Roberto BianchiSe il professor Umberto Eco, invece di farsi tentare dalla ribalta effimera di liturgie in verità piuttosto consunte – come la manifestazione di Libertà e Giustizia a Milano in cui, riconosciamolo, si è lasciato andare a una serie di considerazioni scontate, arbitrarie e imprecise – si applicasse da par suo e con i suoi strumenti, originerebbe un saggio da far scomparire la ben nota “Fenomenologia di Mike Bongiorno” del “Diario Minimo” di ormai quasi mezzo secolo fa. Nessuno come lui, credo, saprebbe approntare un’analisi più precisa e puntuale della necessaria, visto la sua copiosità, selezione delle performance del nostro ineffabile presidente del Consiglio, on. Silvio Berlusconi. E servirebbe per capire definitivamente che il proprio consenso il signor Berlusconi non l’ha costruito su attività più o meno criminali, ma, ahimè, sul fatto di essere il più italiano di tutti, fra gli italiani che costituiscono la maggioranza del nostro sciagurato Paese. L’ultima, in ordine di tempo: il racconto della barzelletta sul lato ‘b’ della mela, che il premier ha deciso di regalare a un parterre di sindaci, apre uno squarcio assolutamente illuminante sui recessi mentali del ‘nostro’, non tralasciando di illuminarci pure sulla ‘natura’ dei sindaci stessi, indiscutibilmente un campione socio-democrafico interessante per buttar lì un ritratto di quella penosa baldracca centocinquantenne che si aggira per il mondo con belletto e gioielli in sovrappiù per fingere di essere ancora fertile e convincere di non essere, invece, ormai vicina al decesso. Solo per chiarezza, premetto che non sono uno di quegli antiberlusconiani - giustizialisti - a - prescindere, figure tristi e inutili per il rinnovamento  del nostro Paese (e invero, la genesi della loro inutilità risiede proprio nel fatto che sono coordinate e rappresentate da personaggi che all’italico degrado hanno dato un rilevante contributo, sia pure muniti di birignao e puzza sotto il naso, essendoci sempre, nei tavoli che contano, ma facendo finta di essere sdegnosamente altrove oppure di esserci capitati casualmente e controvoglia). Non sono nemmeno un moralista  di quelli che hanno un paio di occhiali per giudicare gli altri e uno per giustificare se stessi. Tuttavia, mi ha sconcertato la performance di Silvio Berlusconi, poiché suggerisce l’idea di un uomo dall’ego smisurato, inversamente proporzionale all’altezza, convinto di potersi permettere tutto e in qualsiasi situazione, animato dalla certezza che qualsiasi cosa affermi sia divertente e interessante solo per il fatto che è lui ad affermarla. Esplicita una inestirpabile coazione a sedurre, regalandoci così l’immagine di un tycoon da commedia all’italiana anni ’60 (quelli che facevano da comprimari a Sordi, per intenderci, vedi l’industriale ‘vero’ de “Il vedovo”) e anzi, sembra che come un ‘magliaro’ fuori tempo, solo a quell’aspetto della sua personalità affidi l’esito di qualsiasi trattativa o polemica. Per questo abbiamo goduto delle battute su partnership internazionali scaturite da un suo corteggiamento a un primo ministro ‘femmina’ o  di quelle sulla scarsa avvenenza fisica di suoi avversari  politici (sempre femmine). Questo è uno degli aspetti del poliedrico uomo dispensatore di pacche sulle spalle, di giuramenti sulla testa dei propri figli, di precisazioni. Ossessionato dal sesso inteso come oscurità e peccato, secondo la morale cattolica di cui è superficialmente (ma solo quanto basta) propalatore, riconduce a esso, mediante doppi sensi o grassa comicità, gran parte del suo agito. Al presidente piace la ‘fica’ che “non ha mai pagato in vita sua” (e ci mancherebbe: che italico conquistatore sarebbe se avesse messo mano al portafoglio?) ci tiene a farlo capire, perché questo, nella sua  Weltanschauung, è l’elemento comune a ogni maschio (cioè l’essere umano per eccellenza, del quale le donne, al più, possono costituire divertente contorno) e per questa ragione è un detonatore che  può abbattere le barriere così friabili dell’ideologia, della condizione sociale ed economica. Anche per questo gli appartiene l’evidente omofobia: che possibilità di comunicazione ci può essere con degli scherzi di natura che non condividono il principale statuto di un maschio comme il faut? Al presidente piace piacere. E