Maria Grazia d'ErricoOggi, la parola d'ordine delle èlite è “dimenticare il Mezzogiorno”. E’ la stagione peggiore del Sud dal dopoguerra: la stagione del declino senza speranza, dell’oblio senza remore da parte della politica e dei media, del clamoroso fallimento delle strategie di sviluppo delle Regioni meridionali, della fuga in massa dei giovani dall'inferno. Nonostante vecchi annunci roboanti e nuovi Partiti del Sud, nessuno sembra più curarsi davvero della ‘Cenerentola d’Europa’. Tra i leader politici prevale una sorta di “rassegnazione etnica” sulla sorte dei ‘terroni’: “Non ce la possono fare, meglio abbandonarli al loro destino. Al sud serve disperatamente una “scossa”. Non è più tempo né di questuare altra (inutile) spesa pubblica, né di praticare (illuministicamente) la ‘normalizzazione’ del Mezzogiorno”. Solo una rivoluzione del coraggio, solo una strategia di ‘rottura’ può salvare il sud dalla deriva definitiva dell’economia e delle menti. Il giornalista e docente universitario Francesco Delzìo, meridionale di nascita e 'sudista' per passione, considerato una delle menti più brillanti della generazione dei ‘trentenni’ italiani (è stato selezionato come Italian Young Leader dal Dipartimento di Stato Usa), dopo il fortunatissimo pamphlet, ‘Generazione Tuareg’, paragonato da Gianfranco Fini agli scritti di Sartre, nel suo libro “La scossa. Sei proposte shock per la rinascita del sud”  (90 pagg. 12 euro) edito da Rubbettino, idealizza sei proposte per realizzarla, poiché, in fin dei conti, solo i meridionali possono far rinascere il loro Mezzogiorno.

Francesco Delzìo, al sud, nonostante l’incisività delle elezioni, una ‘scossa’ non c'è stata: rischia di diventare la nuova Petra?
“Io temo di sì, perché i nuovi governatori regionali, sia quelli di centro-destra, sia del centro-sinistra, rischiano di diventare soltanto i gestori di grandi ospedali dal punto di vista dei bilanci regionali e dal punto di vista politico i gestori del declino del sud. Ci sarebbe bisogno di aprire le ‘finestre’ del Mezzogiorno, dato che è finita l’epoca dell'assistenzialismo e che i capitali pubblici a disposizione nei prossimi anni saranno molti di meno con la fine dei fondi europei. L’unica soluzione possibile è aprire il sud ai capitali privati che cercano nel mondo la loro collocazione migliore. E’ indispensabile una grande battaglia a livello comunitario per realizzare una ‘No Tax Area’ al sud. Se non si ha il coraggio di intraprendere questa strada, temo che qualsiasi buona intenzione dei nuovi governatori vada a scontrarsi contro un declino inesorabile del Mezzogiorno".

Il Rapporto Smivez 2008 fornisce dati strazianti: il gap nord-sud è incolmabile, la ‘meglio gioventù’ in fuga, il Mezzogiorno vacilla: come si è arrivati a rendere il sud ‘irridimibile’, parafrasando quanto Sciascia diceva amaramente della Sicilia?
"Il sud è stato incredibilmente dimenticato, negli ultimi dieci anni. E la dimostrazione di  tutto questo si trova, da una parte, nelle discussioni pubbliche, nelle agende dei partiti politici, nei talk show, nei dibattiti mediatici, dai quali il sud è sostanzialmente sparito, salvo sotto elezioni. Una testimonianza concreta la troviamo anche nel bilancio dello Stato, non soltanto per la diminuzione dei soldi pubblici dei cosiddetti trasferimenti aggiuntivi che vengono dati al sud ogni anno, ma ancor di più per la diminuzione degli investimenti delle società a partecipazione pubblica. Un caso per tutti: le Ferrovie dello Stato, che hanno realizzato l'Alta Velocità esclusivamente al centro-nord e, come sappiamo, arriva soltanto fino a Salerno. Questo è soltanto uno dei tanti esempi possibili di investimenti, da parte del settore pubblico, che sembrano partire da un presupposto fondamentale: se si hanno pochi euro pubblici da investire e un euro pubblico investito rende 5 al nord e 1 al sud, meglio concentrare questi pochi soldi disponibili dove rendono di più, cioè nel centro-nord, tralasciando il sud. Peccato che il compito di uno Stato e di tutti coloro che operano all'interno di esso sia molto diverso da questo…".
 
