Ilaria CordìVenerdì 4 marzo 2016, alle ore 17.00, presso la sala conferenze del Partito socialista italiano, alla via Santa Caterina n. 57 in Roma, si terrà la presentazione del volume di Mario Michele Pascale: 'The walking dead: gli zombies e la filosofia politica', edito da 'Factory', marchio editoriale che cura le pubblicazioni dell'associazione culturale 'Spartaco'. Interverranno, insieme all'autore: Loreto Del Cimmuto, segretario della Federazione romana del Psi e Vittorio Lussana, direttore responsabile di Laici.it e della rivista 'Periodico italiano magazine'. Si tratterà di un 'incontro-dibattito' significativo, in cui si cercherà di riflettere intorno a questioni delicate della nostra Storia più recente, che hanno sostanzialmente manipolato e 'riplasmato' non soltanto la nostra nomenclatura politica sul lato dell'offerta, bensì anche sul versante della 'domanda', facendo leva sui desideri più irrazionali e di 'pancia' dei cittadini-elettori, dando il via a quel processo degenerativo della politica che, ormai, è sotto gli occhi di tutti. Al fine di 'anticipare' alcuni frammenti del libro di cui si discuterà il 4 marzo prossimo venturo, abbiamo dunque deciso di incontrare l'autore di questa originale pubblicazione editoriale.

Mario Michele Pascale, il suo libro unisce il celebre telefilm omonimo a dottrine filosofiche che vanno da Platone alla democrazia odierna: può spiegare ai nostri lettori come è nata l'idea di legare queste due idee diametralmente opposte che lei ha fatto sembrare così simili?
"L'idea nasce dai fotogrammi. Era chiaro che con 'The Walking Dead' non eravamo di fronte al solito telefilm d'azione di scuola americana, poiché gli 'zombies' restano sullo sfondo. In primo piano, ci sono le contraddizioni degli uomini e tra gli uomini. I sopravvissuti della serie si pongono molte domande. Non si tratta, dunque, di 'nostalgia' della civiltà, ma di come ricostruire una civiltà. Ed è esattamente questo il problema prioritario della politica, intesa come 'patto' tra gli uomini".

Nelle prime pagine, lei paragona la resurrezione di Lazzaro alla vita dei 'non morti' (gli zombie): ci spiega, concettualmente, cosa intende comunicare con questa similitudine un po' inusuale?
"Lazzaro, tecnicamente, è uno zombie: muore e rinasce. Non parla, né ringrazia per la vita ritrovata. Non mostra caratteristiche umane. Sparisce repentinamente dalla narrazione evangelica. Ma più di Lazzaro, la similitudine è con il racconto della resurrezione della figlia di Giairo. Il 'Nazareno' dice di tenere segreta la notizia e di farla 'mangiare': non ci è dato sapere cosa, però. In sostanza: siamo sicuri che la resurrezione, una categoria culturale su cui si basa il cristianesimo, sia una buona cosa? Siamo sicuri che ciò che torna indietro dalla morte sia buono? Allo stato dei fatti, mi appare una questione attualissima".

I capitoli del suo scritto sono 12 e, come incipit a ognuno di loro, lei pone frasi celebri di personaggi famosi, da Ernest Hemingway ad Adolf Hitler: come mai la scelta di questi autori?
"Si tratta di autori o personaggi storici che, talvolta con 'crudezza', hanno saputo racchiudere in poche parole l'essenza dei problemi che si vanno a 'scevrare' nei capitoli. Li ho utilizzati chirurgicamente. come un 'bisturi'...".

Secondo lei, vivere da 'zombie' è una metafora della società odierna, manipolata e soggiogata da principi talvolta estranei o, altre volte, incomprensibili, in modo che il 'non-capire' renda la 'civitas' post moderna ferma a valori tradizionali e immutabili?
"Magari fossimo fermi ai valori tradizionali: ci sarebbe spazio per una visione rivoluzionaria. Il problema, invece, è che i valori sono solo immutabili, liquidi e immodificabili. Ma questa liquidità non è un fatto positivo: non è l'acqua del mare che, comunque, pullula di vita. Somiglia, invece, alla 'marcescenza' dell'immondizia, quella che si accumula sotto le buste della spazzatura. Gli zombie sono l'esemplificazione dei cittadini a cui parla la democrazia odierna: fatti di 'pancia' e poco altro. Esattamente come i morti che camminano in mandrie, obbedendo a un segreto istinto collettivo, essi hanno un unico interesse: mangiare le carni dei vivi".

Ma come ci siamo finiti nella condizione di fantasia hollywoodiana che lei sembra prefigurare?
"Abbiamo vissuto, come generazione, un suicidio collettivo della democrazia: siamo partiti da una visione della 'res publica' e della politica come il buon governo delle oligarchie, vedi Mitterand, Pertini, Brandt e, perchè no, anche De Gaulle, a un governo indistinto della massa, intesa come organismo unicellulare, i cui leader obbediscono sempre di più alla regola dell'abbassamento del livello di discussione e di proposta politica. Il contagio del 'virus' degli zombie ha colpito anche i figli di Moro, Almirante, Berlinguer e Nenni: essi vagano nei centri commerciali".

Nel terzo capitolo, nella prima fase si parla di etica: cosa possiamo riunire, oggi, con questo termine, secondo lei?
"L'etica è una norma di comportamento, nell'insieme delle relazioni tra gli uomini generate da un patto politico. Ma oggi, i patti politici si vanno sciogliendo e le comunità basate sulle ideologie si dissolvono. In luogo della comunità, vi è solo un 'tirare', da parte dei gruppi particolari e delle lobbies più o meno grandi, il piccolo e logoro lenzuolo del privilegio. L'etica ha dunque bisogno di essere 'rifondata', alla luce di una comunità nuova. Io credo che questo atto fondativo non possa esser fatto con le buone maniere, attraverso il politicamente corretto: per fare una 'frittata', bisogna rompere le uova...".

Dall'agosto del 2011, lei fa parte del Partito socialista italiano: facendo un parallelo con questo suo lavoro di filosofia politica moderna, quanto di quello che ha scritto nelle sue pagine si può ricondurre alla condizione attuale e moderna della 'res publica' post berlusconiana?
"Tutto. Ho voluto scrivere un testo fortemente politico, che adopera gli zombies e una serie televisiva come espediente letterario e, al contempo, forma di 'rispecchiamento'. Faccio una premessa: la 'res publica' attuale non è solo 'post berlusconiana'. Il 'Silvio nazionale', con tutti i suoi innumerevoli difetti e la sua deriva populista, comunque aveva bisogno di stimolare, solleticare, analizzare e organizzare il consenso. Berlusconi rispetta i suoi elettori e identificava in loro esseri che dovevano soddisfare, sia i bisogni materiali, sia quelli legati all'immaginario collettivo (definirli 'spirituali' sarebbe troppo...). Credo che il punto di rottura sia altrove, per esempio nella linea di 'scivolamento' che parte da Antonio Di Pietro, passa per Marco Travaglio e arriva al Movimento 5 stelle. Nel corso di questi delicati 'passaggi' o 'momenti-soglia', si è ricostruito il piccolo borghese che conosce solo la propria 'pancia' e che intende i rapporti politici solo ed esclusivamente come una forma di 'vendetta' per la propria marginalità. 'Manettari dipietristi', 'travaglisti' e 'grillini' non avevano e non hanno una visione del domani: bramano solo la 'carne' della politica. E, uccidendo la politica, uccidono la democrazia".


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