Raffaello MorelliNel numero scorso di Laici.it, Carla De Leo ha ribadito, opportunamente e con diversi esempi sul quotidiano, le ragioni per cui nel mondo delle reti informatiche bisogna imparare a difendere il proprio diritto al privato. Desidero pertanto fare una sottolineatura (per evitare un fraintendimento) e una connessione (per richiamare a cosa si riferisce il diritto al privato). La sottolineatura è per osservare che il cosiddetto diritto all'oblio – vale a dire "una protezione giuridica retroattiva, che consiste nella eliminazione dal web di tutta una serie di fattori del passato negativi o imbarazzanti, lesivi della reputazione personale" – non sarebbe solo una ‘toppa’ al buco del diritto al privato, come scrive la De Leo, ma piuttosto costituirebbe uno sfregio ulteriore al presupposto di fondo di questo diritto, che è l'attenzione ai fatti. Per motivarlo, tratto al tempo stesso della connessione. Il diritto al privato ha radici lunghe qualche secolo (anche se solo da poco è divenuto di moda con l'espandersi delle reti informatiche). Quelle radici sono l'aver scoperto progressivamente l'importanza decisiva per la convivenza della libertà individuale. La trasformazione delle vecchie società fondate sull'autorità di vario genere e sul possedere da parte dei potenti è stata lunga e costellata di drammi, ma poco alla volta si è riconosciuto necessario il criterio della libertà del cittadino nell'esprimersi, nel gestire le proprie condizioni di vita e di proprietà, nello scegliere i modi della convivenza in relazione alla realtà quotidiana. In nome di questo criterio, è stato ed è decisivo non solo accettare il ruolo dell'individuo, ma anche capire che tale ruolo si manifesta attraverso i comportamenti tenuti, che costituiscono il calarsi nel mondo del cittadino per proporre le sue scelte nell’ambito del conflitto democratico sempre in corso. E’ ovvio che, con il passare del tempo e sulla base dell’esperienza, l’esercizio del senso critico individuale può condurre la stessa persona a maturazioni particolari e a mutamenti di opinioni sul quadro generale, su aspetti specifici, sul filone culturale preferito, sulla professione, sulle compagnie, sui gusti sessuali e quant'altro. Ma non a cancellare le scelte fatte prima. Quelle sono parte della storia di ciascuno. E il dritto di dar conto di tutta la progressiva evoluzione di quella storia non va confuso con il presunto diritto all'oblio, che nasconde il passato imbarazzante. I fatti sono strettamente legati all'individuo. Non escludono cambiamenti, ma non consentono negazioni. Significherebbe negare la radice della libertà, che funziona appunto assumendo il rapporto tra persone e avvenimenti come cardine sperimentale dell'efficacia delle scelte compiute di volta in volta, in base alla diversità individuale dei cittadini. Come scrive Carla De Leo, è indispensabile reagire alla stortura del presunto diritto all’oblio abituandosi a difendere fin dall’inizio il proprio diritto al privato. Innanzitutto, non cadendo nelle trappole comunitarie, che promettono solidarietà della rete sociale a chi si mette a nudo, distruggendo, tuttavia, la riservatezza del privato. In secondo luogo, favorendo leggi e normative che impongano agli editori (pubblicazioni on line e mass media in generale) di stare ai fatti e, quindi, di dare le notizie in contrasto con quella precedente, nella stessa collocazione e con il medesimo rilievo della prima (naturalmente non escludendo ulteriori eventuali risarcimenti per altre responsabilità concorrenti). La libertà si difende anche con queste regole ‘minori’, che sono tali solo in apparenza.




Presidente della Federazione dei liberali italiani
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