Tra le interessanti soluzioni suggerite, lei propone di mettere fine all’era degli incentivi e trasformare il sud in una No Tax Area...
"E’ ormai dimostrato, da un punto di vista scientifico, che gli incentivi alle imprese  non servono a nulla perché non hanno generato, sostanzialmente, investimenti aggiuntivi da parte delle imprese. Io non ho mai conosciuto un imprenditore del sud, del nord, di qualsiasi altra area del mondo occidentale che abbia deciso di realizzare un investimento sulla base di un incentivo. La decisione di realizzare un investimento dipende da  fattori molto diversi: dall’esistenza di un mercato favorevole per quel business, dalla complessità del contesto, non certo dall’esistenza di un incentivo. Quindi, tutti gli strumenti di incentivazione oggi sono inutili. Io ne propongo la radicale abolizione, valgono 4 miliardi di euro l'anno in media, esattamente la stessa somma che servirebbe per realizzare la ‘No Tax Area Sud’, per stabilire che  tutti quelli che fanno investimenti imprenditoriali  al sud non debbano pagare tasse sul reddito d'impresa. Io propongo una misura mirata - cioè investimenti  di tipo industriale e non finanziario - e quelli a effetto cosiddetto ‘moltiplicatore’, cioè che possono davvero generare occupazione e ricchezza sul territorio nel quale vengono effettuati. Propongo una misura che valga per 5 anni e che poi, nei successivi 5 anni, preveda un rientro graduale della normalità della tassazione. Oggi, abbiamo una finestra di circa due anni di tempo con l'Europa per poter fare una battaglia coraggiosa da questo punto di vista  e per avere qualche chance di vittoria. Questa finestra nasce dal fatto che, tra poco più di due anni, i fondi comunitari relativi alle politiche di coesione dell'Unione europea finiranno e, quindi, al sud verranno a mancare decine di miliardi di euro comunitari, poiché al Mezzogiorno d'Italia, in Europa, viene addebitato il definitivo fallimento delle politiche di coesione. I fondi europei hanno avuto esiti molto importanti in positivo sostanzialmente in tutte le altre aree depresse d'Europa, dalla Spagna del sud-ovest alla Francia meridionale, dall'Irlanda ai nuovi Paesi dell'Europa dell'est, tranne che nel sud. Il Sud è cresciuto, in media, negli ultimi dieci anni, dello 0.6 (1995-2005) contro il 3% di altri Paesi europei e delle altre aree depresse d'Europa. Questa è la dimostrazione più evidente del fatto che il Sud ha mancato una grande occasione storica: quella dei fondi europei e degli interventi comunitari. Il fatto che l’abbia mancata spinge, oggi, molti Paesi europei a sostenere che le politiche di coesione non servono a nulla. Se queste venissero a mancare, mancherebbero non solo all'Italia ma a tutti i Paesi europei che ho citato. Quindi, è necessario avviare una grande battaglia nell'interesse comune di mantenere il finanziamento delle politiche di coesione per liberare le energie del Sud. Se questo non viene fatto oggi, tra due anni sarà impossibile realizzarlo".

Il turismo è l'ennesima clamorosa occasione perduta del Mezzogiorno: quale potrebbe essere la nuova sfida per fare decollare un turismo di qualità?
"Esatto: il sud, innanzitutto, non ha bisogno di turismo in genere, ma di turismo di qualità. I dati che confrontano le presenze turistiche nei Mezzogiorni d'Europa sono desolanti, perché dimostrano che il sud, che ha l’offerta migliore, più ricca, nettamente più attraente rispetto a tutti gli altri competitors delle aree meridionali degli altri Paesi europei, in realtà ha un flusso di turisti nettamente inferiore: solo per fare un paragone, un decimo del flusso di turisti della Spagna meridionale. Questa situazione si risolve non inseguendo la massa dei flussi turistici della Spagna meridionale o della Grecia, ma puntando tutto, invece, sul turismo di qualità, perché è questo tipo di turismo che lascia più ricchezza sul territorio. Da questo punto di vista, io denuncio, nel libro, il fallimento delle politiche regionali, dimostrando, con un’analisi inedita dei bilanci regionali, che quasi tutte le regioni del sud hanno speso malissimo i soldi che avevano a disposizione, con casi clamorosi come quello della Basilicata, che nel 2003, per attrarre turisti nella propria regione, ha speso il 250% di quello che poi gli stessi turisti hanno speso in termini di ricchezza una volta giunti sul territorio. E questo è un caso surreale che dimostra, in maniera lampante, come le Regioni abbiano fallito nel settore del turismo, ma anche, purtroppo, negli altri settori di loro competenza, la sfida dello sviluppo del Sud".

