Il Sen. Luigi Compagna, giornalista e docente universitario eletto nel 13° collegio senatoriale di Caserta, è iscritto al gruppo dell’Unione dei Democratici Cristiani di Palazzo Madama.

Senatore Compagna, cosa significa la parola ‘destra’ secondo il dizionario politico attuale?
“La domanda non è semplice, proprio per il particolarissimo dizionario politico, come lei lo definisce, italiano. La destra e la sinistra, così come sono esistite nel secolo scorso, erano entrambe espressioni di un sistema politico profondamente parlamentarista, che la scienza politica, cento anni dopo, ha poi definito consociativismo. La destra italiana, quella di Cavour e di Ricasoli nasce da una logica ideologica di sinistra moderata. Lo stesso De Pretis esprimeva un liberalismo di sinistra, talvolta persino radicale, ma sia la destra, sia la sinistra storiche sono poi state soffocate dai nuovi partiti della sinistra sociale: il Partito Socialista, che nasce nel 1892 e il Partito Repubblicano, che viene fondato nel 1895. Quando, dopo la vittoria del maggioritario, nel 1993, ci siamo tutti ritrovati in questi schieramenti di centrodestra e centrosinistra, la politica italiana si è fatta, paradossalmente, più confusa di prima. Insoddisfatti e insofferenti dei partiti tradizionali, quelli che avevano caratterizzato un cinquantennio di vita repubblicana, gli italiani hanno deciso di liquidare tutto insieme il sistema proporzionale e la cosiddetta partitocrazia, voltando, in un certo senso, le spalle proprio alla politica. Si è pensato, in sostanza, che un criterio di forte rappresentanza sociale potesse cancellare esigenze, non più avvertite, di rappresentanza politica. In questo scenario, la destra ha cercato di identificarsi con quell’area della società italiana meno parassitaria. Non ricordo bene se tale definizione sia proprio di Giulio Tremonti, ma l’idea di un cosiddetto popolo della partita IVA esprime abbastanza bene, come concetto, quella massa che, ad un certo punto, si è riconosciuta nella cosiddetta discesa in campo di Silvio Berlusconi e nella nascita di Forza Italia. Non dobbiamo nemmeno dimenticare, però, che questa discesa avveniva in un ‘campo’ che era stato ‘arato’ proprio dai carri armati delle Procure. Benché infatti stanca ed estenuata, la rappresentanza politica tradizionale dell’area di centro, democristiani, liberali, repubblicani, socialisti e socialdemocratici, aveva ancora la maggioranza dopo le elezioni del 1992, ma nel corso dell’anno successivo questi partiti, questi uomini e queste tradizioni vengono brutalmente cancellati dall’azione delle Procure. Di conseguenza, la discesa in campo di un movimento come Forza Italia è andata proprio a coprire un vuoto che si era creato. Per onestà intellettuale, bisogna anche affermare che Forza Italia non ha mai amato identificarsi con la destra: l’ha, come si suol dire, ‘sdoganata’, non ha avuto esitazione a percepire Alleanza Nazionale come alleata naturale e ad instaurare un rapporto, seppur complesso, di collaborazione politica con la Lega nel nord del Paese. Tuttavia, Forza Italia ha cercato di occupare il posto che tradizionalmente, nel sistema politico proporzionale, era proprio della Dc".

E allora qual è la destra del centrodestra?
"Da questo punto di vista, la destra, nel senso politico del termine, è rappresentata dal vecchio Movimento Sociale Italiano che si è sciolto nelle acque di Fiuggi trovando qualche intellettuale monarchico di ottima tradizione europeista, mi riferisco a Domenico Fisichella, recuperando, più che una politica, una cultura di destra – pensiamo, ad esempio, al liberismo anarcoide di Prezzolini -, taluni motivi di liberismo einaudiano, le battaglie di critica liberale alla democrazia. In tal senso, però, la mia sensazione è che la destra, in tempi di sistema maggioritario, non abbia quel plusvalore di identità che ci si aspettava potesse acquisire con lo sdoganamento avvenuto".

