Vittorio LussanaL'intervista che proponiamo questa settimana come servizio di apertura è il classico esempio di come l'Italia riesca ad allontanare i suoi migliori 'cervelli' e i suoi più eccelsi scienziati. Di come sia cieco nell'umiliare, ogni giorno, la cultura, la ricerca e l'innovazione. Se si riesce a creare o a inventare qualcosa in un Paese stupido e sordo come il nostro, questo qualcosa, per quanto sporadico o estemporaneo possa sembrare, spesso deriva da un atto di moderno eroismo, che ha dovuto resistere ad avversità e difficoltà di ogni genere. Le cose belle, in Italia, sono tali poiché costrette a raggiungere la poesia. Una caratteristica che sovrasta ogni cosa, persino l'arte. Tutto ciò che, qui da noi, risulta ben fatto è il risultato di un'elevatezza di spirito che si ricollega alla nostra complessità storica e letteraria. E che comprende tutto: il semplice e il sofisticato, il naturale e l'ingegnoso, il comprensibile e il complesso. Ma ciò accade solamente quando si riesce a evitare la 'trappola' della 'facilità'. Una buona idea, nata, scoperta e realizzata in Italia, quasi sempre risulta una complessità basata, come principio originario, proprio sulla semplicità: un concetto e un'idea ben differente dalla 'facilità', dalla 'comodità', dall'ovvietà opportunistica. Chi vuol vivere, lavorare o fare qualcosa di buono in questo Paese fa una fatica immane, poiché è costretto ad attraversare intere foreste di malesseri e tormenti solo per raggiungere qualche piccola certezza che, col passare dei decenni, sembra sempre più difficile, sempre più lontana o che, viceversa, si può perdere altrettanto facilmente. Non si tratta di mancanza di opportunità o di banali ingiustizie. Anzi, le istanze civili e politiche provenienti da quegli ambienti che amano definirsi progressisti risultano spesso 'drogate' da un ricorso, 'facile' anch'esso, al giudizio superficiale, al discredito gratuito, alle accuse inquisitorie. Una 'facilità demagogica' che si tramuta, troppo spesso, in strumentalizzazione, in mero meccanismo, perdendo ogni spirito di spontaneità, di autenticità: in una parola, di verità. E' difficile vivere una vita normale, in questo Paese. Tutti quegli obiettivi, politici e sociali, che negli altri Stati vengono raggiunti attraverso processi evolutivi regolari, o 'normali', qui da noi scontano sempre lunghe e drammatiche fasi di immenso travaglio. Era così nell'Italia di ieri ed è così oggi. Nulla è cambiato: siamo il Paese della teatralità e della tragedia. Persino più della Grecia, ovverosia il luogo in cui la tragedia stessa è nata. L'Italia ha vissuto la Controriforma, l'Inquisizione e il fascismo. Ciò ha comportato il radicamento di comportamenti, consuetudini e convenzioni che a loro volta hanno determinato vuoti atteggiamenti di manipolazione, condizionamento e 'contaminazione'. Ciò non significa che l'Italia sia un Paese da abbandonare o da ripudiare. La vera questione italiana è un'altra: la presenza di una molteplicità di squilibri che hanno generato e diffuso una mentalità caotica e dissimulatoria, un individualismo egoistico quasi animalesco, una tendenza innata a scegliere le scorciatoie per la risoluzione delle sue più profonde problematiche antropologiche e sociali. E' per tali motivi che, sotto il profilo schiettamente politico, questo Paese necessiterebbe di un nuovo progetto di società. Perché l'Italia è una terra magnifica: il suo vero problema sono solo gli italiani.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
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Marina - Urbino - Mail - martedi 2 dicembre 2014 12.18
Infatti ho approvato immediatamente il desiderio della mia unica figlia di trasferirsi all'estero. Per quanto mi costi la sua lontananza forse potrà avere un futuro, qui non ci sono speranze, gli italiani sono davvero così come lei li descrive.
Vittorio Lussana - Roma/Milano/Bergamo - Mail - lunedi 1 dicembre 2014 19.57
RISPOSTA AL SIG. CADORNA: gentilissimo lettore, lei ha compreso perfettamente la 'chiave' del mio editoriale e la ringrazio. Riguardo al fatto che Giovanni Spadolini non conoscesse l'inventore del "Sistema naturale di equitazione", teso a rendere il comportamento del cavallo il più naturale possibile - e tenendo presente che, comunque, Giovanni Spadolini era, tra i nostri politici, uno dei più colti, rispettabili e preparati - è determinato dal fatto che molto di quel che si dice, si scrive e si dibatte all'estero sul nostro Paese è assai diverso rispetto a ciò di cui ci occupiamo noi qui, nel nostro 'cortile'. E' sempre stato un nostro limite, sin dai tempi di Croce, che definiva tale questione: "Il provincialismo della cultura italiana". La ringrazio sinceramente per il suo commento, assai opportuno ed estremamente pertinente.
Carlo Cadorna - Frascati - Mail Web Site - lunedi 1 dicembre 2014 6.23
Articolo meraviglioso che si attaglia perfettamente ad uno dei più grandi inventori italiani: il Cap. Caprilli, inventore dell'equitazione moderna (fu citato da Reagan a Spadolini che non sapeva chi era) disciplina di cui scrivo su www.lastriglia.com ; infatti la Sua idea geniale era semplice ma non facile...


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