Investire sulla formazione dei giovani meridionali orientandoli verso competenze scientifiche è un'altra  delle sue proposte: quanto influisce il pachidermico apparato pubblico sullo sviluppo dell'intero sistema?
"Questa è una proposta in cui io credo moltissimo: tutte le analisi internazionali dimostrano che la leva più forte per spingere un’impresa a investire in un territorio è proprio quello della disponibilità di capitale umano di qualità a costi ragionevoli. Potrebbe essere questo il caso del Mezzogiorno d'Italia, che ha delle buone università anche dal punto di vista scientifico (Bari, Catania, Napoli, Palermo) e che ha ancora una buona spinta demografica. Per cui, potrebbe essere un territorio attraente per le imprese, da questo punto di vista. Manca, però, la volontà e la consapevolezza dei giovani meridionali, che continuano ad affollare facoltà come giurisprudenza, economia e come tutte le facoltà umanistiche in generale, aspirando a infoltire schiere già terribilmente ampie di commercialisti, avvocati e insegnanti di lettere che già affollano le città meridionali. E’ molto importante che i giovani meridionali diventino consapevoli del fatto che puntando sulle facoltà scientifiche possono trovare lavoro più facilmente e costruirsi un percorso di maggior successo dal punto di vista professionale. Ma la politica deve dare un segnale in questa direzione e, quindi: 'tax free', tasse zero per i ragazzi che frequentano quei corsi di laurea al sud. Potrebbe essere un segnale di grande valore simbolico, che costa molto poco dal punto di vista economico".

Clamoroso il fallimento del ruolo-guida da parte delle Regioni nella promozione dello sviluppo: una nuova Cassa per il Mezzogiorno potrebbe essere la soluzione?
"Così come ce la ricordiamo no, perché noi tutti ricordiamo la Cassa del Mezzogiorno degli ultimi anni dominata dalle clientele e, quindi, dallo sperpero di denaro pubblico. Io, però, nel libro recupero l’esperienza della prima Cassa del Mezzogiorno, quella del primo decennio, creata da un gruppo di manager pubblici, tecnocrati di altissimo livello professionale ‘sganciati’ dal potere politico e che, quindi, non dovevano mediare ogni decisione con le clientele locali, cosa che poi è invece avvenuta in tutta la Storia repubblicana di gestione del denaro pubblico al sud. Noi abbiamo bisogno, secondo me, su alcuni punti strategici, come per esempio le infrastrutture,  di tornare a questo modello di investimento di soldi pubblici: un gruppo di manager, di èlite, non influenzati dalle clientele locali, che possono pianificare strategie di sviluppo per il sud che non abbiano carattere regionale. Questo vale per le infrastrutture e vale, per esempio, per lo sviluppo delle energie. Dovremmo tornare a questo per gestire soldi pubblici che, naturalmente, ancora ci sono in settori ad altissimo valore strategico".

Confindustria Sicilia ha intrapreso una coraggiosa lotta contro il crimine e la piaga delle estorsioni: quanto pesa la lettera scarlatta della criminalità organizzata nel sottosviluppo del sud?
“Pesa moltissimo, naturalmente. Tuttavia, la ‘scossa’ si concentra non sulla patologia, ma sulla fisiologia, cioè non sui mali, gli intrecci criminali, ma su tutto quello che in positivo potrebbe aprire le ‘finestre del Sud’ e rendere il piccolo recinto del Mezzogiorno molto più ampio, dal punto di vista dei capitali presenti e dei protagonisti, perché secondo me questo è il modo migliore per tagliare a monte la mala pianta della criminalità organizzata”.

