Lucia Polettini

Socrate assaporò fino all’ultimo atto vitale l’inganno del veleno della sua cicuta, per poter capire, per poter descrivere, per poter studiare gli effetti del doloroso trapasso. Si chiese cosa ci fosse oltre la vita. Ma al di la’ di questi filosofismi, ciò che andrebbe veramente valutato è il dolore dell’uomo al termine della propria esistenza in quei casi in cui non può muoversi, né parlare. E tuttavia pensa: “Io esisto”, che era la formula di pensiero analitico della filosofia anche in tempi più recenti o nelle meditazioni di Descartes. Come poter tollerare la tortura della sofferenza della malattia che ci porta all’exitus e l’altrui difficoltà di poter decidere qualunque cosa per noi e su di noi? Per introdurci meglio nella questione della ‘buona morte’ e nella sua gestione morale, religiosa e penale, vanno innanzitutto valutati i modelli americano e nord europeo, che prevedono la conoscenza della verità della prognosi del proprio male e la possibilità di scegliere come vivere gli ultimi attimi, di decidere come morire e quando smettere di vivere, fino a spingersi ad ipotizzare come veritieri alcuni significativi studi sul fenomeno della ‘vita oltre la vita’ di R. A. Moody jr. Vanno inoltre valutate la legislatura del nostro Stato, che per far quadrare i bilanci della spesa pubblica opera numerosi tagli alle spese sanitarie (e spesso bisogna aspettare che cambino i governi per riavere le approvazioni dei ‘Lea’, perché tanto poi ci penserà il nuovo ministro a dare una sistemata ai conti…) nonché le ipotesi e le riflessioni che tanti legislatori di altri Paesi affrontano nel valutare le impegnative situazioni di natura bioetica tollerando poco i ‘tira e molla’ politico - religiosi ed arrivando velocemente verso risoluzioni definitive. Vediamo l’esempio del governo Zapatero, impegnato ad avviare il dibattito sulla ‘morte degna’ e sulle necessarie modifiche al codice penale. Contro quell’esecutivo si sono schierati immediatamente la Conferenza episcopale ed il partito popolare. Tuttavia, il premier spagnolo ha già stabilito il ‘range’ temporale per far approvare la legge in parlamento: viene naturale pensare che in Spagna sia sufficiente avere le idee chiare per portare a termine un’azione di regolamentazione normativa. Ma ci siamo mai chiesti se non siamo noi italiani quelli un po’ disorientati nell’affrontare determinate problematiche, a causa di una mentalità ‘nazional – popolare’ che si scontra con una tendenza all’internazionalizzazione culturale per poi arrivare a scoprire che certe sperimentazioni sui cocktail farmacologici letali esistono da sempre? Urge una nuova legge sul testamento biologico, del quale si è già detto tanto e ancora moltissimo ci sarà da decidere. Il medico Ignazio Marino, oggi parlamentare del Pd, da tempo è ‘sceso in campo’, anche se su un terreno già ‘lavorato’ e, di recente, ha confessato che “in Italia vi è disattenzione nei confronti dei malati: quasi nessuno si accorge che ci sono pochi ‘hospice’, cioè luoghi di ricovero confortevoli dove si può portare a termine la propria vita in modo sereno con le cure ridotte al minimo necessario per un trapasso indolore”. Questa argomentazione distingue indubbiamente un medico che vede soffrire tanti esseri umani. Ma non rende così semplice, anche da buon dottore, decidere sulla morte. La sofferenza dell’exitus e tutti i suoi risvolti concernenti l’effettiva consapevolezza del malato fanno paura a tutti. L’ipotesi, a questo punto, diviene quella di approfondire meglio la questione dell’enorme diffidenza esistente verso tutti gli operatori sanitari, gli ospedali, gli ambulatori medici e persino il semplice personale. In termini di educazione civica, sarebbe il caso di ricominciare ad educare i cittadini sin dall’infanzia ad un rapporto più sano con il proprio corpo e la propria salute, a conoscere meglio certe patologie e a non mantenerne una distanza ‘culturale’: individuando la personalità di ogni singolo individuo nella sua età evolutiva si potrà migliorare anche il rapporto con i propri medici e con se stessi, vincendo quella sensazione di ‘scandalo psicologico’ derivante dal dover portare ascolto alle decisioni finali di un proprio congiunto che lo chiama a tutela della propria volontà biologica. Nel nord Europa, ogni paziente lascia per iscritto alcune indicazioni utili per i propri sanitari nel momento della necessità: in una condizione di aggravamento delle condizioni di salute, si chiede di essere tutelati dal pericolo di diventare una ‘palestra’ per medici o dal rischio di divenire ‘spettacolari’ attraverso il proprio dolore fisico e la propria devastazione patologica e corporale, che quasi sempre segna in maniera indelebile la sensibilità dei familiari e dell’opinione pubblica. Il discorso diviene dunque assai più serio, più intimista, quasi spirituale: diviene essenziale persino individuare a quale credo religioso vogliamo appartenere prima di decidere fino a che punto determinati medici possano curarci evitando inutili e costosi accanimenti terapeutici. Nel prolungare ‘forzatamente’ la vita, alcuni medici di impostazione cattolica risultano, a modo loro, più decisi rispetto ad altri nella propria impostazione scientifica, soprattutto laddove contano i numeri da inserire nelle statistiche relative alla propria abilità personale. Ma non dobbiamo dimenticare che il paziente, spesso, anche se impossibilitato ad esprimersi coscientemente, mantiene uno spirito vitale fino all’ultimo battito respiratorio e fino all’ultima attività cerebrale. Tale esistenza inerziale non dovrebbe essere occultata da manovre terapeutiche spesso mutilanti, poiché il dolore fisico incide non poco sulla nostra anima, rimanendo impresso nelle nostra memoria: nemmeno i casi di risveglio dallo stato comatoso riescono a cancellare certi acuti ricordi. Diviene dunque fondamentale valorizzare quell’esigenza di riconciliazione dell’anima con il proprio corpo, quella dello spirito che sta per abbandonare il proprio ‘tempio’, ormai in devastazione. L’anima, in molte filosofie e nella maggior parte delle religioni, è immortale e possiede un valore primordiale. Secondo alcune citazioni di Osho, maestro spirituale di cultura indù: “La morte è soltanto una falsità”. E’ certamente difficile prendersi delle responsabilità ‘conto terzi’ sulla vita degli altri, anche in qualità di medico, il cui principio fondamentale rimane quello di non nuocere mai ad un paziente. Ma appare anche ipocrita non ammettere che esistono delle evidenti perplessità.


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