Vittorio LussanaQuella del ‘Cristo - uomo’ è una vecchia polemica intellettuale di discendenza illuminista. Nelle epoche più antiche veniva infatti dato per scontato che i Vangeli fornissero notizie assolutamente attendibili e solo alla fine del 1700 venne sollevata la questione se il Gesù realmente esistito e il Cristo predicato dalla Chiesa cattolica fossero, in realtà, la stessa persona. Il primo problema che si pose fu quello di una distinzione tra le finalità di Gesù e quelle dei suoi discepoli: in sintesi, Gesù era un ‘Messia politico’, un liberatore degli ebrei dal dominio dell’Impero romano il quale, messo a morte, non riuscì a raggiungere il proprio scopo. I suoi discepoli, allora, ne trafugarono la salma, inventarono l’annuncio della sua resurrezione e fondarono una nuova religione. Secondo questa tesi, sarebbero dunque i discepoli gli inventori della figura del Cristo. Ma se il vero Gesù fosse diverso dal Cristo rappresentato nei Vangeli, chi era, allora, in realtà? A questa domanda cercò di rispondere l’indagine storiografica post-illuminista, facendo venire alla luce numerosi ritratti del figliuolo del falegname di Nazareth. Il difetto di tali raffigurazioni risiedeva, però, nel pregiudizio che li animava: i razionalisti lo descrissero, infatti, come un moralista, gli idealisti come la quintessenza dell’umanità, gli esteti come un artista geniale della parola, i socialisti come un amico dei poveri e un riformatore sociale. Gesù si ritrovò, insomma, continuamente modernizzato ed ogni epoca, ogni ideologia, ogni autore finì col riproporre, mediante la sua personalità, il proprio ideale filosofico e culturale.
Insomma, tutti questi Gesù non venivano dedotti solo dalle fonti, ma erano prevalentemente il frutto di costruzioni psicologiche. La teologia cattolica, peraltro, ha sempre distinto tra Gesù e Cristo, da una parte, e tra storico historisch e storico geschichtlich dall’altra. In sostanza, con Gesù si intende l’uomo di Nazareth come l’indagine sulla sua vita lo ha sempre descritto e si designa, invece, con il Cristo, il salvatore predicato dalla Chiesa. Col termine historisch, vengono invece indicati i puri e semplici fatti storici del passato, mentre con il termine geschichtlich si categorizza tutto ciò che racchiude un significato durevole ed universale. Va da sé che la teologia cattolica ha contrapposto in chiave antagonista il Cristo ‘biblico’ al cosiddetto ‘Gesù storico’, arrivando a concludere che solo il primo è ammissibile, poiché possiede un significato di fede. In pratica, noi non dobbiamo chiederci nulla della vita e della personalità di Gesù, poiché le fonti cristiane non si sono mai interessate al riguardo, se non in modo frammentario. Lo scopo esclusivo dei Vangeli è, in effetti, la catechesi: agli evangelisti non è mai interessata la ricostruzione della figura storica di Gesù, bensì di annunciarlo come il ‘Figlio di Dio’. E quand’anche le ricostruzioni fossero attendibili, esse non avrebbero nulla da dire al credente, perché quest’ultimo, per mezzo della fede, salta la storia a piè pari. Svariate fonti storiche ed archeologiche hanno dimostrato, tuttavia, che Gesù è sicuramente esistito. E, a questo punto dell’analisi, appare pertanto necessario avventurarsi in una ricerca che sappia essere, ad un tempo, saggia e critica. Innanzitutto, venendo meno ogni connessione tra il Cristo della fede e il Gesù della storia, il cristianesimo diviene un mito astorico e docetista. Se la Chiesa ha sempre avuto così poco interesse per la storia terrena di Gesù, perché ha prodotto i Vangeli con i loro fortissimi richiami storici relativi alla sua epoca? E se anche i Vangeli fossero soltanto un prodotto di fede, perché mai essi richiedono una fortissima fiducia nell’identità tra il ‘Gesù – uomo’ ed il Dio risorto? Tali aspetti possono essere significativi solo comprendendo il contesto storico del giudaismo del primo secolo dopo Cristo, ovvero incoraggiando la ricerca storiografica alla luce delle cosiddette scienze sociali. Ciò può portarci verso svariate direzioni: quella tendente a valorizzare l’ebraicità di Gesù, paradigma molto comune in questo genere di analisi; quella passante per la rivalutazione del Vangelo apocrifo di Tommaso, il quale descrive un Gesù ‘gnostico’ e puramente sapienziale; quella che valuta il differente peso dato dalle varie tradizioni di quei tempi e dallo sfondo sociopolitico, culturale e religioso dell’epoca. Privilegiando la tradizione miracolistica si ha, ad esempio, un ‘Gesù mago’ taumaturgo ed esorcista; privilegiando quella dei ‘detti sapienziali’ a discapito di quelli escatologici, emerge un Gesù sapiente; seguendo il procedimento opposto sorge, ovviamente, un profeta escatologico; porre altresì l’accento sulla sua crocifissione può farne un rivoluzionario prozelota o un pacifista vittima dell’oppressione; evidenziando invece il contesto giudaico, Egli diviene un Rabbi o un fariseo illuminato; infine, la storiografia collegata al contesto ‘ellenistico’ può giungere a dipingerlo come un filosofo cinico e fatalista. In ogni caso, ricollocando il ministero di Gesù nell’ambiente giudaico del I secolo, diviene possibile dimostrare proprio la fondatezza dei resoconti evangelici proiettati sullo sfondo delle fonti dell’epoca. E la figura di Gesù può corrispondere a quella dei ‘rabbi carismatici’, in particolare Honi e Hanina ben Dosa, anche se, in questo caso, appare impossibile non affermare la incomparabile superiorità di Gesù. Ma, in conclusione, chi era veramente questo ragazzo di Nazareth? Il dubbio ed il mistero rimangono gli elementi basilari della vera cultura e della conoscenza più profonda.


Articolo tratto dal mensile di informazione e cultura 'Diario 21'
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