Antonio Di Giovanni

C’è chi, cocciutamente, si compiace di questa sinistra e chi vagheggia un ipotetico centro perché probabilmente è incapace di leggere, oppure perché si rifiuta di osservare, la disperata realtà in cui affondiamo. E si continua a deludere gli italiani inseguendo l’accorpamento di una discutibile coalizione come massima celebrazione della sconcertante confusione politica. Il ‘quadro’ della politica progressista italiana, in quest’ultimo scorcio è stato davvero penoso, buffonesco e paralizzante, soprattutto per la pochezza irriducibile, ma devastante, del suo ultimo protagonista. C’era da aspettarselo quindi: le dimissioni di Valter Veltroni sono arrivate puntuali e precise come l’ultimo atto di un re che abdica al suo regno. In effetti, il Partito democratico già da qualche tempo aveva cominciato ad abbandonare le posizioni ‘soliste’ del suo leader riconoscendo, sin da dopo le elezioni del 2008, la debolezza della leadership dello stesso Veltroni. ‘Azzoppato’ proprio dalla dura sconfitta elettorale, insidiato dalla continua inestinguibile lotta interna e incapace di comporre un accettabile grado di unità tra le diverse anime del Pd, Veltroni, di fatto, non è riuscito a trovare una linea politica d’opposizione capace di rendere forte ed efficace il profilo riformista del suo partito. Così, piano piano, il ‘terreno’ ha cominciato a mancargli, ogni giorno di più, da sotto ai piedi. Walter ha anche provato, da ultimo, a ‘buttarsi a sinistra’. Ma, privo del consenso degli elettori, ha cercato quello dei manifestanti perdendo, così, la battaglia dei votanti. Si è messo a sperare nelle lotte dei movimenti e si è trovato solo, finendo col consentire, attraverso la sua condotta, che divenissero sempre più forti le voci della contrapposizione di principio. Non va sottaciuto neanche il doppio, fatale, errore di Walter: a) la continua ed esasperata demonizzazione di Berlusconi; b) quello di imbarcare nell’alleanza sarda non solo Di Pietro, ma anche Rifondazione comunista e i Comunisti italiani, rimettendo in piedi un qualcosa di assai simile alla coalizione ‘posticcia’ dell’era Prodi. In questo modo, non solo Walter ha perduto la Sardegna, ma ha definitivamente messo in archivio la mitica ‘vocazione maggioritaria’. Ed è questo il vero capolavoro in negativo di Veltroni: in poche mosse egli ha seppellito sia l’idea del partito capace di competere da solo, sia quella del Pd come forza di innovazione e di cambiamento, scegliendo, proprio nei sui ultimi atti, di collocarsi tra il conservatorismo istituzionale di Scalfaro e l’immobilismo sociale della Cgil. Dalle primarie, in cui Walter era risultato personaggio vincente, inattaccabile e ideale per far decollare il nuovo soggetto politico, si è passati ad un logoramento quotidiano dell'uomo che voleva cambiare il vecchio modo di fare politica a sinistra e abbattere la vecchia nomenclatura per creare un partito snello e moderno, sulla scia di quello americano o di quello laburista inglese. Egli ha fallito tramite diversi errori. I più evidenti: una scarsa opposizione, la poca visibilità della sua azione politica. Ora che è stato messo fuori gioco, tutti gli dimostrano solidarietà: è incredibile come la politica abbia la capacità di elevare o di distruggere un personaggio. Certo è che, di esponenti politici in grado di traghettare il partito fuori da questo difficile momento, per ora non ne vedo: sono tutti ‘stagionati’ da tanti anni di battaglie, nessuno si fida più di nessuno, una storia continua di potere e di contrasti che non sono stati mai superati. Il Pd deve trovare una persona veramente nuova, dinamica, concreta, indipendente, di forte personalità, scollegata soprattutto dalla vecchia struttura e particolarmente vicina alla gente, che sappia circondarsi di persone professionali e competenti. I vecchi, del resto, in questo particolare momento dovrebbero avere la compiacenza e la lungimiranza di farsi da parte per poter svolgere, al limite, il ruolo dei saggi disincantati della futura classe dirigente ed essere un valore aggiunto del nuovo partito. Auguri, in ogni caso, a Walter Veltroni per i suoi primi giorni da semplice deputato.


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