Maddalena, Elena e Silvia JannacconeSul valore e la lealtà delle nostre Forze dell’ordine e di tutti coloro che le compongono è doveroso un atteggiamento di rispetto, perché quasi sempre si tratta di persone che provengono dai ceti più sfortunati della nostra comunità. Sfortunati per provenienza geografica, perché il più delle volte si tratta di quei figli del nostro Mezzogiorno che non hanno potuto trovare altro tipo di occupazione se non quella di indossare un’uniforme. Ma anche per discendenza sociale, poiché le loro facce non sono quelle di certi ragazzotti borghesi che giocano a fare i rivoluzionari, gli eversivi o gli ‘alternativi’ a tutti i costi. I militari, i poliziotti, i Carabinieri sono i figli dei poveri: intorno a questo punto, alta rimane la riflessione di Pier Paolo Pasolini su proletariato e piccola borghesia italiana. I nostri ragazzi in divisa svolgono, ormai in tutto il mondo, nel bel mezzo del Mediterraneo e ogni giorno sulle nostre strade, un lavoro durissimo, che quasi annulla ogni forma di vita privata o la restringe fortemente, che costringe i loro famigliari a vivere nell’angoscia di dover affrontare, prima o poi, un giorno in cui tutto è andato storto, in cui le circostanze materiali e pratiche decidono, quasi per fatalità, di volgere al peggio. Non sono giovani che aspirano a esercitare un potere, né persone che pensano unicamente ai propri diritti, bensì uomini e donne che pongono avanti a ogni cosa il loro dovere. A nostro avviso, il vero senso dello Stato rimane di diretta interpretazione ‘sociale’: un italiano autentico, coraggioso e altruista, non può partire da se stesso, bensì occuparsi del prossimo, di chi è in difficoltà, di chi soffre o chiede aiuto liberandosi da ogni residuo di mentalità borghese, al fine di cercare un rapporto autentico con le persone, con la gente, con il difficile mondo di oggi. Un appartenente alle Forze armate o a quelle di Polizia, oppure ancora ai nostri splendidi corpi di Marina, Aeronautica, della Guardia di Finanza o dell’Esercito, non è un ‘automa’ addestrato dal potere. Indossare un’uniforme non significa eseguire degli ordini rinunciando a un’elaborazione autonoma dei diversi fatti vissuti quotidianamente, al fine di comprendere che una divisa non annulla la singola personalità di un militare o di un Carabiniere: esser degni dell’uniforme che si indossa significa dare sempre il meglio di sé. Un poliziotto o un militare di tal genere non sarà mai un robot o una persona priva di coscienza. Ed è per questo motivo che, se proprio si volesse tentare, oggi, di ridar nuovamente vita a quella cara ‘vecchia idea’ chiamata rivoluzione, si dovrebbe definitivamente comprendere quanto sia stupido e inutile scontrarsi con le nostre Forze dell’ordine, perché una piazza messa a soqquadro non corrisponde affatto a una sollevazione popolare imminente. Negli atti d’azione, ci sono situazioni da dedicare alla più alta carità umana, ma ci sono anche momenti in cui diviene necessario capire cosa si debba fare e farlo lucidamente, freddamente, con gli occhi aperti. E’ di una società ipocrita non ammettere il difficile ‘crinale’, psicologico e umano, che vivono coloro che dedicano l’intera propria esistenza a proteggere la nostra comunità, allo Stato. Cosa pensano un poliziotto o un nostro soldato? Cosa ricordano della propria infanzia? Cosa provano allorquando soccorrono migliaia di disperati? Quali facce incontrano? E quali vite? Quali esistenze? Quali sofferenze? Quale violenza? Quale disperazione? Quale morte? Sono queste le domande da porsi di fronte a delle persone che non desiderano encomi ufficiali, che non chiedono di essere ‘coccolati’, perché sono persino un po’ stanchi di tanta, tantissima, retorica. Essi vogliono semplicemente far bene il loro mestiere nella comprensione collettiva, sentendosi circondati da quell’affetto che si percepisce senza alcuna necessità di sprecare parole, nella soddisfazione di essere riusciti, giorno dopo giorno, a sentirsi soddisfatti, in coscienza, del proprio operato.


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