E’ disponibile in questi giorni, su tutte le piattaforme digitali di streaming, il nuovo album di Sara Rados e Progetti Futuri: una raccolta musicale di brani blues-folk presentata lo scorso 11 ottobre presso l'Arci Progresso di via Vittorio Emanuele II n. 135 a Firenze
Un album registrato ‘dal vivo’ che s’intitola ‘Disco vivo’. Ma non è per questo che si chiama così: è un'esperienza che racchiude un tempo grande, che parte dalla scrittura delle prime melodie dentro casa, fino ai concerti e ‘concertacci’ in giro per i club di Firenze e alle tempeste di cervelli in sala di registrazione con i ragazzi di Progetti Futuri. Le bevute, le mangiate e le ‘seghe’ mentali di Sara Rados: una musicista fiorentina capace di attraversare, con la propria creatività, diversi generi musicali lontanissimi dal solito, ma anche dal terrificante “già sentito”. In seguito, questo grande tempo è approdato verso una sera di febbraio 2024 in cui Sara e Progetti Futuri (Mike, Zanfo e Pozzo) hanno trascinato gli amici in studio, li hanno fatti accomodare su un grande tappeto e hanno suonano, si sono emozionati, hanno respirato e sbagliato. A qualche brano ha partecipato anche l’amico e ‘riccioluto’ pianista, Fabrizio Mocata. Nel frattempo, tra un pezzo e un altro, Sara parla, ragiona, ‘spara’ qualche ‘bomba’ (a Firenze si dice così, ndr). Tutto questo tempo vivo è, per l'appunto, ‘Disco vivo’, registrato e ripreso in video da Agustin Cornejo nel Grs Studio di Firenze, mentre Taketo Gohara ci ha messo su le mani per il mix e Giovanni Versari per il mastering. Infine, durante i recenti mesi estivi, Michele Staino, contrabbassista e figlio del noto disegnatore Bobo, ha realizzato, una per una, la ‘imagine’ di copertina e le grafiche dei brani e dell'album. Spiega Sara Rados prim’ancora che aprissi bocca: “Guarda che ‘sto disco è un’ossessione trasformata in realtà. Ci ho messo un sacco di tempo, di paura e di fatica: è un pezzo della mia vita”.
Due consigliere del Csm (Consiglio superiore della magistratura, ndr) hanno presentato un esposto disciplinare avverso a Stefano Musolino, segretario di Magistratura democratica, alla prima commissione e alla procura generale della Cassazione. Il presidente dell'Anm ha tuonato: "Vogliono il silenzio delle toghe". Ma ha tuonato contro chi? Contro i membri del Csm che hanno esercitato una prerogativa che gli attribuisce la legge o contro il procuratore generale della Cassazione, che ha competenza in materia? Diciamo la verità: inquieta un presidente dell'Anm che ha tutta questa sfiducia nella magistratura.
Se sei un 'millennial', probabilmente ricorderai i tempi delle tue prime sortite sul web, quando i tuoi genitori ti mettevano in guardia contro i pericoli misteriosi che potevano, a detta loro, celarsi dentro quella scatola magica chiamata pc (personal computer, ndr). Trascorrere troppo tempo davanti allo schermo poteva, nell’ordine: a) rubarti la vista e causarti problemi di schiena; b) smarrire il contatto con la realtà e finire per trascurare i tuoi obblighi scolastici, domestici e sociali; c) incontrare sconosciuti su internet, perché al di là dello schermo non potevano che nascondersi adulti assetati di sangue innocente, che tramavano nell'ombra aspettando che tu, proprio tu, compissi un passo falso, rivelando informazioni sensibili come il tuo nome di battesimo o il tuo colore di capelli.
