Giuseppe Lorin
Esattamente 70 anni fa, nel 1951, negli ‘studios’ cinematografici di via Tuscolana 1055 si percepìi il grande fermento per la realizzazione di ciò che si immaginava fosse l’antica ‘Vrbs’, dando forma alla realizzazione del ‘Quo vadis?’ di Mervyn LeRoy. Gli studi di Cinecittà iniziarono ad assumere una loro importanza economica per la nostra industria cinematografica. E nella grande ‘fabbrica dei sogni’ cominciarono ad arrivare le produzioni americane, per la realizzazione di film storici: nel 1959, per esempio, venne girato ‘Ben Hur’ di William Wyler. Tale ‘boom’ ebbe origine dalla competitività economica degli studi romani, ribattezzati popolarmente ‘Hollywood sul Tevere’, complice anche un'apposita legge che non consentiva ai produttori stranieri di esportare i guadagni realizzati in Italia, obbligandoli di fatto a reinvestire in loco. Il successo delle produzioni americane introdusse nella società romana degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso fenomeni di sociologia e mondanità, quali il divismo, le feste prestigiose, i 'paparazzi', i night club, i giri nella ‘Rome by night’. Stili di vita composti da bar eleganti, ristoranti, scandali e, ovviamente, la bellezza di Roma. Si ricordi lo storico spogliarello del 1958 di Aiche Nanà al club-ristorante ‘Rugantino’, che ispirò Federico Fellini per una famosa scena del suo film ‘La dolce vita’, girato nel 1960 e realizzato, in parte, nello Studio 5 di Cinecittà. Sempre in questo film è rimasta famosa la ‘follia’ del bagno ‘da vestiti’ nella Fontana di Trevi di Anita Ekberg e Marcello Mastroianni. Una pellicola che ha rappresentato il simbolo della nostra stessa evoluzione sociale e industriale. Storici sono anche rimasti, specialmente nel ‘Ben Hur’ di William Wyler e relativi remake, le inevitabili incongruenze storiche e gli strafalcioni cinematografici. Come, per esempio, il protagonista, Charton Heston, con un meraviglioso orologio da polso indossato per errore, che diede origine ai 'bloopers': la ricerca ossessiva delle incongruenze storiche. Per non parlare dell’emozionante ‘Il gladiatore’ con Russell Crowe, dove nelle scene panoramiche si vedono cupole del 1500, la basilica di Massenzio e l’Arco di Costantino, che negli anni del racconto (180 d. C.) non erano ancora stati edificati. Eppoi il Colosseo, che per tutto il film viene citato con questo nome, mentre nella storia archeologica tale dicitura verrà utilizzata solo dal secolo XI in poi: all’epoca de ‘Il gladiatore’, il Colosseo si chiamava ancora ‘Anfiteatro Flavio’. Stupisce, pertanto, l’inconsistenza degli sceneggiatori, della produzione e del regista di questo film, ‘Il primo re’, tanto atteso proprio perché realizzato da italiani e non da stranieri. Un lavoro da considerarsi, per buona parte, come un’opportunità ‘bruciata’. L’opera è da vedere con intenti diversi: per gli aspetti mitologici e quelli archeologici. Per la visione mitologica, fantastica, onirica, affermiamo che si tratta di un film interessante, mentre per tutto ciò che riguarda il contesto storico e ambientale ci sono molti ‘svarioni’ da elencare. Potremmo iniziare col descrivere le abitazioni, o meglio le capanne, dell’epoca ‘romulea’, che erano di forma cilindrica e, a volte, con il tetto rettangolare sporgente. Questi dettami archeologici e suggerimenti realizzativi ci arrivano dalle tombe etrusche e dai manufatti in esse conservati, oltre che dai nostri studi più recenti. Gli agglomerati abitativi erano formati da abitanti delle capanne a forma cilindrica, sparse sulle colline e non negli acquitrini del fiume. Abitanti che cominciarono poco a poco a vivere come una vera e propria comunità. Col tempo, si formarono i primi villaggi, aperti e non fortificati, insieme ai primi agglomerati umani con un intento di convivenza sociale. Sui colli della sinistra del Tevere, a circa 25 chilometri dal mare, verso il IX secolo a. C. esisteva un gruppo di villaggi di pastori e agricoltori discesi dai Colli Albani e dalla Sabina. Questi si unirono in una arcaica ‘lega sacra’, facendo sorgere un primo nucleo molto primitivo consistente in una cinta protettiva a forma quadrata. Una serie di re governarono su questo piccolo borgo. Nella recente pellicola di Matteo Rovere si evincono, insomma, alcune incongruenze ed errori di ricostruzione archeologica e storica. E si avverte la superficialità di giudizio dei suoi realizzatori nei confronti degli spettatori, ritenuti ignoranti: “Tanto, chi vuoi che se ne accorga”? Ma prendere in giro il pubblico non è una bella cosa, anche se attualmente esso risulta pienamente immerso nella demogogia di massa.


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