Luca Casarini è forse la figura più rappresentativa della nuova sinistra no globlal italiana. In questa intervista, da lui rilasciataci, ha infatti rifiutato decisamente l'immagine di leader emergente della cosiddetta sinistra 'antagonista': vediamo perché...

Casarini, può darci il suo parere sul girotondismo? E' utile per la sinistra oppure è solo un fenomeno mirato a condizionare gli equilibri interni ai Ds?
"Se il girotondismo sia utile è una domanda da rivolgere soprattutto a coloro che lo praticano, poiché a me sembra che, dopo un primo momento in cui - al di là di determinati contenuti riguardanti i problemi della giustizia che mi vedono su posizioni decisamente differenziate -, si esprimeva una certa carica critica alla forma-partito e, più in particolare, a quella dei Ds, si sia passati ad una forma di manifestazione, quella di piazza San Giovanni ad esempio, in cui il movimento ha chiaramente dimostrato l'avvenuta autoghettizzazione a mero 'vivaio' di quel medesimo partito che tanto criticavano. In tal senso, sull'utilità dei girotondi devo dire che nutro ormai forti dubbi anche in termini di politica sociale, poiché avere la mafia al governo, come nel caso dell'Italia, pur risultando una condizione particolare, sotto certi aspetti non rappresenta una novità, in quanto la mafia al governo in questo Paese c'è sempre stata, come ha pure dimostrato il ddl Cirami, vero e proprio esempio di governo mafioso tutto intento a lavare i propri 'panni sporchi' in Parlamento. Purtuttavia, richiamarsi ad una forma di diritto neutro, asettico, come se questo fosse una mera fonte astratta, tradisce un vizio culturale e politico che, soprattutto a sinistra, finisce col far credere a molti che chiedere più carcere e più applicazione delle leggi significhi avere più democrazia. Tale equazione é profondamente sbagliata, a mio parere, perché, da che mondo e mondo, quando si chiede più carcere per i ricchi, i poveri finiscono col subire prezzi detentivi ancora maggiori di quelli che già pagano. Mi spiego meglio: io non credo che chiedere le 'forche caudine' per Craxi abbia significato ottenere un regime più democratico in favore di chi era in attesa di giudizio all'interno di un carcere o per coloro che rubavano per fame. Permane, in ciò, la sensazione di un vizio di fondo della sinistra la quale, richiamandosi a una concezione astratta dello Stato di diritto e della legalità, finisce col nascondere o col dimenticare problemi enormi. Non tutti i magistrati sono dei galantuomini. Quando giudicano e condannano ogni giorno migliaia di poveri, di tossicodipendenti, di gente che non ha i mezzi per difendersi adeguatamente in un procedimento giudiziario, certi giudici non si comportano affatto correttamente, pensiamoci bene. Non tutti i giorni finiscono in tribunale i politici di Tangentopoli, i Berlusconi e i Previti: i ricchi, di carcere ne fanno sempre ben poco...".

Chissà allora cosa penserà delle cinque mozioni sulla guerra che hanno fatto letteralmente a pezzi tutto il centrosinistra...
"Penso che abbiano esattamente fotografato il fallimento del progetto socialdemocratico, che potremmo anche ascrivere alle precedenti elezioni francesi. Il tonfo della 'gauche plurielle' francese, nella sostanza già era un autentico segnale del fallimento complessivo di un disegno di socialdemocrazia europea. Poi, nel contesto specifico, il centrosinistra italiano ha finito col delineare platealmente la propria scarsa attitudine alla progettualità, nella sua totale incapacità di innestare, su un cuore 'blairiano', un'unica testa politica. Il progetto di Blair è vincente dal punto di vista del potere. Di conseguenza, la sinistra italiana deve decidere se vuole quest'ultimo o essere se stessa. Il potere, in effetti, lo hanno scelto da tempo. Di qui il fastidio di D'Alema a dover votare contro la guerra per tenere calma la situazione interna al proprio partito".

Lei parla spesso di ricchi e poveri: non ritiene erroneo rimanere ancorato al vecchio schematismo marxista della lotta di classe?
"Certamente oggi la società è molto più complessa ed articolata e non è più possibile limitarsi, in sede di analisi, a ragionare attraverso direzionalità esclusive. Tuttavia, con la vittoria ideologica del liberismo, un grosso problema di sostanza è comunque rimasto: la forbice di differenza, sempre maggiore, esistente tra i pochi che stanno benissimo e i moltissimi che, nel mondo, vivono sempre peggio (o non sopravvivono nemmeno...). Se andiamo a vedere anche situazioni locali, ad esempio quella di un Paese come l'Italia, con il capitalismo oligarchico che si ritrova, pur nella forte differenziazione dei bisogni rispetto a situazioni molto peggiori della nostra, il divario si evidenzia anche qui. Nel Chapas, insomma, l'esigenza più importante è quello di una ciotola di riso per continuare ad andare avanti, ma anche in Italia ci sono troppe persone che vivono al di sotto della soglia di povertà a fronte di uno sviluppo economico che ha moltiplicato per mille la propria produttività negli ultimi dieci anni e con prodotti interni lordi che, anche nelle cicliche fasi di ristagno, hanno sempre mantenuto andamenti annuali di miglioramento sensibile. Eppure ci sono i licenziamenti, i ricorsi continui agli ammortizzatori sociali, il costante aumento di categorie di nuovi poveri, problemi che non hanno altra causa se non la classica tendenza del nostro capitalismo 'casareccio' ad appiattire verso il basso interi ceti sociali, senza riuscire più di tanto a correggere tale gravissimo difetto all'interno del nostro sistema economico".

