Da tempi non sospetti Arturo Diaconale si sta battendo per la costituzione di un’area liberalsocialista. Il suo appello, a dire il vero, non è passato invano sotto i ponti della politica romana e bisogna dare atto ai socialisti Bobo Craxi, Gianni De Michelis e Claudio Signorile di aver risposto positivamente. Di sicuro è stato fatto un passo in avanti, ma sono necessari ulteriori iniziative per dare forma e contenuto al progetto. Alla luce dei risultati elettorali del 13 giugno, è evidente la crisi del bipolarismo all’italiana, incapace di assicurare stabilità, governabilità e riforme al Paese. Di conseguenza si pone il problema dell’alternanza dei due poli in campo. Quello berlusconiano e quello prodiano sono in crisi per ragioni politico-elettorali.
Gli assi di entrambi si sono spostati sui lati estremi. L’uno è squilibrato su posizioni populiste e plebiscitarie, l’altro è prigioniero del massimalismo di forze antagonistiche. A conti fatti, è aumentato il deficit di riformismo. Il rischio che si corre è che il Paese vada ad avvitarsi in una crisi senza via di uscita, alla mercé dell’ingovernabilità e del radicalismo di destra e di sinistra. La situazione è più grave di quel che si pensi, motivo per cui le forze autenticamente socialiste, liberali, laico-democratiche e del partito radicale, lasciando da parte divisioni e gelosie, dovranno farsi carico di avviare un processo unitario che faccia le prove generali per le prossime elezioni regionali.
In questo quadro, gli esponenti socialisti dovranno lanciare una terza campagna di autonomismo, dopo quella nenniana iniziata con il XXXII congresso di Venezia del 1957 e quella che prese il via con il Midas nel 1976. Anche perché, gli italiani hanno risposto, tutto sommato, positivamente all’appello di Craxi (Bobo), De Michelis e Signorile e questi non possono disattendere l’impegno preso nel corso della campagna elettorale. Ragion per cui, si dovrà iniziare la costruzione di un unico soggetto di matrice liberalsocialista, aperto al contributo delle forze risorgimentali e a quelle del secondo dopoguerra che hanno contribuito alla crescita, alla emancipazione, alla affermazione dei diritti civili e della giustizia sociale nel Paese.
L’idea liberalsocialista non è nuova e ha avuto storicamente grandi padri, ma pure alti a bassi. Per l’esattezza più bassi che alti, visto che il progetto non è mai arrivato alla terra promessa. In senso specifico, il liberalsocialismo è un movimento ideologico-politico sorto in Italia a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, con lo scopo di operare una sintesi teorica e politica tra i due valori della libertà e della giustizia. Esso si sviluppò come movimento di opposizione al fascismo e, sotto il profilo teorico, è uno dei tanti tentativi, venuti fuori in Europa a partire dal XIX secolo, di coniugare il liberalismo e il socialismo, per cui si è parlato di liberalismo sociale o di liberalsocialismo. Questo termine però, oltre a connotare una posizione etico-politica, è un mix di liberalismo non liberista e di principi socialisti non marxisti.
I nomi che riccorrono con frequenza quando si vuole disegnare l’albero genealogico del liberalismo sono quelli di Mill, Green, Hobhouse, Dewey, oltre a quello di Carlo Rosselli, che con il suo saggio “Socialismo Liberale” diventa il padre di tale idea. Dopo il suo barbaro assassinio, Guido Calogero si impossessò della sua eredità diventando il fondatore e il teorico del liberalsocialismo. Secondo il pensatore, bisogna riconoscere “la complementarietà indissolubile di due aspetti della stessa idea, anziché continuare a perseguire “la postuma ed ibrida unificazione di due concetti separati: non si può essere seriamente liberali senza essere socialisti, né essere seriamente socialisti senza essere liberali”.
Negli ultimi decenni del Novecento, si è aperta una nuova proficua stagione del pensiero liberale, legata in primo luogo all’elaborazione teorica del filosofo della politica statunitense John Rawls. Il suo sforzo lo diresse a dare un fondamento razionale al “principio liberale della difesa dei diritti individuali”, argomentando, in sintesi, che questi “verrebbero rispettati da ciascun uomo che fosse in grado di giudicare imparzialmente, se cioè gli fosse negata da un velo di ignoranza la possibilità di vedere interessi in gioco, venendone influenzato: su questo consenso unanime si fonderebbe un ordinamento sociale giusto, in termini di equa distribuzione della ricchezza che spetterebbe allo stato imporre normativamente”.
Alle idee di Rawls, il Psi di Craxi si rivolse per rinnovare il socialismo italiano, ridotto all’osso, perché residuale sul piano elettorale. Alla Conferenza programmatica del Psi a Rimini, nel 1982, il dibattito ruotò attorno alla teoria dello studioso americano cancellando, di fatto, la vetero-cultura politica e di governo socialista risalente al centrosinistra storico dei primi anni Sessanta. E, guarda caso, i “meriti e i bisogni”, il momento più alto dell’elaborazione programmatica, fu un’idea presa dal pensiero di Rawls.
Per queste ragioni, sottoscriviamo l’appello lanciato da ‘L’opinione’, nella speranza di intraprendere un cammino comune con tanti italiani di buona volontà con la spina dorsale dritta, “vertical” come dicono gli spagnoli, che vogliono sconfiggere gli egemonismi di sinistra e l’antipolitica populista di destra. Questa è la strada migliore, anzi è l’unica che consente di raccogliere attorno alle ceneri del bipolarismo, cosi come si è modellato dopo il crollo della Prima Repubblica, l’area laica, socialista, libertaria e democratica.

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