Cosa intende dire?
"Che paradossalmente, la lotta politica italiana si svolge ancora al centro, con tutti i suoi aspetti di trasformismo più tipici, nel senso depretisiano, ma anche se si vuole mastelliano, del termine. Ovviamente, è una lotta politica di carattere puramente lobbystico. La rappresentanza politica, così come l’ha conosciuta la mia generazione, ha ceduto molto terreno a quella sociale. Questo è un fenomeno inevitabile, ma che rende meno funzionale l’attuale architettura maggioritaria, la quale è ancora un sistema di coalizioni ben distante da un bipartitismo effettivo e che, invece, si realizza in un bipolarismo mal funzionante. In sostanza, sono nate regole nuove, ma le vecchie sono rimaste intatte, anche in mancanza dei protagonisti del passato. Di qui discende una contraddizione enorme per coloro che, in buona fede, avevano pensato, a destra come a sinistra, ad un modello di tipo anglosassone, poiché si sono ritrovati in un vero e proprio pantano per uscire dal quale sarebbero necessari nuovi elementi di cultura istituzionale e costituzionale ancora ben lungi dal delinearsi (basti pensare al conflitto giurisdizione-costituzione su cui è morta la Prima Repubblica…)”.

Ma destra e sinistra non erano le uniche categorie del vecchio sistema politico. Sussisteva anche la distinzione tra laici e cattolici: questa come si ricompone nell’attuale sistema politico italiano?
“Laici e cattolici sono uno schema di appartenenza e d’identità ormai molto appannato. Il tema è stato vitale nel secolo scorso, ad esempio all’epoca dei fatti del 20 settembre 1870, particolarmente dolorosi per un cattolico come Alessandro Manzoni. In qualche modo, nel secondo dopoguerra e dopo la caduta del fascismo, la promozione del partito unico dei cattolici, la Democrazia Crtistiana, ha poi finito con sdrammatizzare il problema, proteggendo il valore della laicità dello Stato. La Democrazia Cristiana, infatti, aveva, al proprio interno, anche correnti cattolico-integraliste, ma era complessivamente rispettosa della laicità della politica: non dobbiamo, a tal proposito, dimenticare la difesa della laicità in quanto valore politico operata proprio da De Gasperi, naturalmente con il concorso del ‘quadripartito di centro’, durante ‘l’operazione Sturzo’ dei primi anni ’50. Con il crollo della Democrazia Cristiana, si perdono anche le tradizionali identità di appartenenza tra laici e cattolici. Lo dico, naturalmente, come laico che ha sempre aspirato ad una convivenza più facile: oggi, non esistono più steccati, ma solo qualche rigurgito di clericalismo di natura totalmente inedita. Per esempio, pur non avendo seguito con attenzione il tema che verrà affrontato dal Senato nelle prossime settimane sul problema delle biotecnologie, noi assistiamo non soltanto ad un clericalismo antiscientifico di tipo cattolico, ma anche ad un integralismo ‘verdeggiante’. Del resto, nelle ultime fasi del governo Amato II, è bene ricordare le polemiche dell’allora ministro delle Risorse Agricole, Alfonso Pecoraro Scanio, con il mondo scientifico…”.

E, invece, le categorie progressisti – conservatori come si ricompongono, nel panorama politico attuale?
“Io mi considero un conservatore. Tuttavia, essendo ‘saltato’ ogni schema, ho maggiori difficoltà, oggi, a riconoscermi in un’ideologia di tale natura. Tutto sommato, c’è più conservatorismo nella sinistra organizzata e più progressismo, anche se talora in forme scomposte, talaltro in maniere un po’ anarcoidi, negli ambienti del centrodestra. In fondo, la Casa delle Libertà, da un punto di vista ideologico non ha granché da conservare, mentre quello del centrosinistra presenta degli ‘arroccamenti’. Faccio un esempio significativo: noi abbiamo in Italia un grosso problema previdenziale e delle pensioni. Il sindacato confederale mantiene una quota del 50% di iscritti che ormai sono pensionati. Se pensiamo a questo dato e lo accostiamo all’Italia non dico di Di Vittorio ma con quella di Novella e di Lama, già questo dimostra come conservazione e progresso non siano rimasti fermi a quei periodi, ma abbiano avuto una loro evoluzione...”.

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