Michela ZanarellaCome vivono le donne nelle strutture carcerarie italiane? Molte si trovano ad affrontare una realtà dolorosa e sono costrette a subire condizioni estreme, al limite della dignità umana. Femminilità e maternità non sono tutelate. Non solo perché la percentuale di donne in prigione è minoritaria, ma principalmente perché si parla poco di carcere, benché le differenze di genere si avvertano anche dietro le 'sbarre'. Chi si trova reclusa, il 4% della popolazione femminile, lo è per reati minori, con pene inferiori a tre anni: una piccola minoranza in un mondo tipicamente maschile, che le rende invisibili in una situazione già penalizzante. In una quotidianità ristretta, dove esistono limitazioni nell'agire, ma anche nell'essere, dove diventa difficile procurarsi il minimo indispensabile e si arriva a un controllo dei sentimenti e delle emozioni, si viene privati oltre che della libertà, persino della propria identità, di quella soggettività che è parte integrante della vita di una persona. E' noto come le carceri italiane si trovino in una situazione di degrado: scarsa igiene, sovraffollamento, strutture obsolete. Ma per le donne, la realtà è ancor più drammatica: mancano ginecologi, pediatri spesso irreperibili e, quando si presentano urgenze per la propria intimità, mancano i beni primari come il sapone intimo e gli assorbenti. E chi pensa ai bambini detenuti? Non se ne parla, forse perché le donne in carcere, sul nostro territorio, sono solo 2198. Le poche donne recluse si suddividono tra i cinque istituti femminili (Roma Rebibbia, Trani, Pozzuoli, Venezia Giudecca ed Empoli) o tra le circa 55 sezioni all'interno delle carceri maschili. Le loro storie sono poco conosciute, molto spesso non ascoltate o ignorate. La maggior parte proviene da condizioni di marginalità sociale, con una forte prevalenza di relazioni interrotte, separazioni, distacchi dai propri figli. Ecco, allora, che emerge una povertà non solo economica, ma anche relazionale ed emotiva. Uno dei capitoli più dolorosi e complessi è proprio quello della genitorialità: attualmente, sono 41 i bambini che vivono dietro le 'sbarre' con le loro madri. E sono proprio gli occhi dei piccoli a filtrare ciò che è la vita nel carcere, a partire dal 'gergo' utilizzato e dalla gestualità in un ambiente dominato da urla, malattie e suicidi. I minori destinati a condividere la detenzione con la madre, al compimento del terzo anno di età vengono allontanati e fatti uscire dal carcere: questo prevede la legge, provocando uno 'choc' a livello psicologico non indifferente nei soggetti coinvolti. La maternità viene interrotta brutalmente, con danni enormi nella salute sia del bambino, sia della madre. Non è un caso che la sofferenza psicologica sia molto diffusa negli istituti penitenziari: secondo una ricerca di studi dell'Unione europea, essa tocca l'80% delle detenute, che arrivano a frequenti casi di autolesionismo e, non ultimo, al suicidio. Molte soffrono di forti disturbi di ansia, depressione, anoressìa e bulimìa. Scarseggiano le strutture e i servizi di sostegno che consentano alle madri di poter scontare la pena al di fuori delle mura del carcere; e manca un programma adeguato di reinserimento sociale nel momento della scarcerazione. Come si può resistere a tutto questo? Un'alternativa c'è ed è stata sperimentata a Milano nel 2007: si tratta del'istituto di 'custodia attenuata' per detenute madri fino a tre anni, che con le stesse regole del carcere consente alle donne di avere accanto i proprio figli in una struttura senza 'sbarre' e senza agenti in borghese. Ad affrontare la delicata tematica della vita in carcere non sono venuti meno il cinema e la letteratura. Il primo si è concentrato più sulle realtà maschili, ma fa eccezione 'Le jardin des merveilles' di Anush Hamzehian: un documentario girato all'interno di Venezia Giudecca. Il film ha per protagoniste le detenute del carcere, che si confrontano e si raccontano durante le pause di lavoro: una rara testimonianza cinematografica che apre un primo 'squarcio' importante su una realtà drammatica. Tra i libri, invece, possiamo citare 'Recluse' (Ediesse edizioni): uno sguardo sulla differenza femminile in prigione scritto da Grazia Zuffa e Susanna Ronconi, che ci fanno ascoltare le voci di alcune detenute provenienti da diversi istituti penitenziari. Una raccolta di interviste che portano alla luce le sofferenze e lo stress derivanti dalla carcerazione e quella voglia di riprendere in mano la propria vita, di avere un futuro. Storie di dolore e paura, ma anche di resistenza. Con ciò non vogliamo minimizzare le esigenze dei detenuti uomini, ma sottolineare come spesso i diritti delle detenute siano calpestati. Perché, alla fine, è possibile reagire alla sofferenza e vivere con dignità una realtà 'blindata', se le istituzioni offrissero gli strumenti adatti per andare oltre il carcere, sia nel mondo femminile, sia per quello maschile.


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