tenta di raggiungere questo obiettivo con tutti gli strumenti che ha e che non sono pochi. Il denaro che può usare con munificità sorprendente è certamente un ottimo veicolo per attorniarsi di platee ben disposte a ridere delle sue battute, apprezzare i suoi ragionamenti, assentire alle sue analisi. Può inventare location straordinarie e pacchiane che lascino a bocca aperta gli astanti (il vulcano vero in giardino, la discoteca in cantina) così che solo a lui tocchi il ruolo di riempire i silenzi (le bocche aperte, notoriamente, non emettono suoni, allo stesso modo in cui le teste vuote non disturbano con opinioni…). Ma non c’entra solo il denaro: i ‘tacchi sociali’ di cui s’è dotato lo rialzano a sufficienza dal terreno per poter arringare i convenuti precipitandolo nella condizione triste di risiedere per sempre in un fantasmagorico Hyde Park corner. Come ogni parvenu, crede che gli obiettivi raggiunti gli consentano di poter pontificare su tutto. E come ogni ‘self made man’ intimidisce i presenti con le proprie credenziali: chi mai potrebbe avere il coraggio di dissentire da uno arrivato dov’è arrivato? Persino essergli vicino può diventare un elemento di prestigio. Il nostro eroe può persino permettersi di stravolgere le regole della sua corporazione in fatto di abbigliamento: la bandana di qualche anno fa, ma anche la maglietta sotto l’abito strutturato di Caraceni, che lo fanno sembrare, nelle sue uscite pubbliche, un attempato body guard protetto da giovani e incravattati uomini politici.  Può permettersi un lessico, in tempi non troppo lontani, assolutamente fuori luogo (“chi  non vota per me è un coglione”). Può inventare una favola che, giorno dopo giorno, si struttura come una realtà (la permanenza dei comunisti in Italia, terzo Paese dopo Cina e Cuba nel quale si continuerebbe a incrociarne nelle istituzioni e per strada). Può concretizzare una visione delle relazioni amicali di tipo pre-moderno (il mausoleo  privato dove tutti i suoi, da Confalonieri a Fede, un giorno albergheranno definitivamente abbracciati al capo). Può tutto, il cavaliere: il suo passato luccicante parla per lui e ne fa uno smargiasso che cammina come uno sprezzante  cow boy  anche sul viale del tramonto. Ma ritorniamo  alla barzelletta. Come ne ha snodato il racconto ci dà l’idea di uno zio di quelli un po’ pesanti e ripetitivi, che ascolti sperando che alla fine della visita ti elargiscano un cinquanta euro per andare in discoteca: annaspava per allungarne i tempi, non rendendosi conto, perché la lucidità comincia a cedere terreno, che i tempi erano già troppo lunghi anche senza estenderli all’infinito, sottolineando le condizioni metereologiche in cui si svolge l’azione. Dove l’ha ambientato il racconto, ci pare vagamente razzista. A questo punto, non è da escludere che a qualche vertice con i Paesi africani sulla guerra estragga dal suo cilindro bolso una qualche battuta fulminante sulle straordinarie misure di cui i neri sarebbero dotati: suggerirei un gioco di parole amabile sui “bunga bunga con prolunga”. Così come, prima o poi, in qualche luogo della memoria dolorosa, siamo certi, non mancherà di appuntare come il naso degli ebrei resti comunque, solidarietà a parte, eccessivamente adunco e loro, in fondo, smodatamente rapaci. Ha rovinato il finale, il cavaliere, sbagliandolo, forse, per un tardivo imbarazzo (coglie a volte anche il più incallito barzellettiere la percezione di averla fatta ‘fuori dal vaso’…) più probabilmente perché ormai incapace di ricordare il passaggio tortuoso che rende la battuta fulminante quando cerca (e trova) un contributo di immaginazione nell’ascoltatore : egli è stato vittima della volontà semplificatoria che lo anima, anche quando tratta di riforme istituzionali, di immigrazione fuori controllo, di temi economici. E’ noto, infatti, che la mela della barzelletta, non sa “di culo”, bensì “di merda” (una sineddoche dove è la parte, cioè la ‘merda’, che rimanda al tutto, cioè al ‘culo’). Ma il pubblico presente,  non numeroso ed eterogeneo, ha apprezzato lo sforzo egualmente: vuoi mettere un conducator che è riuscito nella non facile impresa di trasformare le liturgie del “teatrino della politica” in una divertente e amabile politica da teatrino?


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