Paolo CentoIo sono convinto che in Italia vi sia un uso eccessivo della sanzione penale per regolamentare forme di conflitto sociale. La prima grande riforma da attuare è perciò quella di ‘ripulire’ il codice penale da tutte quelle norme che sono state aggiunte soprattutto negli ultimi anni, e che hanno comminato, sulla carta, la reclusione come unica soluzione. Il secondo elemento è quello del carcere preventivo: in Italia, si va in prigione prima di una condanna e, paradossalmente, è più difficile finirci dopo la sentenza. Tra i 66-68 mila detenuti nelle carceri italiane, circa il 40% sono in attesa di giudizio. Inoltre, bisognerebbe utilizzare in maniera più efficace anche le misure alternative: il dibattito è infatti condizionato da ciò che serve a Berlusconi, ma se non vi fosse questo ‘inquinamento strumentale’, anche l’idea della prescrizione breve per incensurati e per coloro che, almeno una volta nella vita, si trovano ad avere a che fare con la giustizia penale, avrebbe una sua logica. Il tema delle tossicodipendenze, tanto per fare un esempio, non può essere affrontato con il sistema penale. Per quanto riguarda, invece, l’immigrazione clandestina, se fosse applicata realmente la norma avremmo le carceri piene di immigrati, assai più di quanti ce ne siano attualmente. All’estero la sanzione penale è certa anche se breve, quasi mai vendicativa. Recentemente, è venuto a mancare Carlo Saturno, 22 anni, detenuto nel penitenziario di Bari. Sembrerebbe vi sia stata un’istigazione al suicidio del ragazzo, che sarebbe dovuto essere testimone d’accusa a Lecce contro nove guardie carcerarie: si potrà mai avere chiarezza in merito a queste morti all’interno delle carceri, ricordando anche il caso di Stefano Cucchi? Io mi auguro di sì. E’ un allarme sottostimato: voglio ricordare che spesso si usa, nelle carceri, quando vi è anche il suicidio, l’adduzione “arresto cardiaco”, ma questo non rientra nella casistica dei dati che ci vengono forniti. Sul numero dei suicidi, la realtà è ben più pesante. La cosa più grave è che in carcere si muore anche per un’azione violenta da parte di chi, invece, ha il compito di ‘sistemare’ la tua vita in una condizione di detenzione. E’ un sistema fortemente repressivo: la violazione della dignità comincia già da quanto si sta in cella con 8-10 persone. E’ una situazione che danneggia anche la polizia penitenziaria, ma questo non è un alibi, quando in alcune strutture vi è un abuso delle norme vigenti. Non bisogna accettare la logica che, per un suicidio in carcere, basti una notizia breve nella cronaca locale del giornale. Noi dobbiamo essere grati a chi, da dentro le galere, ci fa arrivare le ‘voci’ e, spesso, sono anche operatori di polizia penitenziaria, i loro sindacati, le associazioni dei detenuti e i loro stessi familiari. Ci vuole una battaglia d’informazione e di trasparenza. E anche il parlamento dovrebbe avere occhi più attenti: sono pochi i deputati che se ne occupano, mentre altri usano il tema del carcere solo per fare demagogia. Il piano-carceri appena varato dal Governo, al momento sono solo chiacchiere: in Italia c’è bisogno di carceri nuove, più funzionali, moderne, dignitose per chi ci lavora e per chi è detenuto. Costruire più penitenziari con l’idea del bisogno di aumentare la popolazione carceraria è una ‘scorciatoia’ che non risolve i problemi, bensì li amplifica. Mi sembra che il Governo lanci un annuncio con pochi fatti: sono pochi i soldi destinati al sistema penitenziario nel nostro Paese. Bisogna applicare l’articolo 27 della Costituzione, che denuncia come il detenuto vada “recuperato”. Bisogna provvedere a sfoltire le nostre carceri per quelle persone che non hanno alcuna pericolosità sociale, ma sono spesso quelli che pagano il prezzo più alto. A partire dalla fine del 2010, la Commissione di’inchiesta del Senato sul servizio sanitario nazionale ha contato, all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari, ben 376 “dimissibili”, ma ne sono stati rilasciati, effettivamente, solo 65, mentre per altri 155 è stata disposta una proroga della pena. Ci sono le prospettive per far sì che i “dimissibili” siano realmente congedati o che, perlomeno, non debbano vivere nelle condizioni in cui si trovano gli O.P.G.? Gli O.P.G. sono infatti dei veri e propri ‘lager’ che vanno chiusi, sono al di fuori della legge, che viene applicata, in modo ambiguo, una norma che prevede un trattamento speciale per quei detenuti considerati incapaci di intendere e di volere, “pericolosi” dal punto di vista psichiatrico, anche se la regola non prevede il mantenimento dei manicomi. Dobbiamo ragionare su come consentire al sistema nazionale sanitario e a quello penitenziario, laddove vi siano dei residui di pena da scontare, non sospesi per le condizioni psichiatriche, di far sì che le persone che hanno bisogno di un recupero da un punto di vista mentale abbiano un vero e proprio sostegno, anche attraverso forme di sussidiarietà privata.




(intervento tratto dalla trasmissione radiofonica 'Generazione Zero', in onda su Radio Power Station 100.5 in FM stereo)
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