Il bilancio delle proteste di questi giorni in
Iraq, organizzate contro la
disoccupazione, le condizioni di lavoro al limite dello
sfruttamento e la
corruzione – solo quest'ultima pone il Paese al
12° posto tra le nazioni maggiormente
corrotte - è molto alto: ci sarebbero
42 morti e oltre
2 mila feriti, per opera soprattutto della milizia
Asa'ib Ahl al-Haq. Inoltre, il governo ha imposto il
divieto agli ospedali di
diffondere notizie circa il numero reale delle vittime della protesta. La scintilla era scoppiata il
1° ottobre scorso a
Baghdad ad opera di un gruppo di
studenti universitari, propagandosi poi in altre capitali mondiali tra le quali
Roma, dove una rappresentanza della
comunità irachena era scesa in piazza, solidarizzando coi propri connazionali. Per avere un'idea della
situazione irachena, basta pensare che la disoccupazione raggiunge tra i giovani il
25%: una percentuale altissima e preoccupante, così come lo è la corruzione, soprattutto nel settore pubblico. A questo, si aggiunge la sparizione di
450 miliardi di dollari in
fondi pubblici, erogati dal
2004 a oggi, dei quali non si hanno notizie e che, presumibilmente, sono stati dirottati sui conti di
affaristi e
politici. A questo punto, la rabbia della popolazione ha preso corpo e le proteste si sono susseguite, partendo da
Baghdad fino a coinvolgere altre località del
sud-est dell'Iraq: Najaf, Zaferaniyeh, Kut, Diwaniyah, Nassiriyah, Rifai, Mishikhab, Amarah, Hila. La repressione ordinata dal governo è stata
feroce: le
forze di sicurezza irachene hanno risposto alle proteste sparando proiettili
ad altezza uomo, così come riportato dall'agenzia
Afp. A supporto dei manifestanti si è espresso
l'ayatollah Ali Al Sistani, che ha dichiarato:
"Il governo ascolti i manifestanti e le loro richieste, prendendo misure concrete, prima che sia troppo tardi. Altrimenti le proteste si intensificheranno", un monito diretto all'attuale
governo iracheno e al suo premier,
Adil Abdul Mahdi. Ma non è solo la
crisi economica il motivo scatenante delle proteste: c'è anche il problema dei
servizi pubblici, che non riescono a soddisfare le esigenze della popolazione. Per avere un'idea della situazione, basti pensare che nella maggior parte del Paese
l'energia elettrica viene erogata al massimo per
10 ore al giorno, nonostante
Baghdad abbia investito
40 milioni di dollari per la ricostruzione della rete di
approvvigionamento idrico. Avere l'acqua potabile rimane un lusso per gran parte della popolazione.
Il contesto geopolitico e il problema delle milizie paramilitari
L'Iraq ospita al momento
migliaia di militari statunitensi, come pure le milizie paramilitari
Hashd al Shaabi, che hanno combattuto il
Daesh e sono sostenute
dall'Iran, alleato del Paese. Queste milizie, prendendo ordini sia da
Baghdad, sia da
Teheran, sono difficilmente inquadrabili e possono rappresentare un serio problema per la sicurezza
dell'Iraq, che da tempo ha iniziato un dibattito interno per stabilire la loro regolamentazione. La rimozione del comandante delle truppe,
Abdulwahab al Saadi, vicecapo dell'unità anti terrorismo e considerato da molti iracheni un eroe nazionale nella guerra allo
Stato islamico, rischia di innestare ulteriori scontri, complicando così la già difficile situazione in atto.
Il blocco di internet e il coprifuocoAlla notizia della rimozione di
Al Saadi, è partita su
Twitter una campagna di solidarietà con l'hashtag
#siamotuttiandulwahabalsaadi. Dopo poco, il governo ha deciso il
blocco di internet e l'istituzione del
coprifuoco, entrambi applicati, a quanto sembra, per motivi di
sicurezza. A queste misure, definite dal premier
Mahdi "una medicina amara che deve essere ingerita", hanno risposto
Marta Hurtado, portavoce
dell'Ufficio diritti umani delle
Nazioni Unite e
Lynn Maalouf, direttrice del
dipartimento Medio Oriente di
Amnesty International, condannando principalmente l'uso dei
proiettili sui manifestanti e
l'oscuramento del web.