Michela ZanarellaSe si pensa al timpano e al martello, la prima cosa che ci viene in mente è l'orecchio - ovvero l'organo che consente l'udito - e si viene immediatamente catturati dal senso di ascoltare e percepire suoni o, addirittura, silenzi. In riferimento alla poesia, il suono, la musicalità e il ritmo è fondamentale. E nel libro di Paolo Pelli 'Timpano e martello', edito da Manni Editore, tutto rimanda alla sonorità, a un preciso e mirato lavoro sul corpo sonoro della parola. Non è un volume di facile lettura quello che propone questo autore, poiché rimanda a uno studio meticoloso nella ricerca del suono con ripetizioni, assonanze, allitterazioni. Il linguaggio segue una struttura particolare, così come lo stile, ma non ci si deve soffermare solo sulla parte sonora, perché a ogni singola parola viene attribuito un valore che mira a creare una sorta di indignazione sarcastica. Naturale, a questo punto, pensare al libro 'La poesia è un orecchio' di Donatella Bisutti, che ripercorre, mediante i 'versi' dei grandi autori di ottocento e novecento, i temi tipici della didattica e del laboratorio di poesia, partendo però dalla musicalità delle parole: i suoni, i colori, il ritmo. Ecco allora che la scelta di Paolo Pelli riparte proprio dalle basi di una tradizione che fu orale, per poi diventare scritta. Francesco Muzzioli, che ha curato l'introduzione del volume, scrive che "la poesia di Paolo Pelli si muove al di fuori dei facili lirismi spontanei, presentandosi come un lavoro sul corpo sonoro della parola e sulle tematiche centrate sul degrado della società italiana, sulla terra di Re Mida diventata di 'Re Media', dove la libertà conclamata nasconde l'impossibilità di scelta, dove una classe dirigente impresentabile fa rissa e razzia. Allora, nella poesia, l'indignazione si trasforma in ironia, beffa, sarcasmo, in gioco, come nei versi di Palazzeschi e Sanguineti". E' proprio nell'accostamento a Palazzeschi che, infatti, si percepisce il lavoro di Pelli, autore il quale muove critiche alla società attraverso un gioco di parole che, alla fine, si trasforma in un 'dardo infuocato' nel suo messaggio di disapprovazione del sistema. Satira e ironia vengono utilizzati in funzione provocatoria, come denuncia del degrado antropologico e sociale del nostro Paese. "Il Glande Paese", lo definisce Pelli, con una pronuncia tipicamente orientale. La modalità, spiritosa e pungente, consente all'autore di spingersi in tematiche delicate e complesse. La prima parte del volume, il 'Trittico del treno', è un viaggio in più stazioni, dove l'esistenza è vista come un passaggio tra i binari del tempo. In 'Stazione Orte', il poeta utilizza una rima baciata servendosi di una struttura di costruzione della lirica molto particolare: "Non sappiamo cosa ci riserva la/Sorte/se ci chiude tutte le/Porte". E' necessario osservare, anche visivamente, l'impostazione scelta, per capire il senso complessivo della poesia. E diviene fondamentale tendere l'orecchio e ascoltare il suono che ne proviene. E' una poesia che osiamo definire 'a specchio', frontale, in cui le parole assumono un valore determinante sia per la posizione strutturale, sia per il concetto che esprimono. In 'binario 7', la ripetizione quasi ossessiva del numero riconduce alle sette piaghe d'Egitto, ai sette bracci del candelabro ebraico. Ecco che prende forma il male che ha intaccato e che continua a ferire il mondo e la Storia come una piovra: "Carne umana da fare a fette/sette volte/e ancora sette/settanta volte sette". E' interesssante considerare anche la simbologia del numero sette, che rappresenta la globalità, l'universalità, ma anche la solitudine e la completezza. Il trittico si chiude con 'Il canto del macigno', dove i vagoni diventano massi e la chiusa in maiuscolo con la nota "arbeit macht frei/sei come morto e non lo sai" ci riporta al delirio nazista, ai campi di concentramento in cui furono sterminati milioni di Ebrei: una ferita destinata a rimanere aperta nei secoli. Nella parte denominata 'Polittico apocalittico' è chiara l'intenzione di esprimere un dissenso verso il sistema politico e di governo del Paese. In tono di beffa, Pelli ci porta per le strade di Roma, una città "matrona ladrona segnata da piaghe" che fatica a uscire dal degrado dilagante. La funzione della poesia è anche quella di scuotere, provocare, dare una svolta a delle situazioni che non vanno e che dovrebbero prendere una direzione diversa. Una critica arriva anche sulle condizioni di L'Aquila, ancora alle prese con la ricostruzione dopo il terremoto: "Rimesta la malta/ramazza la frana/arretra la strada/ripassa mazzetta". Le polemiche 'sonore' che scaturiscono dalla penna di Paolo Pelli sono metricamente accattivanti e interessanti, anche dal punto di vista stilistico: la sua scrittura esce dagli schemi classici, approndando a un'originale elaborazione espressiva. Certamente, non è di facile interpretazione, tanto che il libro va letto con una certa attenzione, preparando timpano e martello a un viaggio musicale ed emozionale. Consigliato per un'esplorazione sonora della poesia e una riflessione sulla società contemporanea, senza tralasciare la memoria.

