Alessandro LozziChissà se i magistrati - che all’inaugurazione dell’anno giudiziario si sono presentati con la Costituzione in mano - hanno inteso protestare anche contro la disapplicazione dell’articolo 27 che, tra l’altro, recita: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Il concetto di umanità, come tutti i concetti, è in continua evoluzione e ciò che appariva normale un tempo oggi non è più accettabile. Basti dire che nel 1947, quando fu promulgata la nostra Costituzione, molti italiani ancora non avevano in casa né l’acqua corrente né il gabinetto e solo pochissimi avevano accesso alle cure di un medico o a dei farmaci quando erano malati. Oggi il solo pensiero di potersi privare di queste elementari comodità appare impossibile, si tratta di diritti acquisiti che fanno parte di noi stessi, come la libertà di respirare o di pensare.
Ma nelle carceri italiane, troppo spesso il tempo si è fermato e la privazione di diritti elementari rende la pena, che dovrebbe consistere esclusivamente nella privazione della libertà, inutilmente afflittiva e contraria al principio della rieducazione. Ciò non solo è ingiusto ed inaccettabile, ma anche contraddittorio con l’origine della detenzione carceraria che è nata appunto proprio come rimedio a pene inumane. Fino a due secoli fa, infatti, le celle erano semplicemente un luogo ove si sostava in attesa di un processo che era solito tenersi nel giro di qualche giorno. Le pene comminate erano violente e crudeli ed il comune senso di umanità "inventò" la carcerazione come pena e strumento di redenzione.
Nelle carceri italiane oggi non solo non ci si redime, ma molto spesso si peggiora, talvolta si entra da criminale potenziale e si esce criminale effettivo. Le cause sono presto dette: inutile ozio, sovraffollamento ed eccessiva promiscuità, condizioni igieniche e purtroppo sanitarie terrificanti.
Il continuo e meccanico riproporsi di una procedura consistente nel riempire oltre la capienza accettabile gli istituti di pena per poi svuotarli attraverso strumenti straordinari di clemenza, da un lato dimostra che da troppo tempo non esiste una politica carceraria e dall’altro somma ingiustizia ad ingiustizia perché la clemenza generalizzata, anche se inevitabile, proprio in quanto generalizzata è per sua natura ingiusta.
La questione, al di fuori di provvedimenti emergenziali, siano essi grazia, indulto o 'indultino', deve essere affrontata strutturalmente e senza indugio su due livelli diversi ma complementari: la tutela dei diritti umani del detenuto da un lato e la costruzione di un sistema sanzionatorio alternativo alla detenzione teso a ricostruire l’individuo che ha commesso il crimine dall'altro.
Così come l’evoluzione del concetto di umanità generò allora la privazione della libertà quale pena alternativa alla violenza delle sevizie, è opportuno che oggi generi sanzioni alternative alla mera carcerazione che abbiano un beneficio per la collettività.
Un aneddoto dell’antica Roma spiega bene il concetto. Ponzio Pilato deve il suo nominativo all’isola di Ponza, non perché questa gli dette i natali, ma perché vi fu mandato come pena alternativa alla detenzione per un crimine commesso.
I giudici che emisero la sentenza fecero questo elementare ragionamento: il danno procurato era ormai un fatto irrimediabile e il giovane Pilato non era un delinquente abituale; decisero quindi di affidargli una missione pericolosa ma utile per Roma. Nel caso che egli fosse riuscito nell’improbabile impresa le istituzioni ne avrebbero tratto un giovamento, se invece Pilato fosse rimasto vittima delle ostili popolazioni ponzesi non avrebbe avuto altro che la meritata punizione. Pilato riusci’ nell’impresa, pareggiò così il suo conto con la giustizia e passò alla storia col nome di Ponzio, ma questo attiene alla cronaca storica.
Mancano forse oggi in italia le necessità e le opportunità per chi ha commesso reati minori di rendersi utile alla collettività? O forse non è chiaro che il modo più semplice di rendere vivibile la vita in carcere consiste nel non riempirlo inutilmente e smisuratamente?
Per quanto concerne i diritti dei detenuti, che sono esseri umani che non perdono il diritto alla dignità, entrambe le proposte di legge - una della maggioranza e una dell'opposizione - illustrate in questo numero hanno il raro pregio di essere tanto semplici quanto efficaci. E sono tra loro complementari: perché il Parlamento non ne approfitta? Tra l’altro, non dovrebbe sfuggire al governo che la proposta dell'opposizione nell'affidare il compito di difensore civico ad un organo indipendente sottrae detta competenza alla magistratura che attualmente sovraintende all’intero sistema carcerario in via pressocché esclusiva.
Solo quando riusciremo in questi due intenti, ridurre al minimo la detenzione come pena e rendere compatibile con il comune senso di umanità la vita dei detenuti, potremo dire superato il paradosso di Kafka che sosteneva: “Il contrario del crimine spesso non è la giustizia, ma il crimine opposto”.

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