro relativa) con la governabilità, salvi il Paese dal disastro. Laici e cattolici, ugualmente riformisti, si uniscano per dar vita alla Terza Repubblica. Senza se e senza ma.


Presidente "Società Aperta"
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