Vittorio CraxiPer noi europei, ma ancor più per noi italiani, il vento di libertà che spira dal Maghreb ha il volto di un giovane migrante che sbarca da un’imbarcazione di legno sugli scogli di Lampedusa, a tre mesi dalla rivoluzione tunisina: ma dove sta andando quella giovane democrazia? E dove sta portando veramente questo vento di libertà? Che il percorso democratico del piccolo Stato arabo fosse più facile a dirsi che a farsi era abbastanza prevedibile: la tortuosa transizione ha dovuto mettersi a confronto con la sfida dell’incognita democratica, ma anche con degli ‘imprevisti imprevedibili’ (la guerra civile libica) che hanno complicato maledettamente le cose. La Tunisia, fino alla partenza di Ben Ali, poggiava su fondamentali economici piuttosto robusti: import-export, turismo, piccole e medie imprese occidentali, risorse agricole territoriali. Sebbene la redistribuzione diseguale avesse generato un malcontento che a sua volta si è trasformato in tumulto rivoluzionario, le fondamenta dello Stato tunisino non hanno vacillato, neanche nei giorni più drammatici. Sventato il pericolo di una guerra civile che avrebbe opposto i vari apparati dello Stato, il Governo di salute pubblica guidato da una vecchia conoscenza dei Tunisini, l’ottantenne Caid Essebsi, ha prima dovuto svuotare il dicastero dagli ultimi residui ‘benalisti’ e, successivamente, ricostruire i corpi dello Stato, anch’essi lealisti, per garantire ordine e sicurezza nelle città, governare le difficili settimane rivoluzionarie che invocavano, assieme alle libertà civili, dei congrui aumenti salariali nel comparto pubblico, far ripartire la macchina dell’economia privata e padroneggiare l’effetto ‘domino’ dell’ottatanove magrebino: l’esodo di massa da e verso la Tunisia. Dalla Libia sono rientrati 35 mila lavoratori ai quali il Governo ha dovuto offrire una prima assistenza. Ad essi si sono aggiunti altri migranti di diverse nazionalità, che si sono ammassate alla frontiera sud. Per questa ragione, l’atteggiamento italiano di rifiuto e di diniego dell’accoglienza di 4500 tunisini è sembrato ai governanti di quel piccolo Paese assai curioso e poco in linea con il carattere di solidarietà e mutuo sostegno e di reciprocità che caratterizza il popolo mediterraneo da diversi secoli. La transizione tunisina prevede l’elezione di un Assemblea costituente nel mese di luglio e, dopo tre mesi, quella del nuovo Parlamento. Questo insieme di imprevisti post-rivoluzionari mettono in forse la scadenza di entrambe le consultazioni elettorali. Più in generale, è il nuovo approccio democratico confuso che renderà meno semplice la road map prestabilita. Già uno strappo con la Costituzione vigente è stato compiuto facendo slittare a luglio il primo appuntamento elettorale: d’altronde, i Governi fin qui succedutisi nel dopo Ben Ali sono stati due. E  i rimpasti non si contano più.bNumerose e frastagliate le forze politiche che si sono manifestate ufficialmente: la più insidiosa e più accredita è quella della Rinascita islamica (H’nada) del leader già esiliato Rachid Gannouchi. E’ questa, dopo il partito di Ben Ali ora disciolto per decreto, la formazione più conosciuta della Tunisia: le altre languono o rimangono in un ‘limbo’ di generica affermazione di progresso e libertà. Il Partito comunista tunisino, molto attivo nelle manifestazioni di piazza, conta un sostegno attivo di una parte consistente del sindacato (UGTT) ripresosi dopo anni di sudditanza psicologica e non solo nei confronti del regime. La maggioranza che viene definita silenziosa, il ventre molle che tollerava, non amandolo, il regime, oggi teme di cadere nella brace della tentazione islamista. Il Governo Essebsi capisce e ha interpretato il sentimento popolare con una legge elettorale che prevede l’obbligatorietà della presenza femminile nel 50% dei candidati alla Costituente. Gli islamici hanno incassato e compreso il colpo. L’economia, nel frattempo, non sembra dare segnali di ripresa significativi, anche se la messa in sicurezza di buona parte del Paese ha impedito un lento esodo degli occidentali presenti sul territorio. La stagione turistica si presenta grama ed è per questo che le associazioni di categoria incominciano a scendere nel terreno inesplorato della politica. Sabato scorso, ad Hammamet, sono stati fortemente contestati gli islamici fra urla e grandi bevute di birra. E, dietro l’angolo, inizia a serpeggiare il mai sopito adagio del “si stava meglio quando si stava peggio..”. I Tunisini vogliono una democrazia, non vogliono né teocrazie, né qualsiasi Raìs paternalista, hanno archiviato per sempre l’idea della tutela interna ed esterna (Francia), tuttavia, com’era prevedibile, fanno i conti con una difficile realtà: si sono risvegliati da un sogno - o da un incubo - e ricominciano piano piano a respirare.





 Responsabile della Politica estera del Partito socialista italiano
(articolo tratto dal quotidiano 'il Riformista' del 21 aprile 2011)
Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio