L'approssimarsi del
24 aprile, inevitabilmente ci porta a svolgere una riflessione sul
genocidio degli armeni del
1915, la cui memoria ricorre puntualmente e, ahimé, tristemente, ogni anno a quella data. Di questo deplorevole evento della Storia si è già molto parlato. Si è discusso sulle sue
connotazioni storiche e
storiografiche; si è denunciato il
crimine in tanti modi, sul piano sociale, etnico, religioso e politico; lo si è reso oggetto di una
copiosissima letteratura biografica e autobiografica, come anche tema di ben note produzioni cinematografiche; e si sono
biasimati i suoi
autori per la loro crudeltà e infamia. Ma c'è un aspetto sul quale vorrei concentrare ora il mio pensiero e sul quale non si è ancora dibattuto abbastanza: l'importanza di
condannare il negazionismo sul
genocidio armeno come un
reato contro la buona fede. Molti progressi sono stati registrati, negli ultimi decenni, a riguardo del riconoscimento del
genocidio come tale, ovvero quale
crimine contro l'umanità e, sopratutto, dalla data di nascita della moderna
Armenia. La tenacia del
popolo armeno e la determinazione dei padri fondatori della nuova
Repubblica di Armenia a conseguire l'obiettivo del riconoscimento, traspaiono chiaramente dai principi fondamentali della
Dichiarazione di indipendenza del
1990, là ove il documento si fa portavoce di una storica responsabilità della
nazione armena: quella di restaurare la
giustizia storica. Un obiettivo che si pretende di realizzare, proprio attraverso il riconoscimento del
genocidio a livello internazionale, mantenendone la
memoria storica. Ed ecco il senso di questa
commemorazione. Essa dev'essere un atto di perpetuazione del ricordo, che deve servire sì a onorare le tante vittime dell'eccidio, ma anche e, sopratutto, a contribuire al riconoscimento del
'Grande Massacro' come
crimine contro l'umanità: un
genocidio, per l'appunto. E' questo, a dispetto della miope visione dei
negazionisti, l'unico modo per restituire la
giusta dimensione storica e politica al tragico evento del
1915. Purtroppo, però, sebbene siano tante, ad oggi, le iniziative di riconoscimento intraprese da Governi e da altre entità politiche,
l'identità storica degli armeni è ancora menomata dall'assenza di una
universalità del riconoscimento. Tanti sono ancora i Governi che esitano a intraprendere questo passo, alimentando in questo modo quell'odioso fenomeno che passa per l'appunto sotto il nome di
'negazionismo'. Primo fra tutti, il Paese autore del crimine: la
Turchia. Ma tanti altri seguono più o meno direttamente questa linea. Nonostante una crescente mobilitazione di animi e di pensieri che si registra oggi nel mondo, ancora troppi sono i Governi che si
astengono dal pronunciare chiaramente la fatidica parola,
'genocidio', parlando di questo
massacro. E non stupisce, in una stretta logica di convenienza politica, scoprire come questi Paesi, pur dichiarandosi insospettabili
campioni delle libertà e dei
diritti umani, non abbiano ancora trovato il coraggio di opporsi alla fraudolenza di certi
'concettivismi riduzionistici', spuri e, pertanto, pericolosi. E' la logica
dell'opportunismo politico quella che prevale. Non illudiamoci: per
gettare fumo negli occhi e ostentare un
attivismo umanitario ipocrita e quanto mai dannoso, non mancano i
politici che, sfuggendo alle proprie responsabilità, inducono subdolamente i rispettivi parlamenti ad adottare
mozioni ideali sul
genocidio armeno, con le quali si invitano i rispettivi Governi al riconoscimento, salvo poi
rinviare 'sine die' il
provvedimento, in forza di un odioso silenzio e inerzia di questi ultimi. Per non procedere al riconoscimento, infatti, ci si appoggia a pretestuose
giustificazioni offerte da fatti imprevisti, più impellenti, o peggio, se ne decreta
l'oblio, aspettando la decadenza della legislatura. Come qualificare un tale
atteggiamento? Non dovremmo, forse, in uno slancio non tanto di aderenza alla Storia, quanto di fedeltà alla
'buona fede', equipararlo all'atto stesso del
negazionismo, sebbene opportunamente
camuffato, e accertarci che esso stesso venga condannato come
reato? E non sarebbe forse proprio questo un
delitto contro l'umanità? Non è forse la
frode, l'atto
ingannevole, l'essenza di uno dei più antichi principi dello
'jus gentium' di romana memoria?
Justitia, veritas e
fides: già
Cicerone esaltava a fondamento di quel
'Jus naturae', dal quale tutti gli ordinamenti positivi odierni avrebbero tratto il fondamento per la regolazione dei rapporti umani ispirandosi alla
'Naturalis Ratio' e concepire il tanto acclamato oggi
diritto umanitario. Sono, dunque, quelli i
princìpi, già presenti nei nostri
moderni ordinamenti. E probabilmente, basterebbe
rispolverarli. Sì,
riscoprirli e
dichiararli apertamente, con coraggio, per restituire finalmente giustizia e dignità alle
vittime armene, per uno dei più deprecabili
crimini contro l'umanità. E fino a quel giorno, ricordiamocelo pure, il processo di
restaurazione dell'identità storica della
nazione armena di certo non potrà dirsi completato. Per fortuna, la tenacia e la determinazione dimostrate dal
popolo armeno sono più forti di ogni
negazionismo.