Timpano e martello
di Paolo Pelli
Manni Editore
104 pagg., 14 €

Paolo Pelli è nato nel 1957 a Roma, dove attualmente risiede. Si divide tra la sua antica passione per il mondo acquatico e l'interesse per le arti e la letteratura. Dopo una parentesi durata circa diciotto anni, durante la quale ha lavorato presso una struttura pubblica nel campo della tutela e della didattica per le specie autoctone delle acque interne, attualmente si dedica all'ittiofauna tropicale come consulente privato, collaborando con riviste del settore. All'età di cinquantatrè anni, il suo mai sopito interesse per il campo artistico-letterario lo ha portato a riprendere gli studi da tempo interrotti, laureandosi in Lettere e Filosofia. 'Timpano e martello' è la sua prima raccolta poetica.


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Vittorio Lussana - Roam/Milano/Bergamo - Mail - venerdi 18 settembre 2015 22.22
RISPOSTA AL SIG. ARRIGO: gentile lettore, probabilmente il linguaggio della nostra collaboratrice ha incontrato il limite di dover recensire un libro di poesie, dunque basato su una metrica e un uso della parola scritta soprattutto metaforico. Capisco, dunque, che l'appiattimento, ormai in atto già da tempo, della nostra koiné collettiva possa generare qualche obiezione. Ma laici.it è destinato a un target di lettori piuttosto elevato e io non posso, per le critiche di un singolo lettore, 'abbassarne' il livello. Si faccia un abbonamento alla testata 'Chi': lì troverà quella semplicità linguistica che, di certo - e su questo punto lei ha pienamente ragione... - non può trovare qui. Soprattutto, in una recensione che, con linguaggio tecnico, è per forza di cose tenuto a descrivere proprio secondo tali canoni un libro di poesie, basato su presupposti culturali e linguistici altrettanto tecnici. Una domanda, tuttavia, voglio realmente rivolgergliela: siamo sicuri che il problema sia quello di chi scrive senza farsi capire e non che vi sia anche il problema di chi proprio non vuole capire? Cordialissimi saluti. VL
ARRIGO BORIN - MILANO - Mail - martedi 15 settembre 2015 16.35
Sembra impossibile come si possa scrivere di qualcosa senza dire niente: " tutto rimanda alla sonorità, a un preciso e mirato lavoro sul corpo sonoro della parola. Non è un volume di facile lettura quello che propone questo autore, poiché rimanda a uno studio meticoloso nella ricerca del suono con ripetizioni, assonanze, allitterazioni. Il linguaggio segue una struttura particolare, così come lo stile, ma non ci si deve soffermare solo sulla parte sonora, perché a ogni singola parola viene attribuito un valore che mira a creare una sorta di indignazione sarcastica".
La migliore critica che mi viene alla mente è quella che avrebbe potuto fare Paolo Villaggio : "una c..... pazzesca", è mai possibile che ci si debba esprimere con una tale prosa per dire cose che magari sono semplici e forse comprensibili.


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