Vittorio LussanaStefania Catallo è un’autrice che apprezzo sinceramente, per il coraggio delle sue idee e per le sue battaglie. Dunque, mi ha fatto molto piacere poter leggere il suo ‘Ecce dominae!’, edito da Universitalia, un insieme di esperienze di donne violentate e maltrattate raccolte presso il ‘Cespp’, il centro romano di psicologia popolare dedicato alla memoria di Lino Filipponi. Questo libro, infatti, rappresenta il degno coronamento di un paziente lavoro di ascolto e di raccolta a cui la Catallo ha voluto dedicarsi con grande passione sociale e assai lodevole senso civico. L’autrice racconta quello che vivono molte donne quotidianamente sulla loro pelle, nei difficili e multiformi ambienti sociali del nostro Paese. Ma, nel far questo, ella ha saputo prendere le giuste distanze, facendo lo sforzo di non rendere quest’opera un mero pretesto per porre in mostra se stessa secondo modalità stucchevolmente speculative. Al contrario, da brava giornalista che ha imparato il ‘mestiere’, la Catallo si è ‘tolta di mezzo’, concedendo spazio unicamente alle ‘sue’ donne e ai loro racconti. Questo sforzo merita di essere apprezzato. Innanzitutto, perché la sua virtù principale è quella di voler insistere nel porre al centro del dibattito il tema stesso della violenza contro le donne, una problematica che molti cercano di relegare ai margini, nonostante possieda un peso specifico fondamentale nel merito della ricostruzione di nuovi costumi e innovativi linguaggi all’interno della nostra società, in grado di rilanciare quelle evidenti esigenze di dialogo in quanto metodo di ‘vivibilità ambientale’. In secondo luogo, siamo di fronte a un lavoro che amo definire ‘costruttivo’, poiché privo di quelle ansie ‘rivoluzionarie’ o ‘massimaliste’ che possono portare a risultati ‘biunivoci’, o addirittura ambigui. Perché anche nella cosiddetta ‘buona fede’ si possono commettere errori che rendono ogni tentativo di sensibilizzazione dell’opinione pubblica poco credibili, scarsamente indirizzati verso una moderna esigenza di ‘esemplarietà’ individuale. Non è questo il caso. Tra Stefania Catallo e il sottoscritto ci divide un mondo: il mio socialismo ‘lombardiano’ tende a fornire ricette che delineano percorsi temporalmente lenti, che seguono le logiche di un antico riformismo di ‘lunga lena’. Ma quest’autrice - e amica - intelligentemente percepisce questa nostra ‘falsa distanza’ e cerca sempre di colmarla con sincero impegno, con grande interesse, con evidente sincerità. Il suo non è semplicemente ‘facile sdegno’, il solito ‘sinistrismo’ da benpensanti, bensì il tentativo di rilanciare un’evidente necessità ‘popolare’ di ‘nuovo altruismo’, di aiuto reciproco tra singoli individui. Il suo libro è la prova perfetta di tutto questo: una copertina ricercata ed elegante, individuata grazie a un’amica grafica che si è letteralmente fatta beffe delle svariate tendenze creative tutte imperniate sul cosiddetto impatto da ‘photoshoppista’, riallacciandosi invece, con coraggio, alla miglior tradizione fumettistica degli anni ’70 e ’80. E una casa editrice, Universitalia, che preferisce lavorare sul territorio piuttosto che andarsi a cercare intellettuali ‘imbolsiti’, che portano avanti soprattutto se stessi al fine di autocelebrarsi come esperti di una determinata materia. L’operazione, insomma, in termini editoriali è coraggiosa, non ‘casareccia’. Solleva la questione nel merito e nel metodo, riportando il lettore verso ciò che si può ancora fare per battersi con coerenza e pragmatismo contro una ‘piaga’ - il difficile rapporto ‘storico’ dell’universo femminile con il mondo degli uomini, con la società, con le religioni e persino con la guerra - senza piegarsi alla supponenza di indicare soluzioni ‘populiste’, che lascerebbero il tempo che trovano. Stefania Catallo ha saputo ascoltare il dolore e le umiliazioni di queste donne scoprendo come questo percorso abbia aiutato soprattutto lei stessa ad ascoltare gli altri, le loro idee, le loro ipotesi di lavoro, nel tentativo di evitare quello ‘svuotamento’ di un dibattito che decenni di colpevoli sarcasmi e sottovalutazioni hanno reso quasi una pratica ‘demodè’. Ma non si può rispondere a un bisogno di dialogo tra generi, idee, culture e stili di vita all’interno di una collettività negandone lo strumento principale, fin quasi a esaltare l’incomunicabilità egoistica, moralmente sterile. Il mondo delle donne non rinuncia al metodo del dialogo, dell’apertura, dell’incontro. E questo loro impegno sarà ciò che potrà portarci a distinguere veramente “il grano dal loglio”, che riuscirà a separare chi, nella vita di tutti i giorni, intende fare le cose sul serio per cambiare fattivamente le cose da chi è solamente impegnato a distruggere, al fine di appiattire ogni questione su un livello di ipocrita mediocrità. Perché è di questo che siamo veramente stanchi: della mediocrità generalizzata di una società italiana ‘maschilista’, malata, totalmente ‘sfalsata’ nei suoi reali valori di fondo.




(recensione tratta dal sito www.periodicoitalianomagazine.it)
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Carlo Cadorna - Frascati - Mail Web Site - mercoledi 12 settembre 2012 12.55
Mi sembra troppo pessimista sulla società italiana: ieri una donna, Antonella Dallari, è stata eletta Presidente della Federazione Sport Equestri al termine di una vera e propria guerra piena di colpi bassi. Ebbene, ha trionfato una donna intelligente e capace! (www.lastriglia.com)


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