Alessandro LozziLa recente affermazione del presidente Fini che “il Parlamento deve fare leggi non orientate da precetti di tipo religioso" era talmente ovvia che Monsignor Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia accademia della Vita, ha dichiarato che “la Chiesa cattolica non ha mai pensato di imporre al Parlamento italiano precetti religiosi”. Tutto bene quindi? Macchè. Il solito teatrino della politica ha scatenato il solito putiferio, la solita tempesta in un bicchier d’acqua. Il massimo del minimo l’ha toccato il deputato Udc Volontè che, a quanto pare non concordando con  Sgreccia, ha denunciato trattarsi del “peggiore attacco laicista della storia repubblicana”, addirittura secondo Volontè “siamo alla vergognosa e inaccettabile discriminazione dei credenti, come ai tempi dei totalitarismi neri del ‘900”. Con qualche raffinatezza in più (non era difficile) si è pronunciato Carlo Meroni sull’Occidentale chiedendo: “Perché nei moderni stati laicisti è possibile a tutti esprimere il proprio parere ma se, ad esempio, il Papa dice la sua su un tema etico, culturale o economico non si contano gli strali avversi”? Ad entrambi, Volontè e Meroni, vorrei chiedere: ma da quando e perché i laici sono diventati laicisti? Che cultura è quella che connota il diverso da sé in termini dispregiativi? Pensano davvero che questo sia il tono civile di un confronto? Io sono grato a tutti i rappresentanti della cultura laica che mai hanno usato, parlando dei cattolici, il termine dispregiativo di ‘cattolicisti’. E’ tuttavia opportuno dire con forza che è giunto il momento di pretendere e praticare la reciprocità. A Meroni vorrei dire, da laico, che il Papa, e con esso tutto il clero fino all’ultimo novizio, hanno tutto il diritto e la libertà di esprimersi e financo di battersi per le loro idee. Ci mancherebbe. Ma il punto è un altro: quando la Chiesa, che per definizione è universale, abbandona questa dimensione per intervenire su questioni non dico mondiali, che già sono molto meno dell’universo, non dico europee, che già sono molto meno che mondiali, ma relative a singole leggi di uno dei più piccoli Stati del mondo, ovvero l’Italia, quando cioè la Chiesa, attraverso i propri esponenti, restringe così il proprio naturale campo di azione ed interviene come parte nel dibattito politico in corso, perché mai dovrebbe essere esente dalle critiche di chi, non potendo godere di dimensioni universali, si limita a svolgere il proprio modesto ruolo politico?


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