Vittorio LussanaFare il nome di Gesù di Nazareth per associarlo a una Chiesa che a Lui si richiama come proprio fondatore è impresa irta di difficoltà. Se anche le Chiese odierne fanno di tutto per presentarsi come Chiese di Gesù, esse sono, in realtà, solamente Chiese di Cristo. Tale distinzione non è di poco conto, poiché Gesù stesso, con molta probabilità, non ebbe alcuna intenzione di fondare una Chiesa, almeno non nel senso clericale e burocratico della cosa. La continuità storica tra Gesù di Nazareth e Chiesa cattolica non è dimostrabile mediante prove documentali di fondazione, quanto piuttosto con la realizzazione autonoma di una prima comunità di seguaci. Ma proprio questo ‘autonomismo’ dei primissimi fedeli spiega invariabilmente l’esigenza storica di una strutturazione gerarchica tesa a organizzare quelle stesse comunità, al fine di evitare confusioni di carattere teologico: fu infatti quello il momento in cui divenne necessaria una Chiesa che si reggesse sull’obbedienza e su una determinazione ‘eteronoma’, basata su istanze di rassicurazione, poiché i primi cristiani necessitavano di garanzie precise, di qualcuno che fosse in grado di amministrare ‘inferno’ e ‘paradiso’. Ma di fronte a simili ‘emergenze oggettive’, il vero Gesù di Nazareth ha sempre avuto assai poco a che spartire. La sua stessa vita probabilmente è stata riscritta, reinventata o, quanto meno, riadattata, al fine di generare la figura ‘ideologica’ del Cristo ‘figlio di Dio’. Per capire chi realmente sia stato Gesù di Nazareth è quindi più semplice iniziare a dire chi non è stato: gli scritti scoperti nel 1947 risalenti alla setta degli Esseni - i famosi rotoli di Qumran, un villaggio che si affaccia sul Mar Morto – forniscono notizie assai ridotte, mentre i principali storici del I secolo d. C. tacciono completamente su di lui. Lo stesso Filone di Alessandria, un critico assai acceso delle assurde condanne a morte comminate dal governatore della Palestina, Ponzio Pilato, non ricorda affatto quella di un certo Gesù di Nazareth. Oltre a ciò, non tutti i Gesù che vengono citati nelle fonti storiografiche fanno riferimento alla stessa persona, poiché in quel tempo il nome ‘Jeoshua’ era assai diffuso in tutto il Medio Oriente. In ogni caso, il Gesù a cui siamo abituati a pensare non era un cristiano, bensì un ebreo. Tant’è che la sua primitiva comunità di discepoli viene definita, dalla ricerca storiografica più recente, come quella dei ‘giudeocristiani’. Ma iniziamo a sottolineare alcuni primi fatti, che spesso vengono dati per scontati: a) Gesù diffuse la propria dottrina solamente tra gli Ebrei; b) Egli appare fortemente influenzato dall’apocalittica giudaica del suo tempo; c) Egli credette ciecamente nel fatto che il regno di Dio stesse per giungere sulla Terra di lì a poco. Questi primi tre elementi bastano a formare la prova che Gesù fosse semplicemente un ragazzo ebreo alquanto ‘recalcitrante’, il quale aveva predicato un’imminente fine del mondo illudendosi, in cuor suo, di quell’annuncio. Egli non predicò affatto in favore di una verità assoluta, bensì sulla base di una predizione intorno alla quale si era ‘sbagliato’. Se l’avvento del regno di Dio fosse avvenuto realmente non ci sarebbe stato alcun bisogno di una Chiesa, la quale è invece sorta proprio in seguito a questa ‘illusione errata’, che ha finito con l’impossessarsi di Gesù stesso al fine di mettere in scena un ‘raggiro’ delle massime dimensioni. Entrò così in scena, sul ‘quadrante’ della Storia, non già il regno di Gesù, bensì la Chiesa di Cristo. Ma tra questi due concetti si interpongono veri e propri abissi, superabili solo tramite appositi ‘costruttori di ponti’, definizione che non è nient’altro che la traduzione letterale dell’espressione tardo–latina ‘Pontifex Maximus’. In sintesi, si dovette ricostruire la figura di Gesù per trasformarlo nel Cristo, facendo altresì in modo che questa nuova immagine combaciasse con tutto ciò che in seguito venne definita “la sua Chiesa”. Pertanto, il Cristo che ci viene propinato non è un essere vivo, bensì l’effige artefatta di una fede interessata solamente a proclamare determinate enunciazioni. Altrettanto fuori dalla Storia sono tutti quei dati che, generalmente, vengono collegati alla sua vita terrena: 1) il giorno, il mese, l’anno e il luogo di nascita che ci sono stati tramandati sono storicamente falsi: Gesù non è nato a Betlemme la notte del 25 dicembre dell’anno zero, poiché la notizia del censimento imperiale deciso da Ottaviano Augusto impiegò quasi cinque anni per giungere in Palestina. Inoltre, la data del 25 dicembre possiede una lunga preistoria pagana, essendo già stata introdotta dall’Impero romano nel III secolo a. C. come giorno di festa in onore di Mitra, il Dio del sole; 2) non può apparire un puro caso il fatto che Mitra fosse nato da una donna vergine in una stalla proprio la notte tra il 24 e il 25 dicembre, che i pastori ‘stanziali’ gli abbiano reso omaggio, che abbia promesso la pace a tutto mondo e che sia finito con l’essere crocifisso per poi risorgere clamorosamente salendo in cielo, tanto per citare solo alcune delle analogie tra la sua leggenda e quella di Cristo; 3) Gesù non era il figlio di una vergine: nacque dall’unione di una donna di nome Maria con un uomo di nome Giuseppe. Gesù stesso non disse mai nulla di diverso. Il nascente culto ecclesiastico dovette escogitare una nuova leggenda, poiché Maria non poteva esser presentata come la semplice vedova di un falegname ebreo; 4) la nota ‘strage degli innocenti’ ordinata da Re Erode è completamente estranea alla Storia. Al contrario, Erode fu un sovrano illuminato, saggio e prudente; 5) la fuga della ‘sacra famiglia’ in Egitto è soltanto una leggenda tesa a supportare la vicenda della strage di bambini di cui sopra; 6) non sta scritto da nessuna parte che Gesù non si sia mai sposato: il fatto che venga descritto come una sorta di ‘vergine maschio’ è teso a evitare ogni sua associazione con la sessualità in una Chiesa governata da celibi; 7) i racconti miracolistici tramandati rappresentano delle evidenti trasfigurazioni eroiche; 8) non esiste alcuna dottrina specifica che trovi origine peculiarmente in Gesù: non vi è nessuna delle cose che Egli ha dichiarato che non fosse già stata presentata dalla letteratura ebraica a Lui precedente; 9) Gesù non ha mai avuto una ‘cerchia fissa’ di amici: l’idea dei dodici apostoli, a prescindere dall’evidente simbolismo ‘cabalistico’ da cui discende con piena evidenza, è una costruzione successiva; 10) il comandamento di amare i propri nemici, presentato come la più nobile istanza del cattolicesimo, era già riscontrabile, in forme assai più rigorose, in Platone; 11) Gesù non avanzò mai nessuna pretesa di essere ‘il Messia’ e non accettò mai i diversi titoli che la tradizione gli avrebbe pure offerto. Non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello di farsi chiamare il Cristo: di tutti gli ossequi ‘mistico–messianici’ di cui si parla nei Vangeli non vi è una sola parola che sia vera; 12) la cosiddetta ‘passione’ non si è affatto verificata nei modi narrati nel Vangelo, poiché quel sacrificio dovette esaudire le antiche predizioni veterotestamentarie, dunque ogni dettaglio venne risistemato in maniera corrispondente. Durante la stesura stessa dei Vangeli, Luca, Marco, Matteo e Giovanni non poterono far affidamento su alcun elemento biografico, mentre Paolo ha sempre cercato di eludere il più possibile l’argomento. Testimoni oculari o auricolari non ve ne sono mai stati; 13) contrariamente alla generale opinione relativa a un certo Giuda Iscariota che avrebbe tradito Gesù, la versione tramandata è tendenziosa: il fatto è totalmente privo di ogni fondamento storico; 14) un processo a Gesù non venne mai celebrato: Egli fu semplicemente condannato da Ponzio Pilato come tante altre centinaia di migliaia di prigionieri politici; 15) quel funzionario imperiale, tra l’altro, non era affatto la persona ‘coscienziosa’ descritta nel Vangelo, bensì un magistrato inetto e ottuso, dotato di una non comune crudeltà. Pochi anni dopo la morte di Gesù venne addirittura rimosso dalla sua carica a causa di una cruentissima sommossa ebraica; 16) nessun ‘giudizio speciale’ innanzi al Sinedrio ebraico è stato mai celebrato: fu direttamente Ponzio Pilato a decretare la condanna capitale di Gesù, che poi venne eseguita dai suoi legionari siriani; 17) incerta è anche la data esatta della morte di Gesù: al momento, quella più verosimile sembra essere il 7 aprile dell’anno 30. Ciò significa che Gesù avrebbe dovuto compiere 35-37 anni di età e non 33, come trasmessoci per interi millenni; 18) il luogo prescelto per la sua crocefissione non è documentabile e là dove oggi s’innalza la chiesa del Santo Sepolcro appare assai improbabile sia stato deposto il suo corpo; 19) la croce su cui è morto non è mai stata rinvenuta: le varie ‘schegge’ o frammenti sparpagliati per il mondo sono solo contraffazioni; 20) l’affermazione secondo cui Egli avrebbe desiderato spontaneamente di morire è assurda: il desiderio di morte è assolutamente estraneo alla mentalità e alla cultura ebraica. Fu invece l’apostolo Paolo l’uomo pervaso da un acuto interesse alla reinterpretazione di Gesù di Nazareth, al fine di farlo assurgere al ruolo di Cristo del mondo: è a lui che spetta la ‘palma’ della vittoria, è lui il vero fondatore del cattolicesimo. Il primo cristiano della Storia non fu, infatti, Gesù di Nazareth, bensì Paolo di Damasco, così chiamato dal luogo in cui avvenne la sua improvvisa, quanto ‘esilarante’, conversione. Per molti versi, egli insegnò cose assai distinte rispetto al Gesù dei Vangeli. Pur non avendolo mai conosciuto personalmente, dimostrò un grandissimo ‘intuito’ per l’avvenire del cattolicesimo, riuscendo a imporre una dottrina composta da dogmatismi insuperabili: l’ordine di battezzare i neonati e l’obbligo missionario sono formulazioni pienamente di stampo ‘paolino’, al fine di autolegittimarsi in quanto “apostolo delle genti”. Fu lui a introdurre la dottrina del peccato originale, nonché quella della redenzione. In realtà, Paolo fu solamente un solitario particolarmente misogino, ostile al corporeo, il cui profondo odio non era rivolto solo contro le donne (non si sposò mai), ma anche contro coloro che non poteva frequentare in comunità: i veri apostoli primigeni. Fu su quest’odio dell’escluso che egli edificò la propria religione e la sua personale comunità: la Chiesa. Secondo il teologo Albert Schweitzer “egli comunicò solamente proprie vicissitudini personali come meritevoli di essere vissute dagli altri”, mentre secondo lo scrittore Joseph Klausner “Paolo fu uno di quei ‘tiranni spirituali’ per i quali la propria persona e la propria opera si identificano pienamente e che, in nome di questa, si permettono di fare tutto ciò che il proprio egoismo ispira loro”. Gesù, in sostanza, fu incomprensibile soprattutto per Paolo. Ai suoi occhi, l’ebraismo del figliolo del falegname di Nazareth altro non era che una circostanza accidentale. In luogo di ciò, l’apostolo iniziò a generare un Gesù in forte contrasto con l’ebraismo, in particolar modo con i Farisei. A quel punto, i testimoni autentici potevano diventare scomodi. E, infatti, egli si dedicò fortemente a screditarli, concedendo loro un’influenza pressocché irrilevante nel comporre l’immagine del ‘suo’ Cristo. Gesù non doveva più essere giudicato in base a ciò che realmente aveva detto o fatto. E quanto Paolo stesso riferisce di Lui son ben poche cose: “Gesù fu un ebreo leale” (Lettera ai Galati); “nacque non da una vergine, bensì da una donna” (ibidem); “ebbe vari fratelli e sorelle” (Lettera ai Romani). La storia della ‘passione’, di centrale importanza nei Vangeli, in Paolo passa quasi sotto silenzio. Gli apostoli ‘primigeni’ di Gerusalemme lo giudicarono un arrivista che, nonostante non avesse mai conosciuto Gesù, dava a intendere di sapere tutto su di lui. I giudeocristiani contestarono a Paolo il suo apostolato tra i pagani, accusandolo di narrare soprattutto cose che facevano piacere alla gente, di essere un ipocrita e un millantatore, di predicare non tanto Gesù, quanto Paolo medesimo. Alla fine, lo dichiararono pazzo e decisero di invadere le sue comunità per espropriarlo e renderlo innocuo: fu in quel momento che la lotta per il ‘giusto magistero’ si trasformò in una guerra per il potere e per il prestigio. Paolo non solo respinse quegli attacchi, ma replicò con durezza su tutti i fronti. La sua inimicizia verso i giudeocristiani divenne implacabile e perdurò fino alla sua morte. Solo chi pensa e riflette in una maniera tutt’altro che storica può dar credito alla ‘pia favola’ di Pietro e Paolo in quanto coppia di ‘prìncipi’ di tutti gli apostoli. E la stessa ricorrenza che si celebra in Vaticano ogni 29 giugno non è altro che una festa di riconciliazione ‘postuma’. Fin dai primordi, intorno al cattolicesimo non vi è mai stata alcuna ortodossia, ma solo aspri diverbi intorno a essa. Ma fu il ‘paolinismo’ a vincere la battaglia  finale, spalancando il cattolicesimo al mondo intero dopo aver sconfitto i ‘gesuani’. Paolo fu il freddo organizzatore che comprese un elemento essenziale della buona politica: la predisposizione alla lunga durata. Impostata in un determinato modo, infatti, la Chiesa poteva: a) fare a meno della predizione sulla fine del mondo; b) porsi in maniera riguardosa nei confronti dell’inflessibile apparato amministrativo dei Romani; c) eliminare l’aspetto originariamente politico insito nel messaggio di Gesù; d) impostare una dottrina in grado di adattarsi a qualsiasi potere costituito; e) legare a sé tutte le comunità cristiane con quanto vi era di più terreno: il danaro. Insomma, Paolo promosse in modo determinante quell’evoluzione teologica che riuscì a trasformare Gesù di Nazareth nel Cristo redentore dei bisognosi. Fu lui a innescare il ‘grande mutamento’ per mezzo dell’imminente attesa della vita eterna, consolidando in maniera determinante la nuova dottrina. Laddove la comunità primitiva credeva ancora alla realizzazione sulla Terra del regno di Dio mediante il ritorno di Gesù, egli insegnò esattamente il contrario: quel regno era già iniziato col sacrificio del Cristo e la sua resurrezione. Nessun Gesù dovrà mai far ritorno sulla Terra: saranno i cattolici fedeli a salire da lui dopo la morte, sempreché non abbiano scontentato Dio senza pentirsene. Negli scritti di Paolo, il nome di Gesù si ritrova solamente 15 volte in tutto, mentre la definizione di Cristo affiora ben 378 volte. Egli si ritagliò il cattolicesimo in quanto religione a propria immagine e somiglianza, mutuando dal coevo mondo spirituale tutto quel che poteva essere adattato al proprio progetto: 1) raffigurò la beatitudine dei cristiani con espressioni di pura matrice greco-ellenistica; 2) i suoi scritti traboccano di ritualismi sottratti al paganesimo; 3) i suoi contenuti coincidono in modo sorprendente con le concezioni delle contemporanee religioni misteriche o delle filosofie greche. Giunti a questo punto, Gesù non ha altre funzioni se non quella di un ‘attaccapanni’, al quale si può appendere l’abito dogmatico di volta in volta più conveniente. In base a ciò, è da ritenere che il Gesù che ci è stato tramandato sia tremendamente lontano dalla sua autentica mentalità e personalità. Egli non ha mai visto se stesso come redentore del mondo, non ha mai pensato di ‘spacciarsi’ come “figlio di Dio”, non ha mai avuto l’intenzione di fondare una ‘setta’ religiosa. Per un ebreo come lui, la salvezza non poteva assolutamente arrivare da Roma. Ma chi afferma tutte queste cose, ancora oggi rischia di cadere in disgrazia agli occhi della Chiesa, perché essa, in realtà, è fondata su Paolo, non su Gesù di Nazareth.



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Vittorio Lussana - Roma - Mail - martedi 19 aprile 2011 20.7
Gentilissimo signor Cifrodelli, la ringrazio moltissimo, innanzitutto, per il suo commento, espresso con toni e modi assai corretti (in genere, quando scrivo questo tipo di articoli ricevo reazioni notevolmente più accidiose e piccate, come se andassi a toccare dei 'nervi scoperti' che ritengo esistano...). In ogni caso, lei è naturalmente libero di credere in quel che ritiene più opportuno, poiché non è mio obiettivo convincere nessuno. Tuttavia, l'unica cosa su cui si sbaglia è intorno al suo giudizio di "sommarietà storica" che, come risulta dall'approfondimento stesso che ho proposto, è invece assai ben documentato (tutte le citazioni sono state puntualmente verificate). Questa è un'accusa che proprio non mi può muovere. Evidentemente, anche se in forme civili ed educate, qualche 'nervo scoperto' deve averlo anche lei. Come tutti, ovviamente...
Cordiali saluti e buona Pasqua.
VL
Rodolfo Cifrodelli - Catania/Italia - Mail - martedi 19 aprile 2011 16.38
Gentile sig. Lussana,
il Suo articolo dà una versione diversa della vita di Gesù, che le confermo non essere il primo (esistono addirittura i vangeli apocrifi), e pertanto libero di scrivere quello che vuole dal Suo punto di vista. Quello che mi sembra assurdo, e forse eretico, che la Chiesa si fonda sulla vita di San Paolo e non di Gesù. Ben venga una nuova teologia paolina o addirittura una chiesa paolina, ma le Sue conclusioni non mi sembrano suffragate da una teologia forte, ma soltanto da Sue sommarie interpretazioni storiche. Pertanto io continuo a credere alla Chiesa di Gesù Cristo (l'ebreo).


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