La serie tv: 'Monsters: la storia di Lyle ed Erik Menende', prodotta da Netflix, si basa un fatto di cronaca nera che ha sconvolto l’America negli anni ‘90 del secolo scorso. Questo secondo capitolo del ciclo antologico realizzato da Ryan Murphy e Iann Brennan (creatori di serie televisive ultrapopolari, da 'Glee' ad 'American Horror Story' e 'American Crime Story', ndr) è articolata in 10 episodi della durata media di 50 minuti ciascuno. 'Monsters: la storia di Lyle ed Erik Menende' è dunque il sequel della celebre serie televisiva 'Menendez: la storia di Jeffrey Dahmer', miniserie sul serial killer, Jeffrey Dahmer. Siamo negli Stati Uniti del 1989: i fratelli Lyle ed Erik Menendez vengono accusati del duplice omicidio dei genitori, Kitty Andersen e José Enrique Menendez, trovati morti nel salotto di casa loro, a Beverly Hills. Inizialmente, le indagini si erano concentrate su possibili nemici del padre, José, che era diventato molto ricco grazie ai favori della mafia locale, ma le indagini portano all’arresto di Lyle ed Erik, accusati di aver ucciso i genitori per ereditare il patrimonio paterno. I due fratelli subiscono un primo processo - uno dei primi in diretta televisiva - nel 1994, ma questo finisce senza verdetto. La giuria, infatti, è divisa a metà: chi crede alle violenze del padre (le donne, ndr) e chi no (gli uomini, ndr). Il secondo processo, blindato dal giudice, con l’esclusione delle testimonianze della famiglia e degli abusi, si chiude nel 1996, con la sentenza di ergastolo senza condizionale.
Erano quattro, perché mai da soli. Tutti incappucciati, perché mai a viso aperto. E nel buio della sala, complici altri adolescenti che, non avendo da fare di meglio, si sono aggiunti subito dopo, hanno fatto irruzione in un cinema di Roma dove stavano proiettando il film su Enrico Berlinguer, disturbando la proiezione al grido di “comunisti di merda”. Magari sentendosi anche un po’ furbi e dileguandosi all’arrivo dei Carabinieri, ma non prima di aver insultato una ragazza straniera. Questi campioni di coraggio e di civiltà hanno così messo in piedi l’ennesimo, vergognoso, episodio di intolleranza e di violenza, denunciato dalla giornalista Bianca Berlinguer, figlia del politico italiano, storico segretario del Pci e tra le figure più importanti e carismatiche della prima Repubblica, che ha così accompagnato la denuncia con il suo pensiero si Instagram: “Ho appena ricevuto questo messaggio su un episodio avvenuto sabato scorso durante la proiezione, in un cinema di Roma, del film ‘Berlinguer – La grande ambizione’. Ciascuno tragga le sue conclusioni”.
Avrebbe meritato un nome accogliente e beneaugurante, la bimba del Kosovo del 1990. Ma ‘Chiamatela Venerdì’ (Smasher Edizioni) è l’imperativo con cui il nonno paterno, dispotico e violentissimo, respinge la sua nascita, guardando il calendario. Avrebbe voluto un maschio, in una famiglia patriarcale improntata sulla violenza e sulla vessazione delle figure femminili. Da questa storia, la più atroce tra le atroci, prende il nome il testo scritto da Guendalina Di Sabatino, laureata in Scienze politiche, già dirigente del Pci di Teramo. Presidente del centro culturale 'Hannah Arendt', porta avanti il suo impegno sul rispetto delle diversità contro ogni forma di violenza. Con la scrittrice Edith Bruck, sopravvissuta ad Auschwitz, è impegnata a mantenere viva la memoria della Shoah. In stretta coerenza con il suo impegno politico che si batte per le pari opportunità contro la violenza di genere è uscito, come libro di esordio, questa raccolta di testimonianze preziose di donne che hanno subito violenze e sopraffazioni. Un testo che vibra di passione autentica, mai atteggiata, ma viva e concreta, perché sempre concreto e mai intellettualisticamente impostato è l’impegno dell’autrice in favore delle donne. Il testo presenta la prefazione di Stefano Ciccone, sociologo, fondatore di ‘Maschile Plurale’.