Lei ritiene di rappresentare l'anima terzomondista della sinistra o quella cosiddetta 'antagonista'?
"Nessuna delle due: il terzomondismo dev'essere superato, anche se di esso sono rimaste molte tracce in varie parti del pianeta - proprio di recente, viaggiando per il mondo ho scoperto con sorpresa tantissimi filoni 'trozckysti' ancora esistenti -. Io spero proprio che la globalizzazione delle lotte, conseguente a quella neoliberista, riesca a superare questa tendenza, affinché si arrivi a sollevare ed analizzare condizioni, velocità e differenze integrabili in un progetto unico, che riscopra meccanismi e dinamiche di valore universale. Questa è poi la vera essenza della grande spinta di Seattle, che ha spazzato via il terzomondismo come teorizzazione plausibile. Seattle ha infatti determinato quel che poi ha rappresentato, proprio nel cuore della produzione ad alta tecnologia, cioè là dove c'era la Microsoft, la Boing, il terziario avanzato. Il terzomondismo, proprio perchè presuppone l'esistenza di un mondo 'terzo', finisce col non contemplare concettualmente l'esigenza che si stia tutti assieme: va nella direzione sbagliata. Peraltro, non mi considero nemmeno un antagonista, in quanto, pur opponendomi ad una determinata deriva della società, cerco di non porre questioni e contraddizioni su piani di contrapposizione puramente ideologica, altrimenti non riusciremmo, come nuova sinistra, a capire come poter riprodurre Seattle. La parola antagonista, inoltre, io la leggo come un tentativo attuale di rappresentare un certo massimalismo politico e, personalmente, non riconosco al termine in sé altro significato che non quello di forzato etichettamento della nuova sinistra. Se proprio devo cercarmi una definizione precisa, mi riconosco maggiormente nel termine 'zapatista', soprattutto per ciò che ha significato, anche per la mia generazione, l'aver scoperto Marcos e una dinamica di rottura rispetto alle normali tradizioni della sinistra rivoluzionaria successivamente alla caduta del Muro di Berlino".

Lo sa che qualcuno, in Forza Italia, ha simpatia per la Tobin Tax, la proposta no globlal di tassazione delle transazioni finanziarie internazionali?
"Mah, la cosa non mi stupisce. Determinate teorie di contenimento sociale o di normale gestione del Welfare non nascono esclusivamente a sinistra: anzi, in molti Paesi è sempre esistita una destra innovatrice che ha prodotto parecchie sperimentazioni intorno a tematiche di redistribuzione della ricchezza. La vera differenza, infatti, è quella metodologica. In tema di droghe, la cosiddetta teoria della 'riduzione del danno' nasce a Liverpool, in ambienti politici fortemente conservatori, di destra vera, autentica, tanto per fare un esempio. Riguardo alla Tobin Tax, il problema, anche lì, rimane metodologico, poiché la questione centrale diviene quella della contestualizzazione degli investimenti provenienti da simili operazioni fiscali di carattere internazionale. Insomma, il discorso concreto, alla fine, verte sul dove distribuire le risorse superando, altresì, logiche paternalistiche tendenti a redistribuire soltanto le briciole e non quello di un principio considerato pericoloso per le dinamiche capitalistiche più avanzate. Mi spiego ancor meglio con un altro esempio: un conto è pensare di usare la Tobin Tax per dare nuove possibilità di crescita e di cittadinanza economica a tutti i cittadini d'Europa, la qual cosa può infastidire il capitalismo multinazionale oligopolista; un conto è realizzare un fondo internazionale di 'tamponamento' secondo logiche di mera carità. Quest'ultima ipotesi è infatti concepibile come normalissima tematica di contenimento sociale, non di riconoscimento di diritti per i cittadini".

Per concludere, cosa significa oggi, secondo lei, dire qualcosa di sinistra?
"In alcuni casi, oggi significa stare zitti. Può sembrare una battuta, questa, ma di fronte alla tragedia che stiamo vivendo per la guerra e di fronte al fatto che tutti quanti, per quanto facciamo e diciamo, non riusciamo a fermarla, forse, essere di sinistra, qualche volta significa anche stare zitti…".

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