Valentina Corsaletti

In attesa che le Giunte dei due rami del Parlamento e le rispettive Aule si pronuncino sulla questione delle intercettazioni telefoniche, i leader dei Ds, Piero Fassino e Massimo D'Alema, hanno scritto una lettera a Carlo Giovanardi, presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera dei Deputati, al fine di chiedere l’accoglimento delle richieste del Gip di Milano, Clementina Forleo. In particolare, il presidente della Quercia ha affermato: "Condividerò, come ha già dichiarato l'onorevole Fassino, ogni decisione che il Parlamento intenda prendere, ivi compreso l'accoglimento dell'istanza della dottoressa Forleo", dicendosi "turbato e preoccupato per delle accuse tanto gravi quanto palesemente infondate" e sottolineando di essere "interessato più di ogni altro ad un pieno accertamento della verità dei fatti. Anche per questo ho già dichiarato la mia disponibilità a collaborare con la magistratura, indipendentemente dalle conclusioni cui giungeranno la Giunta e il Parlamento". Da Forza Italia, Silvio Berlusconi in persona ha annunciato il 'no' del proprio partito alla richiesta del Gip ad utilizzare le intercettazioni riguardanti le scalate ad Antonveneta, Unipol e Rcs. "In Aula sulle intercettazioni voteremo no", ha detto Berlusconi, "perché noi abbiamo dei principi che restano fermi e che sono sempre quelli, indipendentemente dalle persone coinvolte". Una presa di posizione, quella dell'ex premier, che ha scatenato, da parte del centrosinistra, dure repliche, in particolare dall'Italia dei Valori: "Nulla di nuovo sotto il sole” ha affermato il capogruppo alla Camera, Massimo Donadi, “stiamo assistendo a quello che sin dal primo momento temevamo, ovvero, che in nome di un finto garantismo la politica si stia chiudendo a riccio in una sorta di autodifesa referenziale". Donadi ha inoltre aggiunto: "Noi non solo ribadiamo convintamene il nostro ‘sì’ alle autorizzazioni, ma chiediamo che la Giunta lo faccia nel più breve tempo possibile, affinché siano rispettate tutte le procedure previste e non si rimandi sine die". Nella maggioranza e, in particolare, dai Ds, vengono respinte le ipotesi di volersi 'coprire' dietro dei privilegi. "Sono favorevole - dice il ministro per lo Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani - come sta avvenendo, che i nostri onorevoli si rimettano alle procedure. Non c'e nulla da nascondere: qualcuno ha notato che nell'iniziativa del Gip c'era un di più? Discutiamone, ma non diciamo sempre che sono i politici che vogliono difendersi". In effetti, nei corridoi della procura di Milano, proprio in questi giorni sembra essersi ingenerata una grande discussione e un gran fermento, poiché il giudice Clementina Forleo può anche essere andata sopra le righe, ma alcuni magistrati si chiedono se davvero i colleghi Pm non potevano compiere la mossa suggerita oggi, quasi due anni dopo la registrazione di quelle conversazioni: ovvero iscrivere nel registro degli indagati i nomi dei politici e, quindi, accertare eventuali responsabilità, o liberare i personaggi coinvolti da qualsiasi ombra e sospetto. Perché non e stato fatto? In tribunale circolano diverse tesi: quella che ritiene che quei colloqui siano penalmente irrilevanti e quella che, comunque, giudica necessario un approfondimento che, tuttavia, non è ancora mai stato accertato. Ma vi sarebbe anche una terza tesi: quella che teme che senza la concessione di un’autorizzazione da parte del Parlamento non si possa più tener conto delle intercettazioni raccolte, come se non esistessero. Questa convinzione è molto contrastata dai magistrati più intransigenti, alcuni dei quali ritengono che nel codice di procedura penale italiano non ci sia bisogno di indizi eclatanti al fine di indagare qualcuno: in sostanza, dal punto di vista giuridico, un conto é procedere all'iscrizione nel registro degli indagati e svolgere accertamenti, ben altra cosa è, invece, portare delle prove e degli indizi al vaglio di un Tribunale. Ma in questo caso, non si è proceduto alle iscrizioni, né si è aperto un procedimento contro ignoti per accertare il chi e il come, ovvero chi abbia mai avvisato Consorte e gli altri coindagati che erano in corso delle intercettazioni e con quali termini lo abbia fatto. Perché, dunque, l'On. Massimo D'Alema non è mai stato convocato come testimone per chiarire a quali 'comunicazioni' avrebbe fatto riferimento? Infine, ulteriore tesi messa in circolazione è quella che nota come i Pm siano stati, tutto sommato, alquanto prudenti nella vicenda: forse perché ancora non sanno se e quali di queste conversazioni verranno concesse dal Parlamento? Quel che è certo, è che se la Camera deliberasse un voto affermativo, la questione tornerebbe alla Procura milanese che, a quel punto, dovrebbe decidere se sposare definitivamente la tesi della Forleo, oppure rimanere sulla linea principale di indagine: i nastri servono solamente a sostegno delle accuse mosse contro gli ‘attuali’ indagati.




 

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