Vittorio LussanaLa nuova opera di Pupi Avati, intitolata 'Dante', segnala l’arrivo nelle sale cinematografiche italiane di un capolavoro. Un film che consacra definitivamente il regista bolognese, il quale ha voluto affrontare un argomento, la poetica ‘dantesca’, molto complesso, senza avvinghiarsi a nessun schematismo ideologico-politico. Il Dante di Avati è, soprattutto, un poeta incompreso, amato solamente da Giovanni Boccaccio. Fu il profondo amore di quest’ultimo, infatti, a svelare una questione attualissima per il nostro Paese: la scarsa comprensione, sia da parte del popolo, sia delle élites dominanti – a partire dalla Chiesa cattolica – nei confronti dei poeti. Il grado di civiltà di una nazione o di una società, infatti, si misura proprio dal rispetto che essa nutre nei confronti dei suoi poeti, non nei riconoscimenti postumi. Perché la poetica del ‘Sommo’ fu una tensione dialettica religiosamente rivolta al rapporto con l’Altro. E la sua ricerca ossessiva di Dio all’interno delle cose umane fu profonda, autentica, sincera. Uno stile ibrido, quello dell'Alighieri, quasi plurilinguistico, che rifuggiva dal monolinguismo di Francesco Petrarca, spesso assoluto e selettivo. Fu Dante il primo intellettuale a sperimentare un abbozzo di lingua italiana collegata al popolo, attraverso l’utilizzo del volgare. E lo fece grazie a uno stile che seppe unire una cultura letteraria ‘alta’ con il linguaggio dei plebei, individuando una sintesi tra classi dominanti e tradizioni popolari che dovrebbe, ancora oggi, indicarci un contenuto identitario ben preciso. Dante Alighieri fu il vero creatore di un’identità culturale italiana capace di essere ‘ponte’ tra intellettuali e popolo, tra il ‘latinorum’ delle classi egemoni – per dirla col Manzoni - e rappresentazione letteraria, lasciandoci una ‘chiave’ interpretativa specifica, totalmente antiretorica. Concetti individuati molti secoli dopo sia dalla critica ‘crociana’, sia da quella ‘gramsciana’. Se il rapporto tra intellettuali e popolo, tra dirigenti e diretti, tra governanti e governati è dato da un'adesione organica, in cui il ‘sentimento-passione’ si trasforma in comprensione e, quindi, in nutrimento culturale vivente e non ‘meccanico’, allora il rapporto tra cultura ‘alta’ e quella ‘bassa’ diviene, appunto, di rappresentanza letteraria, indicando una ‘vita di insieme’, una forza sociale, un ‘blocco storico’. Fu questa l’operazione letteraria tentata da Dante, il fulcro del suo sperimentalismo, che divenne il nucleo centrale del successivo sforzo divulgativo del Boccaccio: uno dei pochi a rendersi conto di chi avesse di fronte. Non lo compresero i fiorentini, né le varie Signorie dell’Italia. E, soprattutto, non lo comprese la Chiesa di Roma, che si ritrovò innanzi a una religiosità laica quasi imperscrutabile per quei tempi: mere fantasticherie. Solo Giovanni Boccaccio fu consapevole del fatto che Dante Alighieri fosse un poeta importante, che stava dando alla luce la cultura letteraria italiana. Nel consueto e insensibile silenzio dei suoi contemporanei, che stentarono a riconoscere un principio, poiché prigionieri di una mentalità totalmente indirizzata alla finalità, al successo immediato, che non contempla mai processi di lunga lena, esattamente come oggi. L’Italia non è meritocratica semplicemente perché non lo è mai stata. Un popolo che non riconosce mai meriti a nessuno, poiché abituato alla sudditanza e alla gerarchia, alla dipendenza dalle speculazioni opportunistiche, dai giustificazionismi retorici. Tutte contaminazioni formali e dissimulazioni che impediscono di guardarsi allo specchio, al fine di riconoscere i propri difetti e provare a correggerli, per riuscire a emergere dalle nostre ciclicità pompose, dai cerchi concentrici dettati dalle nostalgie, dalla suggestione degli eterni ritorni. Solamente da morti, in Italia, si vedono riconosciuti pregi e meriti di un intellettuale, di un poeta o, più semplicemente, del singolo individuo: questo è il vero significato dell’opera di Pupi Avati, che con questo film ha avuto il coraggio di indicarci, con estrema franchezza, la nostra tradizionale illiberalità. Una mancanza di contenuti di cui gli italiani sono colpevoli, in quanto cattolici controriformisti e reazionari. Siamo di fronte a un film molto importante, che ha saputo donare nobiltà al cinema italiano. E che speriamo venga realmente compreso anche dalla critica, poiché si tratta di una fatica vera, derivante da un ventennale lavoro di ricerca storica da parte di un regista generoso, ancora oggi ricordato per il suo amore giovanile verso il jazz in tempi di provincialismo fascista e docenti in camicia nera. Un autore a lungo identificato con una città dotta e, al contempo, ‘materialona’ come Bologna, meno raffinata della signorile Firenze, poiché perennemente circonfusa dall’odore dei suoi tortellini in brodo. Come se un bolognese non possa valicare gli Appennini per apprezzare un poeta toscano, poiché condannato a rimanere all’interno del proprio steccato ‘papalino’, tradizionalista e, in fin dei conti, già pienamente padano. Ma Pupi Avati ha finalmente dimostrato che le cose non stanno affatto così. Per fortuna, per intelligenza e con estremo coraggio.




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Renato Luparini - Livorno - Mail - lunedi 3 ottobre 2022 19.59
Gran bel film il "Dante" di Pupi Avati .
Tuttavia un piccolo appunto lo devo fare : Boccaccio che non parla con accento toscano è una stonatura .
Castellitto doveva esser doppiato da Luciano Spalletti, che è certaldese doc .
Enrico Lo Verso magari da Sarri, che pur nato a Napoli, è toscano acquisito .
Scherzi a parte, la Toscana non è solo Pieraccioni e il fiorentino è la base della nostra lingua . Una scelta che dipese proprio dal fatto che era la lingua di Dante e Boccaccio .


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