Quale appello lancia ai numerosi giovani 'conterronei', tuareg per vocazione e per necessità?
"Noi assistiamo a un fenomeno, oggi, relativo ai giovani del sud, che mi preoccupa moltissimo: i giovani neet che si svegliano al mattino e non fanno assolutamente nulla, non studiano, non lavorano e non fanno training professionale. Al sud sono circa 500 mila: un’intera generazione bruciata di giovani meridionali. Ecco, questo mi preoccupa molto e mi spinge a dire che, oggi, abbiamo bisogno di una grande rivoluzione culturale per i giovani del sud, che li porti a essere molto più ‘tuareg’, cioè a cercare in ogni angolo del mondo le migliori opportunità professionali e di realizzazione di sé, cercando di acquisire tutto questo per poi tornare al sud. In ogni caso, la vera sfida per i giovani meridionali è quella di individuare un loro futuro a prescindere dal loro contesto. Come la scelta delle aule scientifiche e di diventare un po’ più imprenditori di se stessi e del proprio futuro. Se, invece, continueranno a vivere passivamente questa condizione molto complicata, il sud avrà perso, forse, la più grande speranza per il proprio bilancio”.

Quante possibilità ci sono prima che le sue intelligenti proposte diventino realtà?
"Dipende tutto dal coraggio della politica. Il Sud, oggi, è il caso più eclatante del fallimento della politica in Italia, ma potrebbe diventare il più emblematico di alleanza fra le due coalizioni per sfruttare un grande giacimento nascosto, che rischia di rimanere tale ancora per molti anni. Io credo che la politica debba innanzitutto abbandonare quella 'rassegnazione etnica' che ha dominato la sua  visione del sud degli ultimi anni, cioè l'idea che, comunque, per i ‘terroni’ non ci sia più nulla da fare. Ecco, questa è la cosa più preoccupante, più straziante, che in maniera non dichiarata ma strisciante, sottile, domina oggi le classi dirigenti, soprattutto politiche ma non solo. Quindi, il grande appello alla politica è di abbandonare questa visione del sud, questa rassegnazione etnica e provare a dare fiducia al sud e ai meridionali, in una logica in cui, però, dell’assistenzialismo non ci sia più alcun bisogno, perché ha prodotto danni già molto gravi. Per liberare le energie del sud c'è bisogno di coraggio politico".




(intervista tratta dal quotidiano 'Avanti' del 20 aprile 2010)
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Maria Grazia - Roma - Mail - mercoledi 28 aprile 2010 16.52
@l signor Domenico: concordo con le sue motivazioni. La piaga irreversibile al sud si chiama mafia in tutte le salse e come ho sottolineato nell'intervista è una 'lettera scarlatta' e non soltanto per il meridione. Ma questo non può e non deve essere un alibi per non agire.Perchè non esiste la mafia da vocabolario ma solo la connivenza di mafia e potere politico intrecciato. Il sud ha cervello, cuore e passione e glielo dice una che lo ama ferocemente tanto da evidenziarne gli aspetti più patetici e assurdi.Con l'augurio che tanti giovani possano scrollarsi di dosso la noia, il senso di inadeguatezza, e la strisciante paura del fare che li attanaglia da sempre.

cordiali saluti
domenico capussela - basiglio (MI) Italia - Mail - mercoledi 28 aprile 2010 16.29
non si è dimenticata del Sud la criminalità organizzata! Perchè in Puglia la sacra corona unita è quasi scomparsa mentre le altre tre continuano a prosperare?
Due numeri: guardie forestali: Trentino alto Adige 1700, Calabria 11.000, Sicilia 20.000.
Dipendenti regionali: Lombardia 3500, campania 7500, Sicilia 10.000.
Tutti abbiamo visto gli allucinanti applausi al bossTegano. Con queste premesse investire al Sud sarebbe una pazzia!!!
Con la mia stima i miei migliori saluti.
domenico capussela
Carlo Cadorna - Frascati - Mail - mercoledi 28 aprile 2010 15.41
Concordo. Si potrebbe cominciare a sostituire i contributi (2500md.) con detrazioni fiscali. Condizio sine qua non però è che si sconfigga definitivamente la mafia. Poi ci vogliono norme più severe contro gli amministratori pubblici disonesti
e demagoghi.


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