Cesare Salvi nel corso dell'attuale legislatura ricopre la carica di Vicepresidente del Senato. E’ uno dei principali esponenti di quel 'correntone' dei Ds che vedrebbe favorevolmente Sergio Cofferati alla guida di una futura alleanza organicamente riformista di tutto il centrosinistra.
Nella presente intervista ha cortesemente accettato di approfondire con noi le motivazioni politiche concernenti tali argomentazioni.

Presidente Salvi, una prima domanda un po' maliziosa: i girotondi di Nanni Moretti e gli scioperi generali servono a rafforzare la coalizione di centrosinistra oppure sono mirati a sovvertire delicati equilibri interni ai Ds?
"A me pare che i diversi movimenti esprimano semplicemente dei punti di vista: spetta alla politica raccogliere ciò che essa ritiene giusto raccogliere e dare a ciò un seguito. Non c'è contrapposizione netta tra movimenti e forze della sinistra democratica. I 'girotondi' pongono un'esigenza di profili molto chiari e alternativi nei confronti di alcuni temi, quali la giustizia e il pluralismo del sistema dell'informazione, la Cgil e la mobilitazione del mondo del lavoro sollevano analoghe esigenze intorno agli ormai cronici problemi occupazionali del Paese, i pacifisti e il movimento no global chiedono maggior attenzione a grandi temi quali quelli della globalizzazione neo-liberista e dell'unilateralismo militare. Questa domanda non può, perciò, essere posta in astratto, come se movimenti e partiti fossero in aperto contrasto tra loro, ma deve vertere sugli aspetti concreti dei temi in questione, cioè se siano problematiche reali - e a me pare difficile dubitarne - e in quale misura possano far parte di un'iniziativa programmatica. In tal senso, le suddette tendenze chiedono più che altro di mutare la direzione politica generale rispetto ai passati anni di governo. Ed è questo il vero dibattito apertosi all'interno della sinistra: è vero o no che un cambiamento è necessario su determinate tematiche?"

In sostanza, ci sta dicendo che il problema della sinistra è ancora quello di decidere se tornare o meno a fare una sana politica di opposizione?
"In un certo senso sì: quale tipo di opposizione fare e in favore di quale proposta di governo futura? Questa è la questione che ritengo abbia fondamento, anche se ciò non significa condividere tutte le sfumatura e gli slogan di coloro che animano o guidano i movimenti".

Può spiegarci meglio la ritrosia all'intervento militare contro l'Iraq a pochi anni dalla guerra in Kosovo con Massimo D'Alema Presidente del Consiglio: cos'è cambiato rispetto ad allora?
"Una cosa decisamente rilevante: la dottrina dell'attacco preventivo della nuova amministrazione Bush. Questo è il nuovo problema posto al Congresso degli Stati Uniti e a tutta la comunità internazionale nel suo complesso. In secondo luogo, è sorta la questione della risposta più giusta da dare al terrorismo internazionale. A mio avviso e, in base a simili contesti, lo scenario politico internazionale è notevolmente diverso rispetto ai tempi del Kosovo".

Se il centrosinistra riuscisse a tornare al governo, un domani, sarebbe il risultato di una grande alleanza 'contro' Berlusconi o la conseguenza di un'effettiva convergenza programmatica?
"Nella prima ipotesi, credo che non dureremmo molto. Bisogna costruire, infatti, una grande convergenza programmatica partendo, questo sì, dall'unità di tutta l'opposizione. Nella migliore delle ipotesi, potrebbe riprodursi il meccanismo del 1996, che fu un momento certamente positivo, a mio parere, poiché portò il centrosinistra al governo del Paese, ma che era già minato in sé dai germi della propria dissoluzione nel suo rapporto con Rifondazione Comunista - la quale, tra l'altro, aveva ottenuto un importante risultato elettorale -, in quanto si basava esclusivamente sul meccanismo della desistenza. Quello fu un errore che non deve essere ripetuto: occorre una convergenza programmatica comune, ma ciò è tanto più semplice farlo quanto più le rispettive componenti della coalizione mantengono le proprie identità e autonomie. Può forse sembrare paradossale ciò che sto dicendo, ma secondo me è così: quanto più esiste un'autonoma identità di una forza di sinistra di ispirazione socialista, tanto più occorre successivamente comprendere la necessità che un accordo generale di governo debba essere di natura stringente, in grado cioè di limitare eccessive libertà di fuoriuscita. Mediazioni sono infatti certamente possibili ed è buona cosa impegnarsi sempre a cercarle, ma sui programmi concreti o su proposte generali di governo, non sulle identità...".

Dunque, il futuro idem sentire in grado di riunire le molteplici anime della sinistra non è il postsessantottismo no global, ma una forte sinistra riformista di governo?
"Per quel che mi riguarda, la seconda formula da lei citata rimane quella valida, purchè sia chiaro che oggi una politica riformista richiede scelte spesso molto più radicali di quanto si potesse pensare qualche anno fa. Un riformismo coraggioso deve avere la forza di mettere in discussione determinate questioni: il primato assoluto del privato sul pubblico, la deregolazione, le vecchie logiche di mercato che ormai non funzionano più. Del resto, possiamo notare quanto sta accadendo a quel 'patto di stabilità' che avevamo considerato quasi un dogma e che lo stesso Romano Prodi arriva oggi a definirlo un 'patto di stupidità', ammettendo esplicitamente la necessità di nuovi e ben diversi percorsi. Bisogna avere molta più autonomia di pensiero e di azione rispetto a quella che è ormai rimasta l'unica ideologia del nuovo millennio: il neoliberismo".

Chi sarà il futuro leader di questa grande convergenza programmatica riformista?
"Personalmente e tanto per non fare nomi, una linea programmatica del genere Sergio Cofferati sarebbe tranquillamente in grado di esprimerla. Il punto centrale, tuttavia, rimane il seguente: se si decide di intraprendere la strada a mio avviso più giusta e che nei giorni scorsi alcuni studiosi - mi riferisco al professor Sartori a Massimo Salvadori ed altri - hanno indicato, il nodo essenziale non è più riuscire o meno a trovare un leader che, sin da oggi, unifichi forzosamente tutto e tutti, ma quello di adeguarsi realisticamente ai modelli delle grandi democrazie europee, le quali soltanto con l'approssimarsi delle elezioni politiche generali si pongono il problema di scegliere il candidato premier per la guida del governo, cioè quello indicato ad esprimere una comune piattaforma politico-programmatica. Non è di leader che c'è bisogno, insomma, ma semplicemente di un buon candidato alla Presidenza del Consiglio da indicare nel momento più opportuno."

Per concludere, la domanda che stiamo ponendo a tutti gli esponenti politici sull'argomento di questo numero: cosa significa oggi, secondo lei, dire qualcosa di sinistra?
"Recuperare un'autonomia di pensiero e di giudizio critico, al fine di elaborare proposte distinte da quelle che si ispirano a una logica puramente di mercato. Dire una cosa di sinistra significa che ci sono valori, il diritto al lavoro e la coesione sociale, ad esempio, che vengono prima del mercato o per i quali quest’ultimo può essere solo uno strumento